mercoledì 27 maggio 2015

Massimo Bossetti. Uno dei troppi casi dell'italica giustizia che molto ricordano il "Processo agli Untori" del 1630

Di Gilberto Migliorini

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“La mattina del 21 di giugno 1630, verso le quattro e mezzo, una donnicciola chiamata Caterina Rosa, trovandosi, per disgrazia, a una finestra del cavalcavia che allora c’era sul principio di via della Vetra de’ Cittadini, dalla parte che mette al corso di porta Ticinese (quasi dirimpetto alle colonne di san Lorenzo), vide venire un uomo con una cappa nera, e il cappello sugli occhi, e una carta in mano, ‘sopra la quale’, dice costei nella sua deposizione, ‘metteua su le mani, che pareua che scrivesse’.”

Comincia così l’opera manzoniana dedicata alla ricostruzione del celebre processo agli 'untori', Guglielmo Piazza e Giangiacomo Mora, nella Storia della Colonna infame.

Il conte Pietro Verri nelle sue Osservazioni sulla tortura, nel 1760, aveva già affrontato l’argomento e intrapreso la stesura dell’opera che inizialmente non pubblicò per tema di qualche reazione a lui sfavorevole da parte del Senato milanese. Le critiche alla magistratura contenute nel libro lo indussero alla prudenza. Alcuni suoi articoli sul periodico Il Caffè, offrirono però a Cesare Beccaria lo spunto per la sua opera celeberrima Dei delitti e delle pene. Solo nel 1777 Verri - con la nuova versione delle Osservazioni - solleciterà i magistrati ad aderire alle idee illuministe rinunciando a posizioni retrive e giustizialiste.

La posizione di Verri è di carattere ideologico nella temperie illuminista e nel rifiuto della tortura, dove il caso in oggetto nella ricostruzione del processo agli untori del 1630 è occasione per valutare il procedimento giudiziario nell'ottica di leggi sbagliate e come emblema di ignoranza e di superstizione. La Storia della Colonna infame del Manzoni - che approfondisce il tema del Processo agli untori - è però in un’ottica diversa, in certo senso più radicale e meno ideologica rispetto al suo illustre predecessore, più relativa agli uomini che alle istituzioni, nel rifiuto di un determinismo storico che giustifichi una sentenza in ragione delle coordinate culturali di un’epoca, del suo sistema giudiziario e della mentalità coeva.

Continua il Manzoni nella ricostruzione del Processo in merito alla testimonianza di Caterina Rosa che fa da innesco a tutta la vicenda:

Le diede nell'occhio che, entrando nella strada ‘si fece appresso alla muraglia delle case, che è subito dopo il cantone, e che a lungo a lungo tiraua con le mani dietro al muro. All’hora’, soggiunse, ‘mi viene in pensiero se a caso fosse un poco uno di quelli che, a giorni passati, andauano ongendo le muraglie’ (il grassetto è mio). Presa da un tal sospetto, passò in un’altra stanza, che guardava lungo la strada, per tener d’occhio lo sconosciuto, che s’avanzava in quella; ‘et viddi’, dice, ‘che teneua toccato la detta muraglia con le mani

L’incipit manzoniano può sembrare del tutto diverso dal caso Bossetti, in realtà il rapporto indizi e contesto presenta alcune analogie sia sul versante psicologico, sia su quello sociale. Il sospetto prodotto dall'andare rasente al muro da parte di quello che poi sarà identificato come un commissario della Sanità, tale Guglielmo Piazza, è relativo al diffondersi della peste in Milano nel 1630 e alla diceria dell’untore, cioè al sospetto che taluni andassero ungendo luoghi e cose allo scopo di diffondere la pestilenza. Va da sé che senza quel contesto (la peste e la diceria dell’untore) l’azione di andare rasente a un muro non avrebbe sollecitato alcuna fantasia in qualche testimone occasionale, ma sarebbe apparsa come qualcosa non solo di irrilevante, ma nemmeno degno di attenzione, tenuto poi conto che quel giorno pioveva ed era naturale tenersi il più possibile al riparo rasentando i muri.

Il contesto dunque è in grado di colorare atti ed eventi traducendoli secondo significati che, per quanto siano narrativamente d’effetto, sono dovuti semplicemente alla suggestione e alla fantasia di chi se ne fa interprete. Nel caso Bossetti il contesto è ritrovamento del ‘suo’ Dna sul cadavere della povera Yara (ammesso che sia davvero il suo o che non sia intervenuto qualche errore o contaminazione) e per questo la convinzione, anzi la certezza secondo alcuni, che si tratti del suo assassino (le due cose ovviamente comportano inoltre un nesso da dimostrare). Tale contesto o premessa è in grado di colorare altri fatti banali che altrimenti apparirebbero del tutto insignificanti (proprio come l’andar rasente un muro che nel contesto della pestilenza diviene secondo una donnetta l’elemento rivelatore di un atto criminale). Vediamo alcuni di questi fatti nel caso del muratore di Mapello:

a) Transitare con un furgone in strade che di norma Bossetti si trovava normalmente a percorrere, essendo quelli i luoghi dove vive e lavora con un furgone peraltro in uso a moltissimi artigiani (comunque non esiste prova che la ragazza sia salita su un furgone, si tratta solo di congettura).

b) Allacciarsi a celle telefoniche che di fatto riguardano i medesimi ambiti dove Bossetti vive, soggiorna e si sposta. 

c) Estrapolare frasi dal computer o siti di navigazione (e anche qui ammesso che sia lui il navigante) interpretandoli sulla base di un pregiudizio di colpevolezza. Sono tutti fatti che al di fuori del contesto sono del tutto neutrali e neppure degni di un qualche rilievo, prove di niente, se non come spunti narrativi per creare una storia collegando dei fatti in modo suggestivo.

Ma vediamo nell'opera del Manzoni quali meccanismi psicologici informano quel sistema giudiziario nel lontano 1630 che portò all'esecuzione di persone innocenti, lasciando che sia il lettore a decidere se si tratta dei medesimi ragionamenti induttivi che potrebbero anche oggi costruire dei veri e propri romanzi costruiti su congetture.

Alla testimonianza di Caterina Rosa si assomma quella di una seconda spettatrice, Ottavia Bono, nelle parole emblematiche del Manzoni:

la quale, non si saprebbe dire se concepisse lo stesso pazzo sospetto alla prima e da sé, o solamente quando l'altra ebbe messo il campo a rumore

Manzoni delinea sottilmente e ironicamente quello che spesso è il contagio della testimonianza frutto di quella suggestione, quelle voci che corrono, quei rumors che alimentano fantasie e induzioni… in un processo di reciproco influenzamento che va anche sotto il nome di profezia che si autoadempie, quando cioè l’elemento psicologico, le aspettative, innescano una cascata di illazioni che finiscono per dar loro conferma alimentandoli in un processo di influenzamento collettivo.

Interrogata anch'essa, depone d'averlo veduto fin dal momento ch'entrò nella strada; ma non fa menzione di muri toccati nel camminare. ‘Viddi, dice, che si fermò qui in fine della muraglia del giardino della casa delli Crivelli... et viddi che costui haueua una carta in mano, sopra la quale misse la mano dritta, che mi pareua che volesse scriuere; et poi viddi che, leuata la mano dalla carta, la fregò sopra la muraglia del detto giardino, dove era un poco di bianco

Alla giustificazione dell’imputato, il Guglielmo Piazza, che si stava semplicemente pulendo le mani sporche d’inchiostro e che l’andar rasente al muro era dovuto al fatto che pioveva, ecco che la stessa Caterina Rosa riesce a formulare un’induzione in grado di confermare il suo pregiudizio e anzi aggravarlo contribuendo a trasformare un fatto insignificante in un indizio ancora più grave e schiacciante:

è ben una gran cosa: hieri, mentre costui faceva questi atti di ongere, pioueua, et bisogna mo che hauesse pigliato quel tempo piovoso, perché più persone potessero imbrattarsi li panni nell'andar in volta, per andar al coperto

Qui abbiamo un bell'esempio di come una volta deciso narrativamente quale debba essere la ricostruzione di un evento si possano far combaciare le tessere del mosaico, anche quando sono palesemente arbitrarie, potendo trovare sempre una giustificazione che conferma il sospetto, anzi rappresentandolo e aggravandolo con ancora maggior forza sulla base di un sillogismo che trova una logica mediante procedimenti induttivi e interpretazioni ad hoc sotto forma di presunti indizi. La giustificazione del Piazza che l’andar rasente al muro era perché pioveva (spiegazione del tutto ovvia e convincente) diviene invece - nell'interpretazione che se ne vuole dare e che scaturisce da un pregiudizio - riprova di un delitto premeditato e architettato con l’intento perverso e crudele di cagionar il massimo di efficacia. Si tratta di quella fallacia che l’epistemologia popperiana bolla come stratagemma convenzionalistico con il quale si può sempre riaggiustare un sillogismo zoppicante introducendo una interpretazione ad hoc che tenga in piedi il sistema induttivo.

In breve, la donna è in grado divulgare il suo sospetto che porterà all'identificazione dell’uomo. La notizia viene data come ormai certa e addirittura tutti cominciano a vedere i muri imbrattati di unzioni:

et uscirno dalle porte, et si vidde imbrattate le muraglie d'un certo ontume che pare grasso et che tira al giallo; et in particolare quelli del Tradate dissero che haueuano trovato tutto imbrattato li muri dell'andito della loro porta’. L'altra donna depone il medesimo. ‘Interrogata, se sa a che effetto questo tale fregasse di quella mano sopra il muro, risponde: dopo fu trouato onte le muraglie, particolarmente nella porta del Tradate

Le voci che corrono, il gossip e il pettegolezzo sono davvero in grado di creare scenari e straordinarie rappresentazioni, così vivide che non c’è più neppure bisogno di immaginare… si possono vedere e rievocare fatti come se ciascuno ne fosse stato testimone, mentre la notizia si propaga con la velocità di un incendio. E alla fine si vede anche quello che non c'è… i muri unti dove in realtà si tratta soltanto della solita sporcizia che è lì da sempre, in un’epoca dove l’igiene mancava del tutto…

Il Manzoni osserva sarcasticamente che il sospettato di unzioni venefiche “per fare un lavoro simile, aveva voluto aspettare che fosse levato il sole, non ci andasse almeno guardingo, non desse almeno un'occhiata alle finestre; né che tornasse tranquillamente indietro per la medesima strada, come se fosse usanza de' malfattori di trattenersi più del bisogno nel luogo del delitto; né che maneggiasse impunemente una materia che doveva uccider quelli che se ne imbrattassero i panni; né troppe altre ugualmente strane inverisimiglianze. Ma il più strano e il più atroce si è che non paressero tali neppure all'interrogante, e che non ne chiedesse spiegazione nessuna. O se ne chiese, sarebbe peggio ancora il non averne fatto menzione nel processo

L’analogia con il caso Bossetti è che il muratore (nel caso fosse l’assassino) non ha preso precauzione alcuna pur sapendo di aver abbandonato la vittima ancora viva (e che dunque la povera Yara morta poi per il freddo, le ferite e lo shock, potesse eventualmente essere soccorsa e salvata e rivelare il nome del suo aguzzino, dal momento che l’accusa suppone che la ragazza lo conoscesse e fosse proprio lui: il muratore di Mapello). Inoltre, sempre nell'ipotesi che fosse davvero Bossetti l'aggressore e avendo lasciato sicuramente qualche traccia sul luogo del delitto, lo stesso non avrebbe preso alcuna precauzione per salvarsi il culo, come oggi si usa dire, e ‘inquinare le prove’, né per evitare che in qualunque modo si potesse risalire a lui. Sapendo che la sua vittima era là nel campo di Chignolo, tra le sterpaglie, avrebbe potuto provvedere, avendo tutto il tempo che voleva, a eliminare le sue tracce, se fosse stato davvero lui l’assassino. E di certo un muratore avvezzo alla manualità lo avrebbe potuto fare agevolmente.

E ancora nelle parole sarcastiche del Manzoni (tornando agli untori):

I vicini, a cui lo spavento fece scoprire chi sa quante sudicerie che avevan probabilmente davanti agli occhi, chi sa da quanto tempo, senza badarci, si misero in fretta e in furia a abbruciacchiarle con della paglia accesa

La suggestione riesce a far percepire anche quello che non c’è proprio, a immaginare scenari e addirittura cose che esistono solo nella fantasia di chi si è ormai convinto della loro esistenza. Nella psicologia della testimonianza, si sa che la suggestione talvolta crea mostri e immagina cose dove in perfetta buona fede, ma sull'onda dell’influenza sociale e dei vissuti individuali, si possono vedere e ricordare anche cose inesistenti o deformarne il significato.

