martedì 23 luglio 2013

Il finto oppositore

Articolo di Gilberto M.


“The Ministry of Truth, which concerned itself with news, entertainment, education, and the fine arts. The Ministry of Peace, which concerned itself with war. The Ministry of Love, which maintained law and order. And the Ministry of Plenty, which was responsible for economic affairs. Their names, in Newspeak: Minitrue, Minipax, Miniluv, and Miniplenty”. George Orwell 1984

Il 1984 di Orwell, celebre romanzo pubblicato nel 1949 che ha ispirato innumerevoli analisi sociologiche, programmi televisivi e opere cinematografiche, si apre con l’immagine della quaternità dei Ministeri che regolano l’organizzazione governativa di Oceania, uno dei tre stati in cui è ormai diviso il pianeta (Oceania, Eurasia, Estasia). I ministeri che regolano l’organizzazione sociale di Oceania (della Verità, della Pace, dell’Amore e dell’Abbondanza) evocano le quaternità fisiche e mistiche della cultura antica e medioevale. Il ministero della Verità si evidenzia con le sue sotterranee ramificazioni che si estendono sotto la città di Londra:

“It was an enormous pyramidal structure of glittering white concrete, soaring up, terrace after terrace, 300 metres into the air. From where Winston stood it was just possible to read, picked out on its white face in elegant lettering, the three slogans of the Party: WAR IS PEACE FREEDOM IS SLAVERY IGNORANCE IS STRENGTH” (Orwell 1984)

Ma è il ministero dell’amore, privo di aperture esterne e difeso come un bunker, che sembra incutere più paura a Winston Smith, il trentanovenne protagonista del romanzo.

1984 ci proietta in una realtà sociale che ha tutta l’apparenza opprimente e grigia di uno stato totalitario con i suoi controllori, come la faccia enorme di quel Grande Fratello che guarda onnipresente dai giganteschi manifesti, mentre i teleschermi (che insieme trasmettono e prendono immagini) rubano dentro alla privacy degli Appartamenti perfino il respiro, gli sguardi e i pensieri traditi da una espressione del viso. Nel cielo volteggiano elicotteri che spiano dalle finestre. Nella società del 1984 anche tenere un diario costituisce una violazione. Non c’è dubbio che George Orwell, pseudonimo di Eric Arthur Blair (Motihari, 25 giugno 1903 – Londra, 21 gennaio 1950) nel suo romanzo visionario prefigura già nel 1948 - quando tutto era ancora lontano anni luce - la nostra realtà attuale dopo l’avvento degli elaboratori elettronici, di internet, della televisione interattiva, degli smartphone. E’ davvero sorprendente come i testi letterari sappiano intuire e prefigurare concettualmente il futuro, come annusando quello che bolle in pentola, più ancora di certe analisi ‘scientifiche’ che vorrebbero prevedere il nostro avvenire sulla base del mirabolante progresso tecnologico. 

Il primo atto di trasgressione di Winston, solo un uomo qualunque nell’organigramma sociale - un membro subalterno del partito - è segnare sul suo diario la data del 4 aprile 1984. Ma già il protagonista avverte la mancanza di un interlocutore: come se il metaforico messaggio nella bottiglia non potesse mai giungere a qualche destinatario, come se davvero Winston fosse l’ultimo uomo in Europa, (da qui l’apocalittico titolo provvisorio dell'opera, The last man in Europe, poi sostituito in Nineteen eighty-four, probabilmente invertendo le ultime due cifre dell’anno di stesura). Di fatto nelle società avanzate il cartaceo sta diventando una modalità di registrazione e di comunicazione non solo obsoleta, ma anche deviante e in qualche modo trasgressiva e sospetta. Lo standard comunemente ammesso per rendere tracciabile e recuperabile qualsiasi scambio informativo è quello elettronico. E’ pur vero che anche il cartaceo può essere scannerizzato e trasformato non solo in immagine ma anche in Ocr (col riconoscimento ottico dei caratteri stampati o a mano libera) traducendo l’immagine in testo digitale. Però la procedura richiede tempi e modi ben più complessi di una immediata memorizzazione elettronica e senza l’ausilio di mediatori. 

