lunedì 26 febbraio 2018

Sì, ormai la vita è tutta un film: Stragi nei college, ragazze fatte a pezzi... crimini che lo spettatore moderno elabora come fossero puntate di un virtual reality

Di Gilberto Migliorini


Nei recenti casi di cronaca italiani (ragazza fatta letteralmente a pezzi) e americani (ex studente che ammazza e ferisce a fucilate decine di persone in un tiro al bersaglio) ci si interroga sul fatto sconvolgente, ci si chiede come possa accadere qualcosa di così orribile e nefasto. Lo stupore, il disgusto e il raccapriccio sembrano però far parte di un copione, un film già visto in qualche fiction televisiva, il classico sceneggiato con qualche serial killer che sa interpretare il personaggio con un buon realismo. La netiquette del navigante, nel palinsesto delle notizie dell’ultima ora, richiede che lo stupore sia la notizia sconvolgente che suscita interesse in quanto atroce, efferata ed oscena, oppure al contrario lodevolmente edificante con una lacrima di commozione liofilizzata.

Con gli approfondimenti di routine riguardo ai crimini, nelle disquisizioni degli esperti e dei retori calligrafici, sorge già nell’utenza lo sbadiglio per le retoriche di circostanza e le disamine psico-sociali. Ci si pone già in attesa di qualcos’altro che possa, quello sì, sorprendere per davvero dopo l’immancabile pubblicità e il commento criminologico. Per quanto atroce la notizia ha il carattere effimero di un lampo… c’è pur sempre il nuovo gigantesco meteorite che sta per schiantarsi sul pianeta, la catastrofe ambientale che incombe, l’invenzione del secolo che ci cambierà la vita… Lo stupore o lo sdegno hanno le ore contate, talvolta pochi minuti se lo spot pubblicitario sta arrivando e c’è già dell’altro che fa notizia.

Per dirla senza infingimenti, i fatti criminali, anche i più efferati, sembrano suscitare gli stessi stupori dei format dei serial televisivi, notizie che non si sa bene se rappresentano la cronaca dal vivo o sono inventate ad arte per condizionare l’utente con il dito che in automatico agisce sul telecomando.  Perfino i morti ammazzati in una scuola potrebbero essere soltanto un reality, proprio come un’isola dei famosi dove non si sa mai bene cosa preveda il copione. Nell’utente sorge il dubbio che i ruoli siano già da sempre ben definiti e che nessuno violi le regole anche quando sembra trattarsi di palese trasgressione dello script… perfino in un macello con morti e feriti. Lo scandalo in diretta e lo scoop efferato per quanto ben confezionati… hanno bisogno del gossip e della maldicenza per dare corpo e sostanza a un copione altrimenti asfittico e prevedibile. Il ruolo attivo dello spettatore comporta l’adeguamento del format seguendo gli ascolti e il fiuto della regia. Il colpo di scena, la défaillance e l’evento tragico potrebbero essere scritti a chiare lettere nella sceneggiatura senza per questo venir meno il ruolo dello spettatore che influenza il format con il suo indice di gradimento.

Abituati alle stupefacenti diavolerie tecnologiche che costellano la società del ventunesimo secolo e alle fiction che avvolgono il quotidiano mestiere di vivere, anche il più efferato dei delitti richiede dallo spettatore-fruitore il suo contributo per dar peso allo share. Si sa… l’osservatore modifica la realtà sperimentale, si decide se un fatto sia vero quando scatta la molla… Sullo schermo si tratta di pixel che si accendono, si spengono, cambiano di tonalità e lucentezza. I punti luce che suscitano emozioni, sdegno e commiserazione, hanno però il carattere effimero ed evanescente degli stacchi e delle dissolvenze, lo spot pubblicitario riesce di colpo ad azzerare l’attenzione e diluire le emozioni tra una saponetta e un tampone vaginale. L’attenzione selettiva dello zapping, prima dello stacco pubblicitario, richiede di immedesimarsi col personaggio, di provare empatia, commuoversi… poi ci si dimentica in attesa di qualche nuova notizia  che fiorisca tra gli spot…

Il problema emergente sembra essere il confine incerto tra quella che si usa chiamare realtà virtuale e la realtà vera, un confine che però nessuno sembra più sapere esattamente dove collocare. Siamo in attesa del coup de theatre che renda il finale imprevedibile, anche se ormai risulta difficile sorprendersi. Perfino il più efferato dei delitti finisce per annoiare, sembra un déjà vu, il plagio di uno sceneggiatore ripetitivo e inconcludente. Autore, attori, personaggi… e spettatori fanno tutti parte di uno spettacolo dove gli automatismi narrativi sono sotto diretto controllo dello share e della pubblicità commerciale. Il deus ex machina non è più solo metaforico, è direttamente implementato nei processori che selezionano in automatico le emozione dell’utente sulla base dei meccanismi s/r in cicli sempre più veloci di retroazioni. I chip si incaricano programmaticamente di svolgere la funzione attenta e zelante di imbonitori, addestratori e… affabulatori.

Alzando l’asticella, anche rendendo il palcoscenico pieno di morti e feriti, c’è bisogno di qualcosa di più sconvolgente per farci credere che sia tutto vero. I normali morti ammazzati in modalità standard, quelli uniformati secondo il galateo del delitto si capisce subito che sono le classiche fiction senza mordente e credibilità. Per farci credere di poter uscir fuori dalla caverna-cinema occorre che il regista superi i cliché, che ci metta abbastanza impegno per riuscire a sorprendere uno spettatore assuefatto alle crime story e alle guerre in giro per il mondo con carneficine che sugli schermi non sembrano poi così diverse dalle fiction e dagli sceneggiati televisivi.

L’indeterminazione quantistica sembra ormai riguardare la nostra percezione del vero e del verosimile. Lo spettatore-osservatore ormai fa parte integrante dello spettacolo, in tempo reale, sia pure statisticamente, nel processo dove l’indice di gradimento fa da feedback e modifica il concetto di realtà. L’azione di ritorno è ormai immediata, gli automatismi computazionali selezionano istantaneamente le nostre scelte e ridefiniscono standard e opzioni di consumo. Lo schiavo liberato del mito della caverna platonica più che uscir fuori a rivedere il sole è un Truman che si illude di varcare le colonne d’Ercole del suo mondo contraffatto. Famelici telespettatori lo osservano vagare  in un supermercato con telecamere e carta fidaty o sulla spiaggia di un’isola tropicale, forse ricreata in uno studio televisivo con onde artificiali e una comparsa truccata da Venerdì. Alla cassa l’utente accumula il credito e se esce fuori dalla caverna è solo per una boccata d’aria o la pausa pranzo, comunque sorvegliato da qualche telecamera di sicurezza.

Ma siamo ancora al margine di un processo del quale si intravedono le premesse e i futuri sviluppi. L’orrore riguarda la normatività degli eventi catastrofici così apprezzati e quel range criminologico cha va dal dottor Jekyll a mister Hyde . La strage operata da un ragazzo timido e isolato ci riporta  alle problematiche delle devianze, delle patologie, del crimine… I metodi quantitativi trasformano anche gli eventi più drammatici in numeri e tabelle su un foglio elettronico. Nella fiction è tutto intercambiabile, siamo dentro al film anche quando apparentemente sembriamo svolgere il ruolo passivo di spettatori. Scopriamo sgomenti che siamo proprio noi quello che sullo schermo sta sparando contro persone inermi o sta facendo a pezzi una vittima designata. L’identificazione proiettiva trasforma lo spettatore in interprete.

Negli ultimi decenni l’accelerazione tecnologica ha reso sempre più incerto il confine tra l’uomo e la macchina, non solo costruendo simulacri umanoidi (l’androide), simulando il pensiero, ma perfino riproducendo le emozioni umane nei processi computazionali. Mentre il robot assume sempre più le fattezze di persona, il soggetto umano diventa macchina desiderante secondo la logica asservita alla società dei consumi e ai valori del sistema mediatico.

Si intravede un futuro prossimo venturo nel quale sarà sempre più difficile operare distinzioni tra il mondo della caverna là dentro e la realtà vera là fuori. Il dubbio si insinua nelle coscienze col venir meno di qualsiasi certezza se esiste davvero una realtà che sia al di là dello schermo… se esiste un altro mondo all’uscita del cinema... Lo schiavo liberato diventa una figura di transito da una realtà virtuale ad un’altra realtà virtuale, magari più complessa, ingegnosa e appetibile… ma nel chiuso di una simulazione.

Cosa ci riserva il futuro dell’automazione computazionale? La fantascienza ormai classica ci ha raccontato di androidi che acquistano la coscienza del dolore (Blade Runner) di computer onnipotenti dotati di A.I. che prendono il sopravvento (2001 odissea nello spazio) di creature aliene votate alla sopravvivenza a discapito di altre (Alien). Sembrano scenari ancora nel solco di una realtà virtuale che si può tenere sotto controllo, dove i protagonisti umani conservano la capacità di combattere per il bene, mantengono la possibilità di fronteggiare l’antagonista.  Gli interpreti sanno riconoscere che l’alieno sullo schermo è una parte di noi, che è anche dentro di noi, il nemico da sconfiggere. Il richiamo è all’utente spettatore per renderlo consapevole dei rischi e delle incognite di una realtà problematica. In un film famoso degli anni 50, Il pianeta proibito, i mostri dell’id (in termini freudiani l’inconscio) riemergono a dimostrare tutti i risvolti della creatività umana, nel bene e nel male, e nell’impossibilità di automatizzare la libertà… senza il rischio di perderne il controllo.

Autori come Orwell, Huxley, Zamjatin… hanno affrontato il tema più sul versante psico-sociale mettendo l’accento sui risvolti esistenziali e sugli stereotipi antropologici. Perfino nella civiltà medioevale il tema del peccato è stato affrontato con sorprendente modernità in un’ottica che rifiuta il determinismo (vedi L'etica o scito te ipsum di Pietro Abelardo). Il peccato non è la mala voluntas, l’inclinazione al male, ma l'intentio o consensus animi , cioè la libertà di sceglierlo. La vita come illusione e come realtà virtuale è un tema dei poeti (la vita è sogno di Calderón de la Barca e il mondo è un grande teatro di Shakespeare).

L’indifferenza per il male viene derubricata in ambito psichiatrico, spiegata scientificamente come forma maniacale, interpretata mediante alterazioni ormonali in un contesto dove emergono gli automatismi della macchina-uomo risultato della biochimica di un cervello immerso nel suo ambiente con tutte le possibili deviazioni e manipolazioni, interpolazioni e condizionamenti.  La propensione al bene trova consonanza come plus e benefit in un sistema di pesi e contrappesi, il supermercato dove tutto ha un prezzo, dove le varie forme di beneficio hanno un valore di mercato e sono spendibili con carta di credito. Se qualcuno si mette a sparare sulla folla perde punti, la carta viene azzerata… In prospettiva c’è però la possibilità che il caso nel tempo possa trovare nuove risorse per riportare un credito... magari una bella sceneggiatura problematizzante e interattiva…

Il frutto proibito cresce nei grandi magazzini e può essere colto senza conseguenze solo se si possiedono le prerogative di consumo, un’adeguata credit card con la quale si può comprare una deroga alla trasgressione... Il peccato con i dovuti accorgimenti e vantaggi sociali non comporta sanzioni e diviene una modalità garantita là dove esiste la necessaria autorizzazione. L’imprimatur della scienza consente di espiantare organi a cuore battente utilizzando il concetto di morte cerebrale o di bombardare popolazioni se il protocollo non viola i trattati internazionali e la guerra viene autorizzata da qualche consiglio di sicurezza. La guerra regolata da accordi giuridici consente di fare a pezzi e uccidere in ragione della sicurezza e del diritto internazionale. L’orrore scatta solo quando sullo schermo compaia l’avvertimento che le immagini che seguono potrebbero turbare la vostra sensibilità.

 Quale lo scenario prossimo venturo di una società con cambiamenti sempre più rapidi in rapporto a due variabili emblematiche la sicurezza e l’automazione? Le regole sempre più fitte e invasive, con le connesse sanzioni, sono come un campo minato. Il rifugio in ambiti artificiali diventa sempre più una modalità di fuga da una macchina di tortura normativa che ricorda il racconto di Kafka Nella colonia penale. Quella della sicurezza è una macchina implacabile. Una società sempre più blindata in normative e regolata da leggi in ogni aspetto della vita diventa un luogo di tortura. Le moderne società con tutti i connessi processi di consumo sono sempre più complesse, e regolate da protocolli. A confronto di certe realtà semplici e immediate del recente passato i rapporti sociali diventato labirinti d’angoscia e interrelazioni di solitudini connesse in rete. I rapporti umani un tempo regolati da forme di empatia e immediatezza intuitiva si trasformano in relazioni formali, costantemente monitorate, controllate e registrate. L’automazione, nel farraginoso e complesso labirinto di regole, di opzioni e di apparati sembra in grado di promuovere gli algoritmi che sostituiscano l’utente in tutti i tipi di relazione, anche in quelle affettive.

Gli algoritmi di automazione sono ormai in grado di replicarsi, di produrre altri algoritmi. La macchina non è più soltanto la mera esecutrice del programma implementato nelle righe di istruzione. Il desiderio di onnipotenza e di potere può alla fine trovare dimora direttamente nell’alter ego robotizzato. Nel Pianeta Proibito del lontano 1956 se Robby, il robot scenico, sembra un prop antidiluviano, il film è forse il più visionario di tutta la fantascienza. Nelle macchine sono implementati i nostri sogni ma anche i nostri incubi e le nostre fantasie di onnipotenza. Lo strumento in grado di proiettare materia con il solo pensiero materializza anche i desideri dell’inconscio.


Gli automatismi rappresentato l’estremo tentativo di sottrarsi alla scelta, attribuendo ad una macchina la responsabilità delle nostre azioni. Il male sembra insinuarsi perfino nei circuiti elettronici e trovare tana nei chip di ultima generazione…

1 commento:

magica ha detto...

per colpa del poco tempo non ho letto tutto il post ,.tuttavia ormai siam abituati da: di tutto .
una volta sentivo dire spesso : si, la va da cosi', a peggio di cosi'.non mi inoltro di piu' per ora .