Per ironia della sorte anche a Giangiacomo Mora, barbiere che poi verrà accusato di complicità con il Piazza, “parve, come agli altri, che fossero stati unti i muri della sua casa. E non sapeva, l'infelice, qual altro pericolo gli sovrastava, e da quel commissario medesimo, ben infelice anche lui”. A dimostrazione che la buona fede non basta ad evitare che la suggestione abbia anche un effetto boomerang, ritorcendosi talvolta sullo stesso testimone.

Quando una diceria è innescata purtroppo è come un incendio, non si sa dove il fuoco del chiacchiericcio andrà ad appiccare e quanto credito un’autorità potrà dargli.

Il figlio di quel Mora, ancora ignaro di quello che cadrà tra capo e collo al padre, interrogato dirà:

sentei che una donna di quelle che stanno sopra il portico che trauersa la detta Vedra, quale non so come habbi nome, disse che detto commissario ongeua con una penna, hauendo un vasetto in mano”.

Ovviamente compaiono nuovi dettagli, come in una sorta di contagio emozionale dove ciascuno aggiunge qualcosa per non esser da meno nella ricostruzione del fatto che via via diventa sempre più corposo e ricco. La suggestione fa vedere e ricordare anche fatti che esistono solo nella fantasia sollecitata dal clamore del pettegolezzo, dal bisogno di protagonismo, talora dalla malizia e dalla farneticazione. La capacità di sceverare il fatto - nella sua nudità da quanto viene aggiunto - diventa difficile e pernicioso. Una penna richiama un calamaio e trattandosi di unzioni il calamaio diventa un vasetto. Il tumulto di chiacchere costruisce pian piano una narrazione dove quello che non torna viene modificato e aggiustato fino a che la storia corra via liscia e senza intoppi e dove ogni tessera del mosaico vada al suo posto, sia pure con l’aiuto di molta immaginazione e sempre con il timone e la guida del pregiudizio.

Alla fine la notizia è data per certa:

È stato significato al Senato che hieri mattina furno onte con ontioni mortifere le mura et porte delle case della Vedra de' Cittadini, disse il capitano di giustizia al notaio criminale che prese con sé in quella spedizione

Commenta il Manzoni 

E con queste parole, già piene d'una deplorabile certezza, e passate senza correzione dalla bocca del popolo in quella de' magistrati, s'apre il processo” 

E con amarezza l’illustre milanese aggiunge più avanti: 

Quel sospetto e quella esasperazion medesima nascono ugualmente all'occasion di mali che possono esser benissimo, e sono in effetto, qualche volta, cagionati da malizia umana; e il sospetto e l'esasperazione, quando non sian frenati dalla ragione e dalla carità, hanno la trista virtù di far prender per colpevoli degli sventurati, sui più vani indizi e sulle più avventate affermazioni

Nel caso Bossetti, viene costruita una narrazione sulla base di un solo elemento - il Dna - peraltro in una situazione non controllata. Il metodo sperimentale richiede l’isolamento e il controllo delle variabili dipendenti e indipendenti, una situazione controllata che escluda che qualsiasi altro fattore possa intervenire nel rapporto di dipendenza, nella riproducibilità dell’esperimento e nell'imputazione dei nessi tra le variabili. Un cadavere rimasto per mesi alle intemperie, a qualunque possibile inquinamento volontario e involontario di chicchessia, e con la componente nucleare di ‘ottima qualità’ in contrasto con l’ineluttabile deterioramento dopo una lunga esposizione agli agenti atmosferici, risulta incompatibile con quella situazione controllata che è alla base di un metodo che voglia dirsi scientifico. Questo nulla toglie che le analisi possano offrire spunti di approfondimento e suggerimenti per ulteriori indagini, ma non già delineare un quadro probatorio certo, non solo congetture e ipotesi, ma anche confutazioni e precisazioni in ordine a uno scenario di difficile e dubbia interpretazione. Tutto un frame che rimanda a un contesto che suggerisce, più che un coerente sistema deduttivo basato su prove, una narrazione, un teorema ricco di suggestioni ma povero di elementi di concretezza e di certezze nel contesto di un cadavere rimasto molto a lungo in balia degli agenti atmosferici e dell’arbitrio di chiunque.

Tornando al processo agli untori, il Piazza viene arrestato mentre se ne stava sereno e tranquillo in casa sua - elemento addirittura a suo sfavore, anche dopo le voci che davano per certa l’unzione di porte e muraglie. Comportamento più tipico di un innocente piuttosto che di un criminale.

Analogamente il Bossetti - nonostante le ricerche infruttuose della povera Yara, anche nello stesso campo di Chignolo dove poi finalmente verrà trovata cadavere - continua una vita normale senza preoccupazioni o patemi d’animo. 

La perquisizione della casa del Piazza non giovò per nulla al sospettato (ma sarebbe più esatto dire ormai trattato come colpevole acclarato) anche se nella perquisizione non fu trovato alcun minimo indizio.

Come scrive il Manzoni:

Fu subito visitata la casa del Piazza, frugato per tutto, in omnibus arcis, capsis, scriniis, cancellis, sublectis, per veder se c'eran vasi d'unzioni, o danari, e non si trovò nulla: nihil penitus compertum fuit. Né anche questo non gli giovò punto…

Analogamente e paradossalmente non sembra aver deposto a favore di Bossetti il fatto che niente sia stato rilevato sui suoi veicoli e sulle sue cose (e ci si chiede peraltro come il medesimo potesse guidare e nel contempo costringere la ragazzina sul suo camioncino).

Interrogato sulle sue occupazioni e sulle sue faccende del giorno in questione (non di molto tempo prima come nel caso del muratore), imputato o sospettato che dir si voglia (ma comunque già colpevole proprio come il Bossetti che viene già per certo indicato all'opinione pubblica come l’assassino... perfino dal ministro ancor prima che venisse formalizzato un atto d’accusa) così il malcapitato Piazza risponde:

mi non lo so, perché non mi fermo niente in Porta Ticinese.” (il grassetto è mio)

Osserva il Manzoni:

Gli si replica che questo non è verisimile; si vuol dimostrargli che lo doveva sapere. A quattro ripetute domande, risponde quattro volte il medesimo, in altri termini. Si passa ad altro, ma non con altro fine: ché vedrem poi per qual crudele malizia s'insistesse su questa pretesa inverisimiglianza, e s'andasse a caccia di qualche altra

Alle precisazioni del Piazza che quel giorno si era trovato coi deputati di una parrocchia che conosceva solamente di vista e non di nome, Manzoni osserva:

E anche qui gli fu detto: non è verisimile. Terribile parola per intender l'importanza della quale son necessarie alcune osservazioni generali, che pur troppo non potranno esser brevissime, sulla pratica di que' tempi, ne' giudizi criminali” 

Ma forse il Manzoni si illudeva che quella della verosimiglianza fosse parola relativa solo a quei tempi…

Al Bossetti, per analogia, si chiede di giustificare la rilevazione del suo Dna sul corpo della vittima e la risposta ovvia per chiunque che nemmeno sappia cosa sia il Dna sarebbe credo dello stesso tenore del Piazza: “mi non lo so”. Il Bossetti allo stesso modo del Piazza (che veniva accusato di unzioni venefiche delle quali di sicuro non ne conosceva la composizione e la natura se mai davvero esistessero) avrebbe dovuto conoscere la composizione di un acido biologico di cui non solo ignora i componenti ma del quale non è neppure in grado, in quanto muratore, di comprenderne significati e risvolti genetici. Se gli avessero chiesto perché il muretto che aveva costruito fosse crollato addosso a qualcuno uccidendolo, si sarebbe pretesa da lui una risposta circostanziata e non evasiva, ma chiedere a un muratore di giustificare perché il suo Dna si trovi costì o colà sembra davvero una barzelletta. Forse che non si sa che esiste anche il fenomeno del trasferimento secondario, e indipendentemente da un reperto di ‘ottima qualità’ dopo mesi di esposizione alle intemperie (caso davvero più unico che raro).

Nel secondo capitolo della suo opera Manzoni osserva che:

Gli statuti di Milano (…) non prescrivevano altre norme, né condizioni alla facoltà di mettere un uomo alla tortura (facoltà ammessa implicitamente, e riguardata ormai come connaturale al diritto di giudicare), se non che l'accusa fosse confermata dalla fama, e il delitto portasse pena di sangue, e ci fossero indizi; ma senza dir quali. La legge romana, che aveva vigore ne' casi a cui non provvedessero gli statuti, non lo dice di più, benché ci adopri più parole. "I giudici non devono cominciar da' tormenti, ma servirsi prima d'argomenti verisimili e probabili; e se, condotti da questi, quasi da indizi sicuri, credono di dover venire ai tormenti, per iscoprir la verità, lo facciano, quando la condizion della persona lo permette." Anzi, in questa legge è espressamente istituito l'arbitrio del giudice sulla qualità e sul valore degl'indizi; arbitrio che negli statuti di Milano fu poi sottinteso.

Ma il Manzoni osserva anche a proposito della tortura che “Nelle così dette Nuove Costituzioni promulgate per ordine di Carlo V (imperatore dal 1519 al 1556), la tortura non è neppur nominata; e da quelle fino all'epoca del nostro processo, e per molto tempo dopo, si trovano bensì, e in gran quantità, atti legislativi ne' quali è intimata come pena; nessuno, ch'io sappia, in cui sia regolata la facoltà d'adoprarla come mezzo di prova” (la sottolineatura è mia).

Lo stesso Verri, ricorda il Manzoni in riferimento al celebre penalista Prospero Farinacci:

Farinaccio istesso’ dice l'illustre scrittore, parlando de' suoi tempi, asserisce che i giudici, per il diletto che provavano nel tormentare i rei, inventavano nuove specie di tormenti; eccone le parole: Judices qui propter delectationem, quam habent torquendi reos, inveniunt novas tormentorum species"

E sempre il Manzoni cita - dal Farinacci - Francesco il Bruno (Francesco dal Bruno giureconsulto rinascimentale) che a sua volta riprende le parole forti di Angelo d’Arezzo per stigmatizzare la tortura:

"giudici, arrabbiati e perversi, che saranno da Dio confusi; giudici ignoranti, perché l'uom sapiente abborrisce tali cose, e dà forma alla scienza col lume delle virtù"

Tralasciando molti altri riferimenti. il Manzoni ricorda le parole di Giulio Claro criminalista la cui fama è legata all’opera Receptae sententiae:

"Badi il giudice di non adoprar tormenti ricercati e inusitati; perché chi fa tali cose è degno d'esser chiamato carnefice piuttosto che giudice"

E più emblematicamente nelle parole di Antonio Gomez:

"Bisogna alzar la voce (clamandum est) contro que' giudici severi e crudeli che, per acquistare una gloria vana, e per salire, con questo mezzo, a più alti posti, impongono ai miseri rei nuove specie di tormenti"

Le nuove specie di tormenti non sono necessariamente torture fisiche, ma anche quelle torture psicologiche che nell'età contemporanea hanno il vantaggio di risultare invisibili, talvolta la mera minaccia di un supplizio o semplicemente ventilando promesse e agevolazioni in cambio di una confessione.

Nelle parole del Manzoni:

E per citare qualcheduno de’ meno antichi, Paride dal Pozzo (…) commenta così ‘a ciò che non è determinato dalla legge, né dalla consuetudine, deve supplire la ragion del giudice; e perciò la legge sugl'indizi mette un gran carico sulla coscienza'

Quel potere discrezionale che sempre nelle parole dell’illustre milanese:

che i savi legislatori cercano, non di togliere, che sarebbe una chimera, ma di limitare ad alcune e meno essenziali circostanze, e di restringere anche in quelle che più che possono

E cita Francesco Claro che metaforicamente bolla tutte quelle pratiche che inducono alla confessione con metodi subdoli, come ‘finzioni diaboliche’:

Un giudice può, avendo in carcere una donna sospetta di delitto, farsela venire nella sua stanza secretamente, ivi accarezzarla, fingere di amarla, prometterle la libertà affine d’indurla ad accusarsi del delitto…

Un altro elemento che viene contestato all’accusato di un delitto è la bugia nel rispondere al giudice.

Al Piazza viene contestato che non fosse verosimile che non avesse sentito parlare di muri imbrattati in porta Ticinese e che non conoscesse il nome dei deputati con i quali aveva detto di essersi intrattenuto.

la bugia, osserva il Manzoni, non fa indizio alla tortura se riguarda cose che non aggraverebbero il reo, quando le avesse confessate

Nel caso di Bossetti si pretende che la sua memoria possa por mente locale con precisioni a eventi quotidiani - occorsi molto tempo prima - che il ricordo può ricostruire solo con imprecisioni e omissioni per quel normale e fisiologico meccanismo dell’oblio di cose che non abbiano rilevanza.

E ancora nelle parole del Manzoni: “Tutto Milano sapeva (…) che guglielmo Piazza aveva unti i muri, gli usci, gli anditi di via della Vetra; e loro che l’avevan nelle mani, non l’avebbero fatto confessare subito a lui!

Nel caso di Bossetti tutta l’Italia sa - anche per i complimenti del ministro e soprattutto per una campagna mediatica che ha suonato da subito la grancassa - che Bossetti era il massacratore della piccola Yara. Anche se a conti fatti ancora non sappiamo veramente quali siano le prove (provate in un contraddittorio) che tengono in carcere il muratore: se sia davvero figlio di Guerinoni non essendo stata fatta (per quanto ci è dato sapere) anche una riprova sul padre legale e quali siano gli elementi concreti che inchiodano il muratore - come si esprime certa stampa che giornalmente squaderna qualche nuovo indizio che poi in genere si rivela pressoché inconsistente. Non vorremmo che a conti fatti alla fine tutto si riducesse a un Dna raccolto dopo molti mesi dalla morte della ragazza e senza che la difesa possa effettuare controprove.

Proseguendo con il Manzoni. L’esaminatore intima al Piazza di dire la verità:

altrimente… si metterà alla corda…

L’infelice risponde: “Se me la vogliono anche far attaccare al collo, lo faccino; che di queste cose che mi hanno interrogato non ne so niente

Risposta che richiama la lettera con la quale Bossetti grida la sua innocenza: “Non ho mai fatto male a nessuno, ho sempre vissuto amando mia moglie e i miei figli, ai quali dico ancora una volta con tutta la forza che ho dentro che sono Innocente

Nel caso degli “untori” il tribunale supremo di Milano decretò che:

Il Piazza dopo essere stato raso, rivestito con gli abiti della curia e purgato, fosse sottoposto alla tortura grave, con la legatura del canapo”. Cioè slogando oltre le braccia anche le mani.

Certo, a Bossetti non è stata inflitta alcuna tortura fisica. Però tenuto per mesi in prigione lontano dai suoi cari in una situazione di incertezza, ma consapevole delle accuse che i media hanno montato e amplificato, e impossibilitato a difendersi in quanto recluso e ancora ignaro delle prove a suo carico, se non in modo generico e senza ancora la possibilità di un contraddittorio.

Ma è bene dire che sulla carta stampata e sull’editoria elettronica molti commentatori giustizialisti non hanno certo bisogno che venga celebrato il processo. Fosse per loro Bossetti è già colpevole anche senza l’aula di giustizia... e per qualcuno magari da punire con gli stessi tormenti inflitti agli untori.

C’è poi quell’elemento umiliante che all’epoca erano le prescrizioni del tosare, rivestire, purgare... e che oggi sono la gogna mediatica: essere figlio di un padre illegale (magari da dimostrare con una controprova), e poi tutto quel chiacchiericcio e pettegolezzo di amanti, siti porno, locali dove la sera si va a bere una birra, sociologia del telefonino… un armamentario di banalità che in paesi più progrediti del nostro, bacchettone e perbenista, farebbe sbellicare dalle risa, mentre da noi si prendono sul serio catalogandoli come indizi o addirittura come prova tout court. Mentre in parlamento hanno potuto essere elette pornodive e ai reality possono partecipare attori a luci rosse, e mediaticamente possono imperversare i bacchettoni, la navigazione internet in siti pornografici (attività diffusa e in altri paesi considerata di nessun rilievo) nel Bel Paese viene elevata al rango di prova, di chissà cosa…

E che dire del fatto che su alcuni media si considera perfino prova di colpevolezza il fatto che Bossetti abbia letto o ‘aperto’ articoli di quotidiani on line riguardanti fatti di cronaca di violenza su minori, articoli che si suppone abbiano letto milioni di altri ‘naviganti on-line’, tutti quelli che cercano notizie di attualità. L’informazione è fatta per quello… Prova di cosa? Come per il Piazza esser andato rasente a un muro? È evidente che sul computer di chiunque, volendo indagare, si trova un po’ di tutto grazie alle prodigiose memorie informatiche che tengono traccia perfino dei refusi; basta metterlo in relazione con il contesto appropriato e chiunque si può trovare sospettato di qualunque cosa semplicemente per aver digitato parole, visitato un sito, aver letto un articolo su un blog, un giornale on line o essersi documentati su qualcosa in un motore di ricerca. Il processo alle intenzioni può sempre e comunque trovare relazioni, costruire teoremi e produrre ragionamenti induttivi che portano a qualsivoglia conclusione apodittica. Sappiamo tutti, salvo ipocriti e perbenisti, che sono milioni gli italiani che visitano siti porno o digitano su google parole riferite al sesso e altrettanto innumerevoli quelli che cercano notizie talora scabrose e arrapanti e in riferimento agli argomenti più svariati, vuoi per documentarsi, per curiosità, per noia, per evasione, per scaricare tensioni. 

Tutti criminali, pedofili, violentatori, ruffiani, pervertiti? Forse i nuovi inquisitori e Savonarola non hanno mai sentito parlare di fantasie, inconscio, lapsus, atti mancati, sogni… tutto quelle forme di abreazione per la quale si scarica il freudiano disagio della civiltà in forme del tutto innocue che vanno sotto il nome di processi fantasmatici, in forme di libido sostitutive? Un secolo di psicoanalisi non è servito proprio a niente e si torna alla vecchia psichiatria lombrosiana, alle pseudoscienze della frenologia alla Franz Joseph Gall o alla fisiognomica di Lavater rivedute e corrette secondo il verbo attuale della profilazione, con la quale immensi fogli elettronici violano la privacy delle persone e costruiscono profili statistici collettivi, ma anche con la pretesa di fare ritratti psicologici (e psichiatrici) individuali sulla base di stili di consumo e di ‘navigazione’. Le due pseudoscienze (frenologia e fisiognomica) credevano di individuare facoltà e attitudini di un soggetto (dunque anche la propensione alla pazzia o a delinquere) sulla base delle depressioni o protuberanze del cranio (come indice di sviluppo della sottostante materia cerebrale e relative predisposizioni e facoltà) o sull'aspetto fisico (soprattutto lineamenti ed espressioni del viso) per ricavare caratteri psicologici e morali con significati etnografici e con sfumature razziali (Lavater). 

Volevano individuare l'idealtipo del criminale nella sua forma fisica. Dalla dottrina del cranio e del viso a quella dell’uso del telefonino, dei siti di navigazione e dei gusti personali, il passo è breve per tracciare una neo-dottrina lombrosiana con implicazioni morfogenetiche e neo-comportamentiste rivedute e corrette secondo il canone del ‘crimine di navigazione on-line’, quello che probabilmente milioni di persone commettono inconsapevolmente quando cercano notizie e informazioni, e talvolta anche svago e oggetti fantasmatici scopofilitici (voyeurìstici) senza per questo essere né pervertiti e né criminali. Se all'isola dei famosi possono partecipare pornoattori per creare eccitazione nel pubblico degli aficionados, non si vede per quale motivo debba essere ritenuto indice criminogeno la navigazione in siti porno che denota soltanto un legittimo gusto personale o semplicemente il bisogno di ravvivare e stimolare sul piano erotico un rapporto di coppia.

Ma dopo la digressione torniamo al Manzoni al quale molta psicologia contemporanea è debitrice per quella sua capacità di sondare in profondità le umane debolezze.

L’infelice Piazza, sottoposto alla tortura più pesante, di fronte ai cavilli puerili “rispose con parole di dolore disperato, parole di dolor supplichevole, nessuna di quelle che (i suoi esaminatori) desideravano, ma piuttosto quelle ‘Ah Dio mio! Ah che assassinamento è questo! Ah Signor fiscale!...Fatemi almeno appiccar presto… Fatemi tagliar via la mano… Ammazzatemi; lascatemi almeno riposar un poco. Ah! Signor Presidente!... Per amor di Dio, fatemi dar da bere; e insieme non so niente, la verità l’ho detta’…

Di fronte all’impossibilità di ottenere la confessione da un innocente il Manzoni osserva come i suoi accusatori che “Avean cominciato con la tortura dello spasimo, ricominciarono con una tortura di altro genere. D’ordine del senato (…) l’auditor (…) in presenza di un notaio, promise al Piazza l’impunità, con la condizione (…) che dicesse interamente la verità. Così eran riusciti a parlargli dell’imputazione, senza doverla discutere; a parlargliene, non per cavar dalle sue risposte i lumi necessari all’investigazion della verità, ma per sentir quello che ne dicesse lui; ma per dargli uno stimolo potente a dir quello che volevan loro” (mia la sottilineatura).

Si trattava solo di un raggiro, ovviamente, stante il fatto che solo al Principe, in base alle costituzioni di Carlo V era concesso il potere di “concedere remissioni di delitti, grazie e salvacondotti” come atto del governatore autorizzato dal medesimo.

L’impunità promessa al Piazza era dunque un mero inganno per indurlo a una confessione, non importa se vera, pur di evitare ulteriori tormenti, 

Nelle parole del Verri:

“… si sia persuaso a quell'infelice, che persistendo egli nel negare, ogni giorno sarebbe ricominciato lo spasimo (…) e altro espediente non esservi per lui fuorchè l’accusarne e nominare i complici; così avrebbe salvata la vita, e si sarebbe sottratto alle torture pronte a rinnovarsi ogni giorno…

Occorreva dunque cercare un complice inesistente per un delitto di ben altra natura, perché di sicuro dietro la peste c’erano le condizioni di vita e il flagello delle guerre dell’Italia dell’inizio del 17° secolo (vedi l’assedio di Casale). 

Scrive il Manzoni

Il barbiere Giangiacomo Mora componeva e spacciava un unguento contro la peste; uno de' mille specifici che avevano e dovevano aver credito, mentre faceva tanta strage un male di cui non si conosce il rimedio, e in un secolo in cui la medicina aveva ancor così poco imparato a non affermare, e insegnato a non credere. Pochi giorni prima d'essere arrestato, il Piazza aveva chiesto di quell'unguento al barbiere; questo aveva promesso di preparargliene; e avendolo poi incontrato sul Carrobio, la mattina stessa del giorno che seguì l'arresto, gli aveva detto che il vasetto era pronto, e venisse a prenderlo"

Quando si vuol trovare qualcosa di losco è sufficiente fare 2+2=4 senza tanti distinguo e precisazioni.

Continua il Manzoni:

"Volevan dal Piazza una storia d'unguento, di concerti, di via della Vetra: quelle circostanze così recenti gli serviron di materia per comporne una: se si può chiamar comporre l'attaccare a molte circostanze reali un'invenzione incompatibile con esse.

Non ci vuol molto a immaginare gli sviluppi quando in una sorta di catena di sant’Antonio reo confessi per disperazione e testimoni (per protagonismo e suggestione) possono talvolta tirare in ballo altre persone.

Il fatto comico è che l’infelice Barbiere quando vanno da lui gli inquisitori per l’unguento “crede che il suo reato fosse d’aver composto e spacciato quello specifico senza licenza”, diremmo oggi un reato di natura fiscale, mai più pensando che si trattasse di un’accusa di vendere e propagare unzioni venefiche. Il poveretto non immaginava neanche lontanamente quello che stava per cadergli tra capo e collo.

E chissà se anche al Bossetti al momento del suo arresto sia passata per la mente qualche violazione di natura fiscale che oggidì portano in galera così tanti grossi evasori…

L’equivoco è uno di quegli elementi passepartout per i quali chiunque può ingenerare il sospetto e la considerazione di un’indagine, talvolta il pregiudizio o addirittura la certezza di un delitto e della sua dinamica (e su tutti basterebbe ricordare il caso Tortora).

Una volta che si crede di aver ricostruito la corretta narrazione di un delitto, risulta facile fare un gioco di incastri per il quale si possono facilmente reperire nuove tessere del mosaico, semplicemente su base induttiva, e trovando corrispondenze e riferimenti possibili in un percorso ad albero dove si sceglie l’itinerario che meglio corrisponde alla storia che si è creata, collegando gli eventi sulla base del copione che si ritiene vero e di cui ci si innamora perdutamente.

Nella bottega del Mora viene trovata della sostanza che la moglie del barbiere dichiara essere del ranno, cioè quel miscuglio di cenere di legno e acqua bollente, sostanza usata per il bucato e per certi usi di chirurgia (che allepoca praticavano anche i barbieri, come nel caso dell’estrazione dei denti).

Si fece esaminare quel ranno da due lavandaie, e da tre medici. Quelle dissero ch'era ranno, ma alterato; questi, che non era ranno; le une e gli altri, perché il fondo appiccicava e faceva le fila" - "In una bottega d'un barbiere," dice il Verri, "dove si saranno lavati de' lini sporchi e dalle piaghe e da' cerotti, qual cosa più naturale che il trovarsi un sedimento viscido, grasso, giallo, dopo varii giorni d'estate?"

E analogamente per quale miracolosa circostanza del Dna, dopo mesi alle intemperie potesse risultare di ottima qualità se coevo con l’omicidio della povera Yara? Circostanza che in qualunque altro paese sarebbe considerata indice di inattendibilità del referto…

Continua il Manzoni:

“Nella lettera d'informazione al governatore, il capitano di giustizia parla di questa circostanza così: ‘Il barbiero è preso, in casa di cui si sono trovate alcune misture, per giudicio de periti, molto sospette.’ Sospette!

Certo il sospetto è legittimo, ma un conto è il sospetto e un conto la certezza che le sostanze contenessero davvero la prova di un delitto… Comunque sembra che con quelle sostanze fosse stato fatto un esperimento sui cani (senza i risultati auspicati) 

La storia della Colonna infame manzoniana continua poi con un calvario di torture anche nei confronti del Mora e con le immancabili chiamate in correità per altri sventurati nell'illusione di poter metter fine al supplizio.

Nelle parole del Manzoni:

L'interrogatorio che succedette alla tortura fu, dalla parte de' giudici, com'era stato quello del commissario dopo la promessa d'impunità, un misto o, per dir meglio, un contrasto d'insensatezza e d'astuzia, un moltiplicar domande senza fondamento, e un ometter l'indagini più evidentemente indicate dalla causa, più imperiosamente prescritte dalla giurisprudenza

E con l’aggiunta di una considerazione che solo il buon senso può davvero comprendere:

Posto il principio che "nessuno commette un delitto senza cagione"; riconosciuto il fatto che "molti deboli d'animo avevan confessato delitti che poi, dopo la condanna, e al momento del supplizio, avevan protestato di non aver commessi, e s'era trovato infatti, quando non era più tempo, che non gli avevan commessi. (…) Ora, l'infelicissimo Mora, ridotto a improvvisar nuove favole, per confermar quella che doveva condurlo a un atroce supplizio, disse, in quell'interrogatorio, che la bava de' morti di peste l'aveva avuta dal commissario, che questo gli aveva proposto il delitto, e che il motivo del fare e dell'accettare una proposta simile era che, ammalandosi, con quel mezzo, molte persone, avrebbero guadagnato molto tutt'e due: uno, nel suo posto di commissario; l'altro, con lo spaccio del preservativo. 

Una storia, o meglio una favola, può essere improvvisata da un presunto colpevole, ma talvolta anche dalla fantasia di un inquisitore che dopo averla rabberciata la suggerisce al ‘reo confesso’. 

La sentenza decreta che Piazza e Mora fossero tormentati di nuovo, nelle parole del Manzoni:

Quell'infernale sentenza portava che, messi sur un carro, fossero condotti al luogo del supplizio; tanagliati con ferro rovente, per la strada; tagliata loro la mano destra, davanti alla bottega del Mora; spezzate l'ossa con la rota, e in quella intrecciati vivi, e alzati da terra; dopo sei ore, scannati; bruciati i cadaveri, e le ceneri buttate nel fiume; demolita la casa del Mora; sullo spazio di quella, eretta una colonna che si chiamasse infame (mio il grassetto); proibito in perpetuo di rifabbricare in quel luogo. E se qualcosa potesse accrescer l'orrore, lo sdegno, la compassione, sarebbe il veder que' disgraziati, dopo l'intimazione d'una tal sentenza, confermare, anzi allargare le loro confessioni, e per la forza delle cagioni medesime che gliele avevano estorte. La speranza non ancora estinta di sfuggir la morte, e una tal morte, la violenza di tormenti, che quella mostruosa sentenza farebbe quasi chiamar leggieri, ma presenti e evitabili, li fecero, e ripeter le menzogne di prima, e nominar nuove persone. Così, con la loro impunità, e con la loro tortura, riuscivan que' giudici, non solo a fare atrocemente morir degl'innocenti, ma, per quanto dipendeva da loro, a farli morir colpevoli.

L’augurio è che il Bossetti possa tornare a casa dai suoi figli e da sua moglie, a differenza dei due protagonisti di quella Storia della Colonna infame dove l’infamia storicamente acclarata fu quella dei giudici che estorsero ai due infelici, Piazza e Mora, una confessione inventata illudendoli di potersi sottrarre ad ulteriori tormenti.

Se invece si è convinti che Bossetti sia davvero il colpevole della morte della piccola Yara, ci si augura che risultino prove concrete. Per quanto sappiamo - oltre a quel Dna ‘di ottima qualità’, ancora tutto da sceverare in un contraddittorio - ci sono solo indizi vaghi più simili a congetture e teoremi. Augurio che, come per il caso Tortora (finito con una assoluzione piena dopo un lungo calvario), non si rischi di dover scrivere un nuovo testo nello stile manzoniano.

P.S.  Conclude amaramente il Manzoni: “La colonna infame fu atterrata nel 1778; nel 1803, fu sullo spazio rifabbricata una casa; e in quell'occasione, fu anche demolito il cavalcavia, di dove Caterina Rosa - L'infernal dea che alla veletta stava - intonò il grido della carnificina: sicché non c'è più nulla che rammenti, né lo spaventoso effetto, né la miserabile causa. Allo sbocco di via della Vetra sul corso di porta Ticinese, la casa che fa cantonata, a sinistra di chi guarda dal corso medesimo, occupa lo spazio dov'era quella del povero Mora

P.P.S. La notizia, quella sempre dell’ultima ora, è che c’è la prova regina che inchioda il muratore, come ogni volta piace esprimersi a chi grida ai quattro venti le ultime notizie invocando il classico coup de théâtre. La gente è impressionata proprio come le voci delle unzioni sui muri di Milano fece gridare a tutti “dagli all’untore!

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10 commenti:

Bruno ha detto...

Gilberto, è la prima volta che ho letto frasi di pagine del Manzoni, neppure quando studiavo ebbi modo di leggere I Promessi Sposi. Dopo il caso Bossetti ed a maggior ragione avrei dovuto leggere La Colonna Infame. Complimenti Gilberto come al solito con le tue interessanti lezioni di Cultura ci faì tenere gli occhi bene aperti sul caso del Bossetti. Grazie.

Gilberto ha detto...

Carissimo Bruno
Il testo della Storia della Colonna Infame lo puoi trovare sul web. Per le citazioni mi sono appunto servito di una delle tante che si possono reperire on-line. Ciao, Gilberto

andres ha detto...

Gilbero Migliorini, complimenti e grazie per l'articolo! L'ho letto con enorme interesse. Purtroppo, nulla è cambiato e le nefandezze umane, l'antico gioco del potere, con le sue armi di distrazione,la tortura, seppur psicologica per estorcere confessioni, il rogo degli innocenti,fortunatamente virtuale, sono ancora presenti,e fanno orrore.

Anonimo ha detto...

Ripensavo alla faccenda dell'automezzo di Bossetti.
Che strana analogia con la storia manzoniana degli untori, caro Gilberto!

Tutto parte dalla testimonianza di un padre il quale riferisce che la figlia in bicicletta è stata seguita da un FURGONE BIANCO non meglio precisato. Questo un giorno prima della scomparsa di Yara.

Il 26 novembre un altro padre vede Yara alle 18.40. Non la vede proprio uscire, ma sta accanto all'uscita.

Un terzo padre, il sig. Fenili, alla stessa ora (minuto più minuto meno) vede un FURGONE COMPLETAMENTE BIANCO svoltare troppo velocemente nei pressi della palestra.

http://mentiinformatiche.com/2015/05/02/yara-gambirasio-ce-un-supertestimone-che-inchioda-bossetti-1659

Il padre di Yara dichiara di aver visto un FURGONE BIANCO in via Rampinelli la sera in cui Yara è scomparsa. Molto logico che il rapitore di sua figlia sosti proprio lì a luci accese, vicino alla casa di famiglia.

Una signora di Ambivere sente l'urlo di una ragazza provenire da un FURGONE BIANCO.
Arrivano soffiate sulla banda di edili molestatori con FURGONE BIANCO.

Mi sa tanto che questa ossessione del furgone bianco in zona è il vero motivo per cui si sono accaniti su Bossetti. Peccato che il suo sia verdino, ma non si può far quadrare tutto.
Intanto, se non sbaglio, gli inquirenti potevano rintracciare MGB già nell'inverno 2011, prima ancora di trovare le tracce di Ignoto 1 su Yara e di arrivare a Guerinoni.

Nautilina

Anonimo ha detto...

Salve a tutti.

dagli all'untore.... o ai testimoni? ....o ai giornalist-scribacc??

mah...

nuovissimo super-scoopone:

http://www.leggo.it/NEWS/ITALIA/ilario_scotti_yara_bossetti_foto/notizie/1380062.shtml

http://www.fanpage.it/yara-l-uomo-che-ritrovo-il-corpo-quel-giorno-vidi-una-persona-somigliava-a-bossetti/

http://www.liberoquotidiano.it/news/italia/11794818/Omicidio-di-Yara-Gambirasio--l.html

http://www.blitzquotidiano.it/cronaca-italia/yara-gambirasio-luomo-che-trovo-il-cadavere-pensavo-fosse-un-manichino-2196889/

e la pm ruggeri mentre indagava nel campo
e la cattaneo mentre controllava il povero cadavere nel campo
e... chiunque nel campo.
fra un po' l'ha visto pure il papa bergoglio in piazza s pietro.....

ps notare i titoli e le impostazioni degli articoli.

mas sempliciotto.

Gilberto ha detto...

Sì l'abbiamo notato (titoli e impostazioni) puntuale conferma del testo manzoniano, tra un po' l'avranno visto pure gli astronauti da lassù...

Anonimo ha detto...

Mappero’ come caspita hai saputo mimetizzare le tue granitiche convinzioni con tanto di articoli indirizzati ai creduloni sulla vera paternita’ del Massimo de cuius, mai ho letto che tu abbia ammesso il tuo mastodontico errore, in svariati articoli replicato, nonostante altri fossero sul vero e tanto discreditati dalla tua caparbieta’
Ti saluto sperando negli articoli illuminanti di Prati.
M.E.

maria irene ha detto...

Soprattutto di cosa stiamo parlando: di un furgone bianco chiuso oppure di un camion cassonato? E quale camion poi visto che in TV ne abbiamo visti sia con aerazione centrale sia con aerazione laterali? Mah!

GIGI ha detto...

Consentitemi queste domande:

1) Come hanno fatto in laboratorio a ricostruire il profilo genetico di Bossetti?
Dando per scontato che il suo DNA nucleare sia stato creato ad hoc in laboratorio, come avviene operativamente questa operazione?
E' necessario avere a disposizione il suo DNA naturale per crearne uno artificiale identico? Presumo di si. Quindi qualcuno deve aver pedinato Bossetti e glielo deve aver prelevato a sua insaputa, giusto?
Poi, una volta che il profilo genetico di Bossetti era a loro disposizione, si è potuto creare ad hoc in laboratorio quello stesso profilo genetico artificiale? giusto?

2)Per creare il profilo genetico artificiale di Bossetti è necessario inserire il suo DNA naturale (prelevatogli a sua insaputa) sui vestiti della vittima (nei 4 o 5 punti in cui si sostiene sia stato rilevato) o basta fare alcune operazioni di laboratorio, senza alcuna necessità di depositarlo manualmente sui reperti?

3) Chi ha creato il suo DNA nucleare artificiale (cioè il suo profilo genetico), perchè non ha sentito la necessità di creare anche il suo profilo mitocondriale aritificiale? O questa operazione in laboratorio non è possibile farla? O forse la si può fare, ma chi ha creato il profilo nucleare, ingenuamente, non pensava fosse necessario creare anche quello mitocondriale artificiale?

4)Nei profili genetici artificiali creati ad hoc in laboratorio, è giustificabile (ed ha senso) la frase qui di seguito, riportata a pag 287 della relazione dei RIS, in cui si statuisce che: "appare alquanto discutibile che ad una degradazione proteica della traccia non sia seguita una degradazione del DNA"?

Anonimo ha detto...

Grazie Gilberto
articolo molto consono alla realta', ma siamo in Italia, terra dove l' impossibile e' realta'. Sono andato via dall' Italia da tempo, la considero uno stato pericoloso, infido, privo di giustizia e liberta'.
La stampa e' poi talmente ridicola e miserabile, da non meritare commenti.