sabato 24 gennaio 2015

L’elezione del Presidente: la favola a lieto fine in cui vissero tutti felici e contenti?




Di Gilberto Migliorini

Un uomo che ha illustrato l’Italia, personaggio super partes: Bella l’idea che qualsiasi cittadino italiano che abbia compiuto cinquant'anni possa essere eletto alla massima carica dello Stato. Segno di grande intento democratico e di formidabile apertura nei confronti della società civile. L’eletto potrebbe essere il vicino (o la vicina) della porta accanto, un personaggio che ha dato lustro al paese, come esempio fulgido di onestà e disinteresse… perfino l’anonimo da libro cuore rivelato in uno scoop televisivo. Deve risultare talmente super partes il papabile che le parti si danno un gran d’affare per trovare l’anima vincente, perché si sa… si vuole essere certi di non sbagliare, che il prescelto sia non solo persona integerrima, ma anche fedele alla nazione e naturalmente di alto profilo morale. Non facciamoci idee sbagliate, se c’è tutto un tramestio dietro le quinte, un sistema di accordi e veti incrociati, è solo per scegliere bene, un onest'uomo che non guarderà in faccia a nessuno nel supremo interesse dell’Italia e degli italiani.

Quegli accordi sottobanco, quelle interminabili riunioni di partito… tutto un fermento per  scegliere la persona giusta al di sopra degli interessi particolaristici, al di là di una ideologia, senza scheletri nell'armadio e senza qualche remora legata a un progetto politico-istituzionale disegnato in anticipo… Si vuole che l’eletto non abbia un mero ruolo notarile, ma sia garante del prestigio del paese e delle sue istituzioni. Per dirla papale papale, dev'essere uno (o una) che non ha altro referente se non il dettato costituzionale. È perfino commovente quel prodigarsi dei partiti per scegliere al meglio, magari con voto (quasi) unanime, consapevoli che lì non si può sbagliare. Una bella e gagliarda azione di concerto tutta tesa a sfornare la personalità di rilievo, quella persona, se non proprio della porta accanto, di sicuro senza fini reconditi se non quello di servire la Patria con scrupolo disinteressato scevro da condizionamenti e da pattuizioni oscure. Una personalità che risponda solo alla sua coscienza e alla Costituzione. Sembra una favola col lieto fine: e vissero tutti felici e contenti.

Oppure, invece, non è che l’elezione del Presidente è una nuova occasione per intrallazzi dietro le quinte, maneggi e patti che per oggetto hanno supremazie di potere? Lo specchio di un’Italia bacchettona, di un sistema che non ha neppure più la preoccupazione di fingere, se non fosse per quel residuo di pudore che ammanta le vergogne, giusto un velo pietoso da stendere sulla salma del Paese? Ovvio che la grancassa è pronta per suonare con l’enfasi e la retorica appropriate. L’elemento scenografico alle volte può perfino ovviare all'inconsistenza del copione. Un’elezione che rappresenta l’ennesima occasione per dar voce a quegli interessi occulti, quei begli accordi tesi a dare consistenza a un progetto vieppiù di legislatura, magari perfino a una telenovela a puntate con tanto di repliche e differite... Un’elezione che dà lustro a quell'arte italica del compromesso e della pattuizione. 

Nell'elezione del Presidente si mette in campo tutto l’armamentario di metafore garibaldine, di proclami gravi e pensosi, un campionario di eufemismi e di linguaggi figurati densi di un talento letterario un po’ ermetico e un po’ scapigliato, teatralità da avanspettacolo ma con quel tono serio e solenne da poema epico, un sistema che palesa tutto in una volta, e ormai senza nemmeno tentare di nascondersi dietro a un dito, la vocazione di una classe dirigente perfettamente autonoma e completamente indipendente dal paese che sta a guardare - un po’ come le stelle del famoso romanzo. Una classe politica al servizio del potere, semplicemente votata alla propria sopravvivenza. Il fine giustifica i mezzi. Mai è stata locuzione più inappropriata. Più corretto dire che i mezzi giustificano il fine, galleggiare il più possibile. Un copione recitato con sussiegosa naturalezza e plateale nonchalance.

Nell’elezione del Presidente si appalesano le strutture profonde del nostro sistema politico-istituzionale. La formale rappresentanza dei partiti come espressione del paese e come proiezione amplificata di quegli interessi che con i numeri (le maggioranze, le percentuali, le proiezioni…) hanno un rapporto che potremmo definire frattale per usare una locuzione che si riferisce a quegli oggetti geometrici che ripetono su scale diverse la stessa forma. L’auto-similarità si può ben cogliere nel broccolo romano e… nel nostro sistema istituzionale dove la ricorsività è appunto rappresentata a vari livelli da un sistema di accordi e di pattuizioni, di interessi particolaristici spacciati per intessi generali nella formula sempre d’effetto: il paese ce lo chiede. Il Patto del Nazareno a ben guardare non ha nulla di scandalosamente atipico, non c’è proprio da gridare al lupo. E' la normalità da tempo immemorabile e non rappresenta di certo una novità nella geometria dei rapporti politici. E' semplicemente un po’ più evidente e ingombrante, smaccatamente patente, soprattutto per quella apparente eterogenesi dei fini… Ma si sa che in fondo tra destra e sinistra c’è solo uno iato, questioni di lana caprina… 

Però esprime bene il carattere feudale di una società, quella italiana, dove il medioevo al di là di quella patina di modernità, lo sviluppo industriale e tecnologico, è rimasto nelle strutture mentali e nei processi decisionali legato a vincoli clientelari e di palazzo, a quei rapporti che qualcuno in modo dispregiativo e frettoloso chiama inciucio ma che da che mondo è mondo, nella realtà italiana, rappresentano quel mondo vero dietro a quello apparente, apparecchiato per la massa dei supporter con slogan e bandiere. Il patto del Nazareno è solo uno di quei sorprendenti oggetti frattali che caratterizzano il nostro sistema politico-istituzionale, un esempio di auto-similitudine in grado di esprimersi a tutti i livelli. Da quello di un consiglio comunale fino a quello più alto, in certo modo il più emblematico, dove il lievito della retorica unita a scenografie di impatto mediatico creano quell'immagine rassicurante di un Paese dove tutto procede nell'alveo della migliore tradizione, e dove tutto avviene secondo quell'arte sublime del compromesso. 

Per i risvolti criptici e i contenuti inespressi bisogna farne una lettura in trasparenza o se si preferisce mediante una decodifica allegorica…

A qualunque scala e in qualsiasi istituzione, si ripresenta lo stesso schema dove le iterazioni corrono dal livello più alto a quello più basso. Salvo l’intervento del caso accidentale, qua e là, il sistema rimane stabilmente omotetico. Insomma, il nostro sistema politico si riproduce a tutti i livelli secondo algoritmi ormai entrati stabilmente nella mentalità e nell'abito culturale dei nostri rappresentanti: un sistema di referenti e di interessi (più o meno occulti e talora in antagonismo programmatico) e una massa di manovra da chiamare a raccolta quando serve, quella maggioranza alla quale ci si appella con enfasi per legittimarsi, ma che conta come il due di briscola.

L’elezione del Presidente in certo senso rappresenta il più completo dispiegamento di un costume politico dove gli italiani sono quella massa amorfa sullo sfondo, un popolo al quale dare la sua quotidiana razione di informazione addomesticata e il contentino di qualche telenovela, isola dei famosi e l’onnipresente partita di calcio. Tenerli impegnati, i connazionali, in attività creative e spensierate. Dar loro un po’ di pastone quotidiano di trasmissioni nazional-popolari, divagarli con qualche gioco a quiz o meglio ancora con quel gossip che pacifica gli animi e fa terreno di coltura... un po’ come i Prolet del 1984 orwelliano. Per il resto il moderno homo mediaticus funge da figurante da citare alle bisogna, come pretesto per legittimare un potere autoreferenziale che se la suona e se la canta in pompa magna e con tutti i protagonisti schierati.

La scenografia della cavalleria pesante e delle moto Guzzi fa da orpello immaginifico per un'alta carica che deve dare l’effetto di un’Ara Pacis augustea (rinnovata nella scenografia del vittoriano), superiore a  tutte le meschinità e gli intrallazzi di un mondo politico dove regnano gli interessi di bottega, gli scambi di favore e gli accordi sottobanco. L’elezione del Presidente della Repubblica è l’ennesima operina di una classe dirigente che considera anche il rappresentante di tutti gli italiani e Garante del testo della Costituzione come occasione di mercato, di chi si vorrebbe offrisse garanzie non già al Paese ma alla propria consorteria o camarilla.

L’unico augurio che si può fare è che l’uomo (o la donna) che verrà eletto, al di là delle modalità e dalle pattuizioni, sappia davvero interpretare il suo ruolo uscendo fuori dai cliché, dai cerimoniali, dai manierismi, e non voglia fare solo da cariatide, da stampella o cameriere… che ricordi al Parlamento e ai parlamentari che la Costituzione non è un optional e che la governabilità non comporta di stravolgere il senso dei reali rapporti numerici... che soltanto nelle dittature l’opposizione non c’è più o è relegata a fare la bella statuina.


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1 commento:

PINO ha detto...

Un commento su quanto hai scritto?
Una seconda "bocca della verità", che sarebbe scomoda, per molti, se cementata su un muro, come quella romana visitata dai turisti.
Pino