La carta rappresenta una procedura di comunicazione epistolare esclusiva e privata (tranne quando diviene un atto pubblico) e come tale induce il sospetto che qualsiasi comunicazione che non risulti monitorabile (salvo il ridicolo richiamo alla privacy che di fatto è soltanto un rituale per ottemperare a una sorta di finzione scenica) risulta in qualche modo una modalità di comunicazione che può nascondere un atto eversivo, un tentativo di sottrarsi al controllo, un sotterfugio per violare delle regole. Ormai, salvo qualche effimera resistenza, stiamo scivolando nell’interconnessione totale: ogni aspetto della nostra vita viene tradotto in bit, in una scansione della nostra immagine e della nostra anima. Solo qualche emarginato sfugge al controllo onnicomprensivo e permane in quel limbo di perfetto sconosciuto, di personaggio invisibile, più per destino che per scelta. La carta, comprese le banconote, sta diventando piano piano uno strumento subdolo e sospetto. La moneta elettronica, oltre a disegnare la geografia degli acquisti e delineare un profilo caratteriale (e ideologico) dell’acquirente, induce al consumo spensierato attraverso il carattere immateriale del denaro, che diviene soltanto il riscontro numerico di una transazione. La moneta virtuale è soltanto un’icona, denaro immateriale e inesistente, un mero stratagemma contabile. 

Perfino a scuola l’uso dei formati elettronici sta diventando lo standard. La scrittura a mano libera o la vecchia macchina per scrivere appaiono non solo sistemi obsoleti, ma una modalità espressiva da carbonari e da massoni, un tentativo di sottrarsi alla comunità virtuale dove tutto è in rete, perfino le performances e giudizi degli alunni in una sorta di acquario trasparente. Il tablet, lo smartphone, la posta elettronica rappresentano il sostituto naturale della vecchia comunicazione epistolare in quanto interconnessi in una rete in cui la privacy è soltanto il nome illusorio per indicare un interlocutore esclusivo. E’ pur vero che esistono le password che delimitano territori franchi, recinti entro i quali possono entrare solo gli addetti ai lavori o chi possiede le opportune credenziali sotto forma di chiavi di accesso. Di fatto nessuno è però in grado di garantire che i database non possano essere interconnessi, violati, controllati da agenzie e poteri nazionali e sovranazionali in un hakeraggio che in nome del potere (variamente giustificato per la sicurezza) è in grado di accedere a qualsiasi informazione custodita nelle immense memorie elettroniche immagazzinate nei server. E’ uno scenario che ben conosciamo, ma che, come vedremo, implica molto di più di un semplice controllo.

Veniamo variamente invitati per questo ad abbandonare il cartaceo (salvo poi richiedercelo a conferma nell'opprimente e onnipresente apparato burocratico), a ricevere e trasmettere tutto per via elettronica adducendo il risparmio della carta e la salvaguardia dell’ambiente. Nella realtà proprio con l’avvento dei formati elettronici il consumo di carta ha subito un’impennata. Il cartaceo di fatto ha smesso di diventare un mezzo di registrazione e di archivio per diventare un sistema di notifica, di implementazione, talvolta di persecuzione burocratica e di sicurezza, nel caso di una irreparabile perdita di dati. La carta rappresenta per così dire l’aspetto legale, in attesa della firma digitale, il richiamo e l’ammonimento, mentre il formato elettronico la lusinga e l'allettamento a lasciarsi diluire nella realtà immateriale della rete. Sono quei dati che fluiscono sul monitor con leggerezza impalpabile, la magia informatica che crea pattern eleganti e trasforma lo schermo in una finestra sul mondo. Un mare da navigare talvolta con tranquilla disinvoltura e talvolta da sfidare con spericolata andatura di bolina. Sembra davvero di sentire il vento sul viso, quella sensazione di navigare liberi nell'orbe terracqueo.

Da un archivio elettronico con il taglia e incolla si può costruire e ricostruire tutto, shakerare e perfino falsificare i documenti. La facilità con la quale si elaborano e rielaborano le informazioni sotto forma di bit, consente di moltiplicare e riassemblare i moduli informativi con una burocrazia sempre più ipertrofica, ma soprattutto di controllare gli utenti non solo in quanto utenti ma soprattutto come fruitori, consumatori e in definitiva come reificazioni (cose) da trattare come semplici numeri in un database. I bancomat, le carte di credito, perfino le innocenti "carta fedeltà" costituiscono l’occhio onnipresente del Grande Fratello. Non siamo solo schedati. La schedatura rappresenta qualcosa di simile ad una fotografia statica, una cartella per lo più impolverata in uno schedario ingombrante e obsoleto. Con il formato elettronico siamo monitorati nei nostri percorsi di trasformazione, nelle opzioni decisionali, nei nostri processi evolutivi, perfino nelle nostre fantasie e nei nostri sogni trattati sotto forma di entità numeriche in divenire. Aggiornamenti istantanei, rielaborazioni in diretta con un battito di ciglia. Si tratta di una sorta di film della nostra vita di everyman, colta attraverso un insieme di istantanee (registrazioni di quello che mangiamo, compriamo, diciamo, leggiamo, scriviamo, vediamo) che andranno a formare uno script, la sceneggiatura del nostro quotidiano mestiere di vivere, la nostra storia sepolta in un database e che all'occorrenza può riemergere da una pagina Exel, da un archivio o da un archivio di archivi, da un database management system che consente di manipolare e interrogare quel mare magnum di dati altrimenti destinati a rimanere nell'oblio. 

Monitorati quando passeggiamo, quando viaggiamo, quando comunichiamo con qualcuno e perfino quando ci addormentiamo sotto un cielo stellato: osservati dall'occhio elettronico di un satellite all'infrarosso. Algoritmi e agenti intelligenti (software dedicati) sono in grado di ripescare dal marasma dei codici numerici e di byte, quello che all'uopo può servire per tracciare un profilo di consumatore e di elettore, sia in senso individuale sia come astrazione sociologica di orientamento di una media statistica o di una deviazione standard. Sofisticati modelli matematici fungono da sistemi di riferimento per testare previsioni di mercato e per definire correlazioni tra i più svariati comportamenti del consumatore-elettore. Legami apparentemente imprevedibili e bizzarri, che però riescono a tracciare statisticamente dei profili sociologici e a prefigurare le migliori strategie comunicative per orientare l’opinione pubblica dandole l’illusione di conservare la sua autonomia di giudizio, di essere il soggetto e non l’oggetto delle scelte. Si vende un partito, uno slogan, perfino dei valori e delle emozioni, come fossero una qualsiasi altra merce. La distinzione tra oggetti materiali (le cose) e elementi immateriali (le idee e le emozioni) possiede ormai una labile linea di demarcazione. Tutto può trovare un valore di mercato ed essere quantificato in base a un coefficiente monetario, perfino in ambito religioso e morale. Valori e idee sono supportati da un valore di scambio e qualificati attraverso il business che rappresentano, ‘pesati’ attraverso rigorosi metodi quantitativi e asserviti alla logica del mercato. Per questo una buona campagna pubblicitaria può convincere che quello che anni prima era mostruoso ed esecrabile (sul piano morale e ideologico), adesso è qualcosa di positivo e socialmente utile. 

L’elettore-consumatore (sia quello atomizzato, sia quello organizzato in un gruppo) risulta una entità dispersa in un archivio senza norme, anomico e indifferenziato, dal quale può in qualunque momento stagliarsi sotto forma di profilo digitale. In 1984, ad esempio, quello che prima era il nemico che la propaganda descriveva inesorabilmente con tutti i caratteri del male, successivamente, con il rovesciamento delle alleanze, diviene rapidamente, con un improvviso ribaltamento, fedele amico e l’alleato. I valori e le idee sono cioè sottomessi a una logica della situazione e del compromesso, divenendo relativi in funzione adattiva e strumentale. Una solerte e capillare propaganda a favore di nuovi comportamenti collettivi e di un diverso sistema di valori fa leva sulla persuasione emotiva, titillando le corde opportune: un consumatore educato con metodi suggestivi e indottrinato mediante quelle stesse tecniche pubblicitarie con le quali si vendono dentifrici e pannolini. La moralità è diventata un prodotto come un altro, un prodotto da trattare mediante plus e benefit proprio come qualsiasi altra reclame.

La società orwelliana conserva però ancora quell'elemento repressivo che si avvale dei tipici caratteri del modello totalitario: uno Stato nel quale un potere oscuro e capillare usa la delazione, la complicità e il sospetto. Un potere che opprime anche attraverso la paura e la tortura (che in 1984 è rappresentato dalla misteriosa stanza 101 dove si pratica la tortura ad personam). La prigione, intesa come luogo di contenzione, prima ancora di pena e di espiazione, rimanda a processi di controllo per i quali la segregazione costituisce insieme prevenzione e ammonimento. La società totalitaria per sua natura suscita dei movimenti di ribellione, tentativi di rovesciamento attraverso un movimento più o meno organizzato di opposizione. Il sistema totalitario deve fare i conti con forme di resistenza e di rivolta che possono costituire premessa di un rovesciamento in forme più o meno violente. In 1984 però, si delineano i caratteri di un più efficiente Stato totalitario che in qualche modo costituisce la transizione a nuovi modelli di controllo resi possibili da sofisticati apparati tecnologici, ma soprattutto da un efficiente e capillare sistema di registrazione. Non si tratta soltanto di un controllo preventivo dei flussi di dati. Il processo riguarda una diversa modalità di approccio all'interlocutore: non più suddito, non più utente, non più cittadino ma agente e nodo di una rete. Il processo non lineare e non sequenziale (a parte la sopravvivenza dei vecchi sistemi obsoleti di tipo repressivo nel processo di transizione) comporta un processo di autoregolazione dei comportamenti mediante un sistema capillare e onnipresente che nella società di 1984 si esplicita nei tre principi del Socing che ne ispirano l’organizzazione: Newspeak, Doublethink, The Mutability of the Past.

La temporalità è appiattita alla dimensione del presente (“the past was dead, the future was unimaginable”). Il passato, in quanto morto, diventa annullamento anche della memoria attraverso la sua falsificazione. La ricerca di un passato oggettivo, evidente e immodificabile da parte di Winston, genera però il sospetto che in qualche modo la memoria sia già stata alterata. Per uno strano e assurdo capovolgimento, il futuro appare determinato e immodificabile (in quanto non esiste), mentre proprio il passato diviene fluido e aperto: il Partito manomette e modifica continuamente la memoria del passato attraverso un presente retroattivo (“Who controls the past, run the Party slogan, controls the future, who controls the present controls the past”). Orwell non pensava solo ai regimi come quello sovietico di cui sviluppa i caratteri e le idiosincrasie nell'altra opera, Animal Farmche lo ha reso famoso per la pungente ironia e il sarcasmo (“La fattoria degli animali” nella traduzione italiana). In 1984 Orwell si riferisce a qualcosa di più sofisticato rispetto alle purghe staliniane, si riferisce proprio a quella società che andava emergendo dopo il secondo conflitto mondiale. La rete (internet) rimanda a connessioni multiple. In un certo senso l’immagine della rete risulta perfino inadeguata, ci riporta al mondo piatto di flatlandia (Flatland, l’opera geniale del teologo e pedagogo britannico Edwin Abbott Abbott, 1838-1926) con figurine bidimensionali che possono muoversi su un piano con tutte le limitazioni che comporta l’assenza della terza dimensione. La rete è sinonimo di organizzazione e struttura, di sistema ma anche di inganno e trappola. La rete di fatto non è propriamente una rete, è un reticolo tridimensionale al quale bisognerebbe aggiungere una quarta dimensione: quella del tempo, indicando che il passato è chiuso e il futuro aperto.

Nella società di 1984 succede al contrario che è il passato ad essere modificabile a differenza del futuro che di fatto è un eterno presente.

Viviamo l’epoca dell'accelerazione, del cambiamento e di repentine trasformazioni, di una tecnologia che sforna apparati a getto continuo con continue analisi e rapporti sul nostro futuro, visto vuoi in una dimensione ottimistica della scienza, che sarà in grado di risolvere tutti i nostri problemi donandoci un futuro prospero e benefico, vuoi in quella pessimistica per la quale la catastrofe globale è dietro l’angolo. Le proiezioni che riguardano il nostro futuro paiono però caratterizzate dai limiti delle nostre capacità predittive. Se la scienza avesse effettivamente la capacità di prevedere il futuro, cosa che una certa divulgazione ha ormai indotto a credere all’everyman, potremmo tranquillamente concludere che il futuro non esiste veramente, che è soltanto una mera proiezione del presente, che è un presente allargato, dispiegato e realizzato, un po’ come un’espressione matematica si sviluppa secondo una logica intrinseca. L’immagine della scienza che riduce l’uomo a una formula matematica, annulla il futuro in un eterno presente per il quale conoscendo le forze che agiscono in un dato istante si può prevedere l’evoluzione di un sistema. Saremmo davvero come le palle che Galileo faceva rotolare su un piano inclinato. La mutabilità del passato ne è il corollario. Non tanto e non solo nella sua falsificazione e mistificazione, ma in quanto il presente onnicomprensivo e totalizzante proietta nel passato le sue categorie interpretative in tutti gli ambiti storici e scientifici. Non si tratta solo della contraffazione dei documenti (quanti scienziati hanno falsificato i dati per aggiustare le loro teorie e farle combaciare con i fatti... la storia della scienza è piena di tentativi più o meno maldestri di far quadrare il cerchio fornendo un aiutino alle proprie idee). Non si tratta solo della autocentralità di ogni epoca storica con i suoi modelli culturali, il suo linguaggio e le sue idiosincrasie. Non si tratta solo della commistione tra scienza, cultura e politica: non solamente del legame tra tecnologia e interessi economici. 

La mutabilità del passato è un presente ipertrofico nel quale ogni prospettiva è annullata. Viviamo appunto in questa dimensione senza tempo dove anche quando siamo mossi da scrupolo filologico e da onestà intellettuale scordiamo che la nostra conoscenza del passato è congetturale (sulla base dei documenti in nostro possesso) e che del futuro possiamo parlare soltanto in termini di probabilità e di possibilità. L’eterno presente nel quale viviamo è proprio la cifra della nostra epoca, un positivismo che, superato sul piano filosofico, costituisce invece ancora l’attrattore di una scienza ridotta a mero apparato tecnologico e di una politica al servizio di uno scientismo miope con interpreti che della scienza hanno un’immagine ottocentesca ma con gli sviluppi tecnologici del ventunesimo secolo.

In 1984 il controllo del passato si rende possibile e realizzabile attraverso una sorta di doppia verità con la quale si afferma una cosa e il suo contrario senza violare il principio di non contraddizione. Il doublethink (bipensiero) è l’elemento regolativo e razionale della società (“to forget whatever it was necessary to forget, then to draw it back into memory again at the moment when it was needed, and then promptly to forget it again: and above all, to apply the same process to the process itself”

Il doppiopensiero annulla consapevolmente la consapevolezza, assume coscientemente l’incoscienza, è la spaccatura della logica formale:

“To know and not to know, to be conscious of complete truthfulness while telling carefully constructed lies, to hold simultaneously two opinions which cancelled out, knowing them to be contradictory and believing in both of them, to use logic against logic, to repudiate morality while laying claim to it, to believe that democrazy was impossible and that the Party was the guardian of democrazy ... "


E’ interessante notare che il titolo del libro è una data, 1984 appunto, un numero che può essere cambiato e forse lo è stato tante volte mediante la cancellazione della memoria di tale modificazione. Alla fine dell’800 c’era la fiducia che tutto fosse ormai stato scoperto e che la fisica in particolare si apprestasse a una sistemazione definitiva su base deterministica. Poi è venuta la relatività e soprattutto la teoria dei quanti. Di fatto però oggi si ripresenta con ancora più forza l’immagine di una scienza che ritiene di essere sul punto di smascherare il segreto del mondo. A parte convenzionalistiche teorie, l’immagine (e l’illusione) galileiana della natura scritta in caratteri matematici, fa apparire la concezione strumentalistica di Bellarmino (ex suppositione) molto più moderna; e non solo di quella dell’illustre pisano, ma perfino di quella einsteiniana per il quale notoriamente Dio non gioca a dadiInsomma il determinismo si ripresenta sotto mentite spoglie anche là dove c’è il genio. L’altro caposaldo di una visione della scienza pregna di determinismo è quella del darwinismo, l’ultima teoria dell’800 che ancora gode di credito essendo state tutte le altre superate da una nuova visione dell’universo e delle sue ‘leggi’ (vedi l’indeterminazione quantistica). Il determinismo biologico - siamo i nostri geni - sembra voler tirare i remi in barca rapidamente (il progetto genoma) nella speranza (o nell’illusione) di smontare l’uomo e rimontarlo come in un gioco di costruzioni. L’eterno presente è servito sotto forma di dna e la felicità è programmata: non più polverine magiche ma il gioco delle costruzioni che da bambini ci teneva impegnati per ore. Però il gioco è forse più complesso di quanto si creda, e non è detto che Dio non giochi davvero a dadi

La tracotanza della nostra epoca è espressa emblematicamente in quell'apprendista stregone che suscita forze che poi non sa controllare, convinto di dominare il mondo. Il futuro radioso è rappresentato da quello stato del pianeta sull'orlo del collasso. Più ci facciamo di noi l’immagine di una macchina e più ci comportiamo come tale, attori che agiscono in funzione di un gene egoista. Nel paradiso non c’è futuro, la felicità è raggiunta, è l’eterno presente di noia e delizie. Scopriremo finalmente la nostra natura di macchine riassemblate e corrette per essere finalmente felici (anche se asservite ai nostri geni).

Il newsspeak costituisce l’armatura non fisica della società di 1984, una sorta di software che, applicato alla 'macchina' di Oceania, consenta le iterazioni e le subroutines, che rendono possibile il doublethink. Il Newspeak, a differenza dell'apparenza semantica del termine, consiste in una distruzione di parole, in una graduale sottrazione di significato, che, rinsecchendo lo stesso pensiero che le esprime, si traduce in impossibilità di commettere qualsiasi delitto di pensiero (thoughtcrime) mancando il suo referente semantico. La distruzione di parole perpetrata dalla neolingua si accanisce oltre che su aggettivi e verbi, sui sostantivi sinonimi e antonimi sostituendo alle contrapposizioni di significato delle antonimie, la mera opposizione alla parola mediante l'aggiunta di un prefisso ('good' - (Un) good')... e così per gli accrescitivi (Plusgood, doubleplusgood). Tale processo di progressiva purificazione della lingua è finalizzato al completo realizzarsi della Rivoluzione ("The Revolution will be complete when the language is perfect").

L'obiettivo finale della rielaborazione linguistica è una completa distruzione della letteratura e del modo di pensare precedente, anche quello dello stesso partito (“Orthodoxy means not thinking - not needing to think . Orthodoxy is unconsciousness"). Ad esempio in 'duckspeak', cioè: "to quack like a duck" - dimostra la duplicità di significato della parola non in ciò che esprime in sé e neppure in riferimento al contesto, ma in base ad una sua continua desemantizzazione e risemantizzazione ("Applied to an opponent, it is abuse , applied to semeone you agree with , it is praise").

La capacità e l’attitudine a pensare è un ostacolo per un potere che vuole educare alle risposte automatiche, emotive, standardizzate. Il linguaggio deve essere semplificato per eliminare qualsiasi sfumatura di significato. Le cose devono essere o bianche o nere, senza gradazione, se non degli insulsi diminutivi e accrescitivi. Le argomentazioni su base razionale risultano pericolose, instillano il dubbio che le cose non siano come appaiono e come si vorrebbe farle credere. Lo schematismo e l’abitudine a pensare in modo stereotipato creano degli abiti mentali in cui da un lato l’emotività la fa da padrone e dall'altro i procedimenti logici violano costantemente il principio di non contraddizione. I nessi di causa ed effetto divengono arbitrari, il ragionamento è bandito in nome del principio di autorità. Ma neppure Orwell ha saputo prevedere il salto di qualità rappresentato dalla rete, il non-luogo per eccellenza dove ciascuno rappresenta un nodo, un intervallo tra zero e uno, un numero immaginario. Tale spazio ha un carattere 'artificiale' e costruito: dissolve le sue parti e i suoi contenuti in un unico 'quantum continuum'. E’ il dominio della logica fuzzy (logica sfumata) in cui i gradi di verità intermedi non sono applicati solo ai fornelletti e ai frigoriferi, ma direttamente a una verità (o presunta verità) basata sulla distribuzione delle opinioni in un campione statistico. 

Il punto di maggior rilievo di 1984 appare nella figura del finto oppositore. Il sistema per controllare la dissidenza ha perfino creato preventivamente la figura dell’antagonista. La dissidenza è soltanto una finzione, una costruzione del potere per dare l’illusione che esiste la possibilità di emanciparsi dal sistema oppressivo. Il pensiero che O’Brien, un dirigente del partito, possa essere un suo alleato mantiene viva in Winston la speranza. Ma è soprattutto l’amore per Julia, una ragazza che credeva una spia, che risveglia in lui il desiderio di vivere e sollecita l’erotismo (nella società di 1984 l’attività erotico-sessuale costituisce una minaccia per il partito che favorisce e consente i soli matrimoni finalizzati alla procreazione; matrimoni che si caratterizzano per la mancanza di attrazione fisica tra i partners considerando i rapporti sessuali - "as a slightly disgusting minor operation, like having an enema - un clistere)". La stanzetta al primo piano sopra la bottega di un robivecchi diviene l'ultimo rifugio di Winston e Julia; un antiquato e polveroso nido d'amore, l'illusione di aver scavato un anfratto intangibile in un universo ostile e minaccioso così come un pezzo di corallo in un fermacarte di cristallo. L’amore, quello vero, dà coraggio ai due dissidenti di cospirare in nome di un ideale di libertà. La fratellanza, nome della dissidenza e della ribellione, ne è l’emblema; Emmanuel Goldstein è il mitico capo della resistenza. O’Brien inizia i due neofiti Winston e Julia nella lettura del libro eterodosso della fratellanza (scritto da Goldstein) che è una accurata analisi critica, organica e sistematica, della società del 1984. Winston non può però condurre a termine la sua ricerca. 

Lui e Julia vengono arrestati e precipita in un baratro senza fondo. Nella cella rivestita di porcellana bianca e lucida, perennemente inondata di una luce fredda e accecante, egli perde la nozione del tempo e aspetta come gli altri detenuti (che proclamano la loro fedeltà al Partito riconoscendosi colpevoli anche solo di un attimo di debolezza) di essere condotto nella misteriosa stanza 101. Il calvario di Winston, fatto di percosse e torture che ne fiacchino la resistenza e la facoltà di ragionare, lo conduce ad uno stato di completo assoggettamento e annichilimento psico-fisico, ad un torpore dal quale viene risvegliato per somministrargli quelle cure che consentano una ripresa della tortura. Winston scopre che O’Brien è solo un finto oppositore, che è lui il suo torturatore e terapeuta. Attraverso un condizionamento operante fatto di premi e punizioni (scariche di corrente elettrica), O’Brien cerca di guarire Winston rieducandolo al principio della mutabilità del passato tramite il doublethink. Alla fine Winston varca l’ultima porta, quella della stanza 101, dove scopre che il partito persegue il potere per il potere ("Power is not a means, it is an end"), che l'individuo solo annullandosi nel Partito riesce ad essere onnipotente e immortale e che infine il vero potere si esercita sulla mente, non sulla materia, da parte di un uomo su un altro uomo ("Power is in tearing human minds to pieces and putting them together again in new shapes of your own choosing")

Il Partito ha preventivamente costruito un finto oppositore. L’ultima ed estrema tortura ad personam spezza così l’ultima illusione di Winston, quella di conservare dentro sé uno spazio libero e intangibile. La gabbia con i topi applicata al suo viso spezza l’ultimo diaframma delle sue resistenze: ("Do it to Julia! Do it to Julia! Not me! I don't care what you do to her. Tear her face off, strip her to the bones. Not me! Julia! Not me! "): Winston può finalmente amare il 'Big Brother'.

La figura del finto oppositore è particolarmente attraente e, soprattutto, molto attuale. Si trova nei partiti fotocopia, nelle pseudo-alternanze del più o meno identico, negli illusionismi di una politica delle cortine fumogene, dei travestimenti e degli inciuci. E’ quella interiorizzazione del potere e delle sue idiosincrasie: tanti piccoli “Grandi Fratelli” disciolti nella rete: un processo di regolazione omeostatico dove i nodi vibrano all'unisono nel gigantesco ipertesto del comando. Utenti... insieme vittime e carnefici.  Gilberto M.

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34 commenti:

Manlio Tummolo ha detto...

Gilberto Carissimo,

hai affrontato un tema gigantesco, per il quale occorrono spalle robuste e mente molto fine. Non amareggiarti se troverai anche qui più "no" che "sì" nell'approvazione.

Tu parli soprattutto di "1984", celebre opera di Orwell, ma sarebbe assai interessante esaminare e confrontare la letterarura avveniristica del primo Novecento e vedere il tema comune di un tragico pessimismo nei confronti dell'umanità e della sua tecnologia, come strumento di controllo e di dominio. Pensiamo a "Tempi Moderni" di Charlie Chaplin, al lugubre "Metropolis" di Fritz Lang, ed a "Le uova fatali" di uno scrittore russo di cui non ricordo il nome. Mi pare che abbiano questo comune denominatore. In aggiunta potremmo mettere l'opera dello psicopedagogista Skinner, americano, teorico del condizionamento, e i suoi successori.

Tutto nasce con gli studi di Pavlov e di Watson sul condizionamento psichico e il cosiddetto "behaviorismo", stimolo - risposta. Esperimenti sui topi, sui cani, sugli uccelli, e sull'uomo (processi staliniani), per dimostrare che l'uomo apprende non per scelta, ma perché è condizionato in un certo modo. Da questo è facile arrivare all'idea che si possa condizionare un popolo per ridurlo a quella massa di operai che Fritz Lang presenta nel suo "Metropolis" e che, ahi,ahi ahi noi, ricordano tanto i prigionieri ebrei nei Lager (anche nell'uniforme e nel modo di procedere a passo cadenzato e lento, con la testa infossata nelle spalle).

Questa teoria del condizionamento collettivo trova una solida base nella tecnologia informatica: abituando l'operatore a obbedire a determinati comandi, se ne condiziona la volontà e poi, con messaggi subiliminali o anche evidenti, lo si spinge a dare risposte obbligate (vedi soprattutto nei sondaggi). L'uomo, appendice carnosa della macchina, è l'obiettivo, più o meno consapevole, dei programmatori, ma certamente ne è consapevole chi domina l'intero sistema con tutto il suo organismo tecnologico, dall'alto (satelliti) come in superficie. Il dover far tutto per via informatica, anche quando mangiare, andare al gabinetto, aver rapporti sessuali, per non dire la pensione o lo stipendio, è una sudola strategia finalizzata al dominio assoluto sulla mente umana.
Quando sentiamo che lo sgoverno attuale vuole, come il precedente, imporre la moneta elettronica, il che vuol dire perdere ogni controllo di ciò che si ha a disposizione (perché i "providers" aggiungono e tolgono a piacimento), vuol dire che anch'esso adotta strumenti di dominio sull'uomo. Che poi ci riescano e fino a qual punto, è tutto da vedere.

Il caso Snowden, che ha scoperchiato un puzzolente vaso di Pandora, dimostra quali sporchi, sordidi giochi vi siano sotto l'intero sistema informatico.

Anonimo ha detto...

Carissimo Manlio
In realtà il mio articolo era un po' più lungo, ho tagliato per non appesantire. Citavo tre opere che hanno preceduto il 1984, una delle quale probabilmente ha ispirato Metropolis. Si tratta di We (Noi) di Zamjatin, opera del 1922 (ma la bozza è del 1919) che probabilmente è il capostipite della distopia fantascintifica e che è stata pubblicata in inglese(oltre al Brave New World di Huxley del 1932 e R.U.R.(Rossumovi univerzální roboti)dramma fantascientifico in tre atti del ceco Karel Čapek (1890-1938) pubblicato nel 1920. Di sicuro non mi amareggio, riguardo alla mente fine lascio al giudizio insindacabile del lettore.
Ciao
Gilberto

ENRICO ha detto...

GILBERTO

Mi permetto di consigliarti ( dato che per motivi professionali mi occupo da molto tempo dell’argomento) di rendere lo stile dell’articolo più scorrevole e compatto evitando di appesantirlo con troppe citazioni o diluirlo con eccessive digressioni ( alcuni noti sociologi, che senza dubbio conoscerai, vi sono riusciti egregiamente )

Lo dico perchè il tema,attualissimo e di estremo interesse, dovrebbe essere proposto, a mio parere, in una forma più divulgativa e di conseguenza comprensibile a qualsiasi livello culturale al fine di rendere consapevole il maggior numero possibile di persone dei pericoli nascosti fra le pieghe dei criteri che regolano il mondo della comunicazione soprattutto oggi che viviamo nell’era dello spettacolo e della tecnologia

In un mondo globalizzato dove le leve della comunicazione sono nelle mani di poche gigantesche e potentissime oligarchie interessate unicamente ad indirizzare le nostre scelte secondo le logiche dettate dalle esigenze del mercato soffocando ed annullando quelle che invