domenica 6 novembre 2016

Da Avetrana a Brembate Sopra: analogie di una realtà virtuale amplificata, dilatata, inventata...

Di Gilberto Migliorini


Si può restare chiusi in galera, magari solo perché qualcuno ti ha sognato, per anni, forse decenni, e restare per sempre nella prigione dell’oblio, nell'indifferenza generale di un Bel Paese sempre alla ricerca di qualche nuovo protagonista mediatico. È lo spettacolo in cui entra in scena l’imputato di un delitto con tutto l’alone di suggestioni che eccitano l’audience, con la stessa euforia di un film di successo. Si può perdere tutto, gli affetti, la libertà, la reputazione... e solo per immagini oniriche così realistiche per i glossatori giudiziari da sembrare l’occhio di una telecamera. 

Si possono perdere i figli, il padre e la libertà solo centrifugando qualcosa inscritto in una piccola traccia, in nanogrammi dal nome vagamente onomatopeico: acido desossiribonucleico. Qualcosa che per un muratore dev'essere come il rumore del frattazzo quando liscia la malta e ripassa l’intonaco. Non un sogno ad occhi aperti come quando guardiamo increduli la realtà quotidiana, magari scioccati, ma solo immagini oniriche. Non qualche centilitro di sangue dell’assassino, non la fenomenologia delle sue tracce e delle sue impronte. Solo una minuscola macchia dimidiata, scampata e miracolosamente rediviva dopo mesi passati all'addiaccio sotto sferzate d'acqua e scioglimento di neve, per raccontare e riprodurre un film, uno sceneggiato a puntate, come fosse tutto immagazzinato in un cd con immagini e sonoro.

C’è un sistema mediatico che sforna cold case con protagonisti telegenici, magari sporchi brutti e cattivi (oppure banalmente normali) per poterne poi enucleare il lato esoterico, malvagio e inquietante, personaggi che facciano alle bisogna per il sollazzo e la curiosità di un pubblico che sbadiglia se l'emoticon non lo soddisfa o, al contrario, si eccita se il narrato diventa morboso e intrigante. 

Le nuove icone del processo mediatico hanno la consistenza delle immagini di sintesi, sono costruite con i sistemi ricorsivi, i processori con i cicli iterativi e le routine di sistema. La realtà virtuale rappresenta la nuova frontiera dell’intrattenimento e del verdetto giudiziario, è il nuovo volto di una realismo inscritto nel circuito integrato, nel giudizio digitalizzato e informatizzato. Sono gli algoritmi invisibili. Lo spettacolo offre al target sempre più stupefatto e irretito un mondo virtuale, quello che ormai avvolge ogni aspetto della nostra vita.

L’utente ha bisogno di stimoli forti per dare consistenza all’indignazione e per ovviare alla noia di spettacoli troppo prevedibili. C’è la necessità di spostare il confine, di portare la realtà sempre più in là, oltre la linea della fantasia per dare nuova emozione al quotidiano mestiere di vivere. Lo spettatore vuole una botta di immaginazione produttiva, di immagini fantasmatiche, di effetti speciali. Vuole la realtà aumentata. 

Sullo schermo Massimo Bossetti catturato e immobilizzato come un serial killer da una ventina di telegenici rappresentanti delle forze dell'ordine, beccato su un'impalcatura in flagranza di lavoro, è già icona da rappresentare in un serial televisivo. Il muratore ha già nel suo DNA, come un personaggio da film, la diegesi narrativa, tutto il cold case strutturato nell'anteprima, compendio e deduzione della trama. L’omicidio è uno script con le scene numerate, gira nella cronaca giudiziaria - e nella testa del telespettatore - con tutta la suggestione del provino. Nello screen, in primo piano un anonimo grida la sua rabbia. Sull'auto della polizia che sfreccia via c’è proprio l’assassino. Ed ecco l’espressione del viso del protagonista, lo sguardo poi replicato in ogni fotografia, ‘telegenico’, l’icona che ci mostrano sempre con il gatto nero. 

Troppo realismo potrebbe insinuare qualche dubbio, lo spettatore bisogna lasciarlo immaginare, completare e integrare. I suggerimenti e le imbeccate per sviluppare il copione hanno il tono discreto e neutrale delle immagini subliminali, delle allusioni metaforiche, dei suggerimenti buttati nell'etere con nonchalance. Il circuito integrato fa solo da supporto al messaggio... lo spettatore è già parte della storia, è lui che integra le parti mancanti, fa da link dei capitoli, completa i vuoti della regia, è protagonista e sceneggiatore del cold case anche quando si crede solo un fruitore. 

Per costruire il personaggio occorre una narrazione, magari le lettere dal carcere, lo scandalo di un uomo isolato e depresso che cerca un rapporto, che prova a darsi una ragione di quello che gli accade. Le missive sono uno scoop, cartina al tornasole di un fedifrago incallito, di un perverso recidivo... non di un uomo affranto, incredulo per l’incubo dove si trova immerso, per la solitudine, per la mancanza dei suoi affetti che cerca di rompere l’isolamento nell'opportunità che gli viene offerta con ‘disinteressata indulgenza’: un contatto umano

Non ha importanza che i presunti colpevoli, magari innocenti, non abbiano la consistenza e lo spessore di persone reali, disperate, depresse, frastornate e incredule per quanto cade loro tra capo e collo. I protagonisti sono come i poligoni di Flatlandia, umanoidi virtuali, convenzionali e appiattiti: semplici figure senza recto né verso, texture da computer grafica. Nella nuova realtà virtuale dove siamo tutti immersi, il personaggio è solo un prodotto digitale. Gira nel cold case televisivo con una narrazione di fantasia, un canovaccio di stereotipi e di decalcomanie. Il confine è tracciato in quella terra di nessuno con fantasmagorici effetti speciali: la realtà amplificata. 

Gli avatar e i modelli sono cavati fuori da romanzi d’appendice, parodie, slapstick dalla comicità elementare, arlecchinate da commedia dell’arte... e poi implementati nell'hard disk del circuito mediatico. Si tratta di quei serial ai quali da anni l’utente è assuefatto con le ricette e la creatività criminologica da nouvelle cuisine. Per creare il personaggio si usano le telenovele, le pagine di un fotoromanzo, sceneggiature da film. Occorre però formattare. La realtà virtuale richiede di amplificare, dilatare, inventare. Se il personaggio è banalmente normale, inverosimile come serial killer, del tutto inadatto al ruolo, è necessario introdurre correttivi, spostare l’attenzione, sottolineare, incrementare, aggiungere l’ingrediente adatto. 

Se degli shampoo di colorazione per capelli possono sembrare banali, si può puntare sul colore eccentrico e smodato, indicarne la frequenza esagerata, trasformare l’elemento estetico nel sintomo di un’etica anomala, tradurre l’originalità di una foggia o di un nuovo taglio di capelli come indizio di una perversa e inquietante attitudine alla trasgressione e alla depravazione. Una ragazza che migliora il suo aspetto per sentirsi meglio di fronte alle telecamere è qualcosa di normale nella realtà reale. Non in quella virtuale amplificata che con pochi trucchi trasformerà i capelli "sistemati" per l'occasione in indizio di colpevolezza. Un po' come le "lampade" che si permette di fare un semplice muratore. Sono gli effetti speciali che trasformano la realtà comune in virtualità colpevolista... e se la sabbia non basta per dare corpo a una sepoltura, perché nella realtà delle cose serve solo a costruire un marciapiede, c’è pur sempre il narrato filmato in quel di Chignolo: musica giusta per l'occasione e immagini oniriche, fantasmatiche, letterarie e romanzate, che sviluppano un copione. 

Si racconta il film nel dettaglio con tanto di inquadrature, primi pani, stacchi e dissolvenze. Proprio come se una macchina da presa virtuale avesse registrato tutto senza omettere la crudeltà, la perversione, la ferocia del presunto assassino. Ed è così che lo spettatore viene indotto a vedere un filmato con la mente. Non ci sono testimoni, ma il video immaginario dell'omicidio esiste e va in "memoria": è quello in cui si vede la vittima correre al buio su un campo incolto, è quello in cui una goccia liquida dell'assassino cadendo a rallentatore si adagia sulle parti intime della vittima. Ed il punto è strategico e fondamentale...

Nella griglia amplificata e replicata di una minuscola chiazza biologica (nanogrammi) c’è tutto il ciak si gira, il prologo e l’apologo, il romanzo coi capitoli, tutta intera la pellicola, il film con le scene: non manca neppure lo storyboard con indicati i movimenti della macchina da presa. Il film d’animazione per la preparazione dello spot pubblicitario è come un catalogo dal quale trascegliere, inquadrature illustrate proprio come faceva Alfred Hitchcock. L’intera ricostruzione di un delitto da un semioforo è simile alle bozze illustrate di un Jurassic Park di Spielberg o di un Terminator di James Cameron. Virtualmente la storia a puntate sta scritta tutta lì, nella sintesi degli acidi nucleici. È come se il profilo genetico di una piccola traccia priva di mtDNA - monca e analizzata con kit scaduti, resistente per mesi ai batteri, alle intemperie, all'umidità e senza identità d’origine del fluido biologico - fosse l’occhio magico di una telecamera che riprende per intero il film di un delitto. 

Non c’è più bisogno di periferiche (occhiali, cybertuta, guanti, auricolari, trackball), l’immersione totale dello spettatore avviene senza joystick e senza monitor, senza grafica vettoriale, la finestra percettiva dell’utente è ormai quella implementata direttamente nel processore del medium cerebrale, nel sistema limbico, sullo schermo emozionale della caverna platonica, il cyberspazio di Neuromante e il meta-verso simulato e artificiale di Matrix.

Però occorre anche dare consistenza psico-caratteriale al personaggio inquadrato, altrimenti troppo piatto e convenzionale. Si trasformano le battute spiritose, i motti di spirito, le facezie di Bossetti durante il duro lavoro (che si sforza di alleggerire con l’ironia e con lo scherzo) in un profilo da bugiardo matricolato, di mentitore seriale. Se uno le racconta grosse per far ridere, motteggiare e divertire è sufficiente cambiar di segno, trasformare l’attore in un mentitore, il burlone in un guitto, tradurre la boutade in un sintomo pernicioso e in una malefica attitudine a dissimulare, mentire e ingannare. 

L’epiteto, il favola, diviene marchio di infamia ed elemento caratteriale semplicemente con una inversione semantica. Il ribaltamento figura-sfondo consente di rappresentare il personaggio secondo un piano prospettico idoneo e cattivante. In fondo basta davvero poco per cambiar di segno, rendere un copione dall'aria dimessa in uno script di successo. Per creare il personaggio occorre assemblare riformattare amplificare e pescare elementi biografici alle bisogna, reinterpretandoli secondo il taglio che serve per rendere verosimile la storia da raccontare e da fargli indossare. 

Con il vestito nuovo dell’imperatore, un buontempone può diventare un mendace, una ragazza timida e sensibile trasformarsi per effetto ‘placebo’ in una lucida depistatrice, una spietata simulatrice, una perfida ingannatrice. Sabrina Misseri e Cosima Serrano costituiscono la più perfetta sintesi di come la realtà virtuale riesce a creare dai contenuti onirici, dal gossip, dalla psicosi collettiva, uno schermo di proiezioni: il transfert che dà un volto all'immaginario e ai fantasmi del sonno della ragione.

Un evento drammatico che turba la vita tranquilla di un paese riesce a evocare sospetti, dicerie, allucinazioni, miraggi: il confine tra reale e virtuale si diluisce e scompare senza soluzione di continuità, tutto diventa possibile in un immaginario senza più remore né limiti. Come nel testo manzoniano della Storia della colonna infame le sporcizie sui muri che erano lì da sempre diventano ‘le onte’ paradigmatiche e nefaste degli untori che la gente corre a bruciacchiare. Potenza evocatrice della suggestione, le fantasie trovano sfogo nel sogno e in quella realtà virtuale che talvolta si fa strada nell'isteria di massa, negli influenzamenti e nelle dicerie, nei falsi ricordi, conversioni, miracoli... spettri. I fantasmi acquistano consistenza di realtà, traducono la psicosi collettiva in trame romanzesche e deliri narrativi. Accade in tutte le epoche. Talvolta nel contagio fantasmatico cade anche quell'istituzione che dovrebbe mantenere i nervi saldi e il controllo delle proprie emozioni. 

Possiamo credere che sia tutto frutto delle nuove tecnologie, con i processori di ultima generazione in grado di simulazioni e illusionismi? In realtà i sogni, le chimere, le suggestioni, le proiezioni e i deliri fanno parte del nostro bagaglio antropologico, costituiscono perfino un aspetto creativo della cultura. Sempre che chi giudica sappia individuarne il confine, affinché l’immagine onirica e i dati quantitativi (numeri e lettere) non diventino l’immagine dell’incubo, il virtual reality di un illusionismo criminologico, i ‘plug-in’ e le estensioni di un ‘realismo psicologico’ da immersione, un reality show dove non si distingue più il sogno dalla realtà. Un mondo illusorio e artefatto coinvolge i sensi e le risorse cognitive dell’utente sempre più isolato dal mondo reale, una second life dove perfino la simulazione acquista consistenza di realtà. Il romanzo cyberpunk non è ormai più confinato nella narrativa di Philip K. Dick o di William Gibson, trova spazio e ispirazione negli inserti mediatici di una utenza persuasa che il mondo vero sia quello digitale, quello degli hacker e dei cracker, nelle motivazioni di condanne sull'onda del X3D in ambienti virtuali interattivi.

Basta davvero poco a cambiar di segno e da una minuscola traccia sul reticolo e sullo schermo adatto, amplificato, settorializzato, moltiplicato, aumentato e centrifugato come panna montata, il film acquista dimensione e rilevanza, diventa un colossal con l’anteprima, la presentazione, la critica cinematografica, gli esperti, gli sponsor, le analisi strutturali e… perfino gli spettatori. Il topolino partorisce un’intera orografia di montagne. Da un Dna monco e redivivo, un millesimato con tanto di bollicine, il film ha finalmente trovato la sua rappresentazione con il soggetto, il trattamento, la scaletta, il découpage e le didascalie

Riuscire a costruire un intero copione da qualche nanogrammo di materiale genetico - trovato su un corpo rimasto per mesi in un campo e in balia di chiunque - sfida non solo la bravura di un bravo sceneggiatore e di un regista della nouvelle vague, ma anche i nuovi generi della fiction, la fantascienza e il noir, il Grande Fratello vip, il pulp, lo zombie. Perfino il test di Turing nel film Blade Runner sarebbe inadeguato per rappresentare il riconoscimento dell’avatar, del mostro alieno nascosto sotto le sembianze del nDna miracolosamente e graniticamente risuscitato (però inopinatamente dissolto nel processo di sequenziamento). Il topolino alla fine ha partorito (virtualmente) un’intera orografia di montagne. 

Se poi qualche elemento stride e contraddice la sartoria del prêt-à-porter, se ancora l’abito non fa il monaco, si inventano accessori, si costruiscono trame e orditi collaterali per rendere la storia congeniale ai gusti e alla moda del momento, idonea per far girare il film direttamente nella testa dello spettatore. È la realtà virtuale che avanza e il confine svanisce già là dove il Manzoni - senza i nuovi linguaggi di programmazione e senza i processori di ultima generazione - ne aveva illustrato e anticipato la struttura e la logica nelle sue pagine immortali di autentica epistemologia giuridica nella Storia della colonna infame.

La narrazione oggi è però sempre pronta a cambiare registro e se occorre a dare una botta di ‘realismo’, fornire uno spunto spettacolare, incrementare l’interesse, magari con qualche allusione, circonvoluzione, suggerimento, indiscrezione... Con l’algoritmo giusto può saltar fuori qualsiasi profilo caratteriale, qualsivoglia maschera del programma "metti un assassino a cena", con opinionisti e criminologi sullo schermo a far da contorno. Se necessario dall'oggi al domani si può perfino trasformare Abele in Caino solo spostando un po’ il baricentro della storia, evidenziando qua e sottraendo là. Anche la Giustizia si è adeguata. La realtà virtuale è ormai un film che non conosce confini...

Una ragazza sensibile e dalla vita irreprensibile, Sabrina Misseri, viene frantumata e triturata nel frullatore mediatico, ricomposta e formattata nell’immagine di una strega del Macbeth usando tutto l’armamentario di un borbottio da Gramelot, il pettegolezzo, il movente della gelosia - il classico passepartout per tutte le salse – oppure segreti e misteri così arcani da rimanere per sempre un enigma: retoriche buone per rabberciare una caricatura e per innescare il sospetto, la maldicenza ed il gossip, il mondo virtuale dove le fantasie diventano realtà. 

Il ‘cervello nella vasca’, la finzione epistemologica del matematico Hilary Putnam, si trova concretizzata nello scenario sempre più ‘realistico’ di una utenza immersa in liquidi nutritivi e collegata con dei fili a un super computer, tanto da potersi illudere di vivere nella realtà vera e non in quella simulata. È la ripresa metaforica dello scetticismo cartesiano, ma applicato a una realtà che oggi è di tipo mediatico e culturale, la cultura di uno scientismo acritico legato a interessi ideologici ed economici.

Nell'accusa di (pedo?)pornografia, il Modeling Language da file VRML, il concetto di comportamento osservabile è cosa che meriterebbe un approfondimento, sia riguardo a cosa sia l’osservabile e sia riguardo cosa rappresenti la navigazione. L’argomento è scottante perché ormai nei tribunali veleggiare sul World Wide Web rappresenta indizio o addirittura prova di un crimine o comunque elemento rilevante per definire la personalità borderline di un imputato o di un attore sociale. La problematica è emblematica non solo delle nuove tecnologie di comunicazione, del modo di intendere la privacy o dei limiti delle libertà civili. Nei riferimenti psico-sociali ai comportamenti in rete c’è qualcosa di più di un semplice allargamento del controllo e della sorveglianza in merito alla sicurezza e alla tutela sociali. 

Non si tratta solo di una questione di (eventuali) schedature e mappature invasive. Ancora una volta si tratta di quella realtà virtuale dove il confine è indeterminato, sia perché la navigazione è in parte sotto il controllo degli automatismi di sistema (il browser, l’interfaccia, la pubblicità…), sia perché si tratta di un processo alle intenzioni, il classico indizio ricavato da una proiezione e attribuzione sociale (incerto dove sia il confine tra la curiosità e la perversione, l’inconscio e l’io consapevole). Si è nel campo dell'incerto... e vai a capire quando la navigazione è davvero nelle mani dell’utente e quando il timone è appannaggio di qualche perverso ‘automatismo di sistema’. Non esiste ancora un algoritmo in grado di derubricare lo stile di navigazione, le pulsioni autentiche, il movente dell’andare a diporto con tutti gli allettamenti e le lusinghe di finestre che si schiudono a un navigante disperso nel paese dei balocchi, con il gatto e la volpe a far da guida.

La sceneggiatura in definitiva si regge tutta su qualche nanogrammo di Dna, una macchiolina sopravvissuta miracolosamente alla preistoria (biologicamente parlando), magari soltanto un trasferimento o un ignoto-uno da banalissima mosca colonizza-cadaveri. Tra un sogno e una mosca c’è solo lo iato impercettibile di un ergastolo. Basta davvero un niente nel Bel Paese, in nome di quel principio – al di là di ogni ragionevole dubbio - per rendere certe perfino le immagini oniriche e la microscopia elettronica che amplifica la capocchia di uno spillo, magari il vomito di una Calliphora vicina o, chissà, magari una mano virtualmente e proditoriamente ad accarezzare un reperto. Freudiana interpretazione dei sogni e biologia da avanspettacolo, con tutte le prerogative per un film con effetti speciali, chroma key e naturalmente la realtà virtuale (sogni e illusionismi) dove i paesaggi evanescenti e le chimere sono l’argomento per antonomasia. Ormai non sappiamo bene dove si situa il confine (se c’è un confine…) tra un sogno e un metodo quantitativo applicato a qualche nanogrammo di DNA sopravvissuto miracolosamente.

È la realtà virtuale che tanta scienza da spettacolo mediatico ha ormai trasformato in realtà reale. L’immagine di sintesi, la griglia alfanumerica applicata a materiale onirico e a nanogrammi di materiale genetico. Non più il sangue dell’assassino sparso sulla scena del delitto, non più la sua pistola o il suo coltello...

Il cinema e gli spettacoli multimediali ormai hanno reso incerto il confine: in fondo la vita è sogno... come dice il poeta. Nella realtà virtuale, l’uomo moderno ha da tempo smarrito la consapevolezza che quel confine tra reale e virtuale esiste per davvero e che la scienza che opera al di fuori delle situazioni controllate del laboratorio sperimentale (con tutte le variabili conosciute nei processi di inferenza tra indipendente e dipendente) non porta prove di alcunché, solo dati numerici relativi a tracce, impronte e segni che potrebbero avere collegamenti con un omicidio... ma che potrebbero anche essere soltanto un link casuale, un artefatto, un qualcosa di secondario, di indeterminato e illusorio

Un po’ come i sogni che la psicoanalisi va interpretando, senza la pretesa di dar loro consistenza di realtà fattuale ma come semplice espressione di desideri e... rimozioni.

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9 commenti:

Annamaria Cotrozzi ha detto...

Caro Gilberto, intanto complimenti per l'articolo, profondo e ricchissimo di spunti di riflessione. Per coincidenza l'ho letto stamani dopo un'altra lettura, quella delle pagine di un libro di Paola Mastrocola, "L'amore prima di noi", dedicate al racconto del mito di Elena, pp. 42-57. Come si sa, del mito esiste infatti una versione, quella accolta nell'omonima tragedia di Euripide, secondo a cui a Troia non sarebbe andata la vera Elena (prodigiosamente portata invece in Egitto), ma un suo doppio fatto d'aria e di nulla, il suo "eidolon". Quindi tutte quelle stragi e quei dieci anni di guerra e dolore si sarebbero consumati intorno a una vana parvenza, a un evanescente simulacro (che infatti alla fine svanì), un "eidolon" appunto, immagine vuota. Non sto a a sottolineare il valore simbolico, metaforico, filosofico persino che tale versione del mito di Elena può rivestire ancora oggi - anzi soprattutto oggi, nella virtualità che permea così capillarmente e invade così pesantemente la nostra vita reale. Un sogno, come tu dici, tiene in carcere due innocenti, le quali a loro volta sono rappresentate, agli occhi dell'opinione pubblica, non da quello che veramente sono, una ragazza semplice che quel giorno voleva solo andare al mare con la cugina, e sua madre, una donna che quel giorno riposava sfinita dall'essersi alzata alle tre per andare a lavorare nei campi. No, il pubblico vede i loro doppi costruiti ad arte da una mediaticità ben orchestrata, dove non alberga alcun senso morale, alcuno scrupolo, alcuna voglia reale di verità. E i loro doppi sono le due "megere", le due "streghe" da mandare al rogo, le due "assassine che addirittura avrebbero agito in preda a un raptus "a due". Sappiamo bene che questa ricostruzione davvero onirica non torna in nulla di nulla, né negli orari, né nella verisimiglianza, né in tutto il resto. Quella "Sabrina" e quella "Cosima" della fiction televisiva da quattro soldi non sono altro che ologrammi, comodi ologrammi per ingannare l'occhio degli spettatori, che ci vogliono credere a quel film, a quel racconto fantastico, perché ormai già ci hanno creduto e hanno paura di tornare indietro, di ricredersi. Non vogliono sentirsi dire che era tutto un sogno, però è così invece, siamo nella dimensione del sogno. Del sogno divenuto ormai collettivo, sogno che meglio sarebbe chiamare delirio. E, come giustamente dici, nel sonno della ragione.

giberto ha detto...

Cara Annamaria
La civiltà greca, con il mito aveva già visto tutto e assaporato il carattere illusorio di quella realtà che appare come vera e che invece nasconde l’autoinganno, la decettività non solo del medium, ma una ‘sensorialità’ fatta di stereotipi e luoghi comuni, le scorciatoie del mondo parvente della caverna platonica dove si proiettano le immagini oniriche, i pregiudizi e gli errori di una mente ‘malnutrita’. Voglio ricordare anche l’effetto Pigmalione nelle due versioni, quella greca e quella latina (uno dei fenomeni di contagio collettivo più studiati in psicologia sociale alias profezia che si autoadempie).

Il mitografo Filostefano di Cirene, (III secolo a.C.) narra di Pigmalione re di Cipro che si era innamorato della statua di Afrodite al punto di crederla vera e immaginare di poterla possedere. In Ovidio (Metamorfosi), Pigmalione non è più un re ma un artista, uno scultore, che si innamora di una sua statua, una figura di donna. Implora Afrodite di trasformare il simulacro in una persona reale, per poi poterla sposare.

Allo stesso modo accade con dell’infimo materiale genetico in una situazione off control e di sopravvivenza inverosimile. I fantasmatici nanogrammi trasformano qualsiasi dato comportamentale di un muratore, i fatti più banali e insignificanti, più ordinari ed insulsi in un segno di conclamata colpevolezza. Un sogno, come dici “tiene in carcere due innocenti, le quali a loro volta sono rappresentate, agli occhi dell'opinione pubblica, non da quello che veramente sono, una ragazza semplice che quel giorno voleva solo andare al mare con la cugina, e sua madre, una donna che quel giorno riposava sfinita dall'essersi alzata alle tre per andare a lavorare nei campi”.

Si tratta proprio della suggestione che non è più solo quella della ‘società mediatica e degli sponsor’, è quella che da anni gira negli stereotipi e nei pregiudizi di persone e istituzioni, una caverna platonica nel sistema limbico di un target sempre più incapace di distinguere tra reale e virtuale.

Annamaria Cotrozzi ha detto...

Vero, Gilberto. Stiamo vivendo una situazione del tutto nuova e che fino a pochi decenni fa sarebbe stata persino imprevedibile, eppure questo sconfinamento dell'immaginario nel reale a cui i nuovi media ci stanno abituando ha origini antichissime, ben attestate dalla letteratura e dalla filosofia del mondo classico. Certo, va detto che tutto questo serve a ricostruire la matrice del fenomeno, ma il dato antropologico in questione non attenua la responsabilità di chi trasforma le persone reali in personaggi e quei personaggi dà crudelmente in pasto al pubblico, con irresponsabile superficialità, solo per ricavarne audience. Perché, se è vero che le persone che sono in carcere nulla hanno a che vedere con i loro "doppi" inventati dalla tv (a partire da presunti indizi o espressioni facciali o fotogrammi e video riproposti ossessivamente) e messi in scena per l'intrattenimento, è altresì vero che tali persone in carne ed ossa, quelle, ripeto, che stanno soffrendo in questo preciso momento e da lungo tempo, ristrette in carcere in attesa di giudizio, ricevono enorme danno dall'essere raffigurati nei suddetti "ologrammi" creati dalle chiacchiere dei salotti e ormai materializzatisi nella testa degli spettatori. Insomma, con i modelli letterari che abbiamo individuato (l'eidolon di Elena, la statua di Pigmalione ecc.) siamo ai livelli più alti della creatività artistica, e un distinguo a questo punto è d'obbligo: certa attuale cialtroneria dell'informazione (i romanzetti d'appendice spacciati per esercizio del diritto/dovere di cronaca) non merita l'accostamento, troppo nobile e nobilitante, con il mito e la letteratura: o quanto meno va detto chiaro e tondo che siamo al gradino ultimo del progressivo abbassarsi di quei lontani archetipi.

Manlio Tummolo ha detto...

Carissimo Gilberto,

non serve che ti dica quanto sono d'accordo con te. Il guaio che tutta la metodologia persuasiva (altro che l'antica retorica !) dei mezzi di rincretinimento delle masse ha successo perché l'uomo in prevalenza accetta i sofismi di autorità (dall' "ipse dixit" al "credo quia absurdum", fino allo scientismo positivista tuttora esistente, che fa ritenere la "scienza" come la "verità assoluta", invece che come dubbio, ricerca, provvisoria acquisizione, ecc.), sia per comodità mentale (pensare costa fatica, i cervelli umani non allenati vanno in fumo a porsi domande o esaminare tesi non accettate dalla massa), sia per pura ignoranza, talvolta anche per cattiva fede (star sempre con la maggioranza). Ora, finché la maggioranza dell'umanità non si libererà da questi rozzi sofismi, l'opera subdola e viscida di persuasione delle masse continuerà in eterno, fino alla sparizione della nostra presuntuosa specie di "homines sapientes sapientes".

magica ha detto...

buonasera signor TUMMOLO .
CREPO DA RIDERE nell'immaginare le facce di quelli che leggono i nostri commenti . ormai hanno avuto una dose di indottrinamento . e va bene . pero' informarsi no?? ragionare no?
almeno chi dissente potrebbe esporre le sue considerazioni , e controbattere .
non siamo sotto tiro dalla mafia .

Gilberto ha detto...

Caro Manlio
L'approfondimento richiede di mettere in discussione tutto, anche quello che sembra evidente. Vedi il discorso sul metodo cartesiano. Siamo nell'epoca dove le verità si acquistano al supermarket e gli aggiornamenti si scaricano direttamente dal web. Nel nostro Paese la formazione ‘scientifica’ è in realtà quella del tecnico che opera secondo i protocolli della sua disciplina senza porsi tanti problemi di ordine epistemologico. I fisici fanno eccezione per tradizione. Dello scrupolo epistemico ne hanno sempre fatto un punto di forza, prima ancora dei paradossi della meccanica quantistica che sollecitano a una presa di distanza critica da qualsiasi costrutto teorico che abbia una pretesa conclusiva e indiscutibile. Gli studiosi dei principi e delle leggi fisiche, sono sempre alla ricerca di spiegazioni non convenzionali e scevri da pregiudizi che ostacolino la ricerca sperimentale (il caso recente di alcuni dati che metterebbero in discussione il modello standard non li ha buttati nello sconforto, ma al contrario eccitati per qualche nuova inattesa scoperta). Il fisico per formazione è portato in genere a non sottovalutare le anomalie e anzi a farne un punto di forza per progredire nella ricerca senza occultare le aporie e le incongruenze e senza oscurare o manipolare i dati per renderli compatibili con la teoria. Il principio di indeterminazione ne è l’esempio più eclatante, ma non bisogna dimenticare che nel Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo già Galileo, nonostante il credo che la natura sia scritta in caratteri matematici (una sorta di fede laica), dimostrava quella apertura mentale espressa dalla figura di Sagredo, a simboleggiare quel pubblico attento e non condizionato da pregiudizi.

Manlio Tummolo ha detto...

Concordo con te, come con Magica, carissimo Gilberto: il problema è che, come Aristotele era un personaggio serio che, per i suoi tempi, studiava i fenomeni con spirito critico (suo è il celebre detto "Amicus Plato, sed magis amica Veritas"), ma i suoi tardivi seguaci poi ne fecero un idolo da non toccare e da non riesaminare mai, così è avvenuto per Galilei e tanti altri grandi studiosi della natura, che vennero scambiati per opere bibliche intoccabili. Così vediamo quanto irriti anche solo sollevare qualche domanda sul DNA, ormai diventato un nuovo idolo, invece che un semplice oggetto di studio, ben lungi dall'essere esaurito: un cammino che si rivela, a chi medita sulle cose, appena agli inizi .

Vanna ha detto...

Gilberto buongiorno.
Prendo dal tuo interessante articolo:
"...La sceneggiatura in definitiva si regge tutta su qualche nanogrammo di Dna, una macchiolina sopravvissuta miracolosamente alla preistoria (biologicamente parlando), magari soltanto un trasferimento o un ignoto-uno da banalissima mosca colonizza-cadaveri. Tra un sogno e una mosca c’è solo lo iato impercettibile di un ergastolo. Basta davvero un niente nel Bel Paese, in nome di quel principio – al di là di ogni ragionevole dubbio - per rendere certe perfino le immagini oniriche e la microscopia elettronica che amplifica la capocchia di uno spillo, magari il vomito di una Calliphora vicina o, chissà, magari una mano virtualmente e proditoriamente ad accarezzare un reperto. Freudiana interpretazione dei sogni e biologia da avanspettacolo, con tutte le prerogative per un film con effetti speciali, chroma key e naturalmente la realtà virtuale (sogni e illusionismi) dove i paesaggi evanescenti e le chimere sono l’argomento per antonomasia. Ormai non sappiamo bene dove si situa il confine (se c’è un confine…) tra un sogno e un metodo quantitativo applicato a qualche nanogrammo di DNA sopravvissuto miracolosamente.

È la realtà virtuale che tanta scienza da spettacolo mediatico ha ormai trasformato in realtà reale. L’immagine di sintesi, la griglia alfanumerica applicata a materiale onirico e a nanogrammi di materiale genetico. Non più il sangue dell’assassino sparso sulla scena del delitto, non più la sua pistola o il suo coltello..."

Condivido in pieno, prima ancora di leggere gli altri commenti, di getto ti scrivo l'immediato che mi viene.
Sembra che l'uomo per mezzo della realtà virtuale stia perdendo autonomia spirituale per assumere le modalità robotiche.
Si stanno facendo le prove pre-chip sottocutaneo, intanto siamo inondati da molti stimoli suggestivi che ci alterano progressivamente in un continuo inquinamento alimentare, sociale, mentale, emozionale. L'UOMO sembra navigare alla deriva, le sue domande non ricevono risposte e quando anche le dovessero ricevere sono prive di significati e piene di dubbi e confusione.
Siamo tornati alla Torre di Babele.

boboviz ha detto...

E, oggi, Stasi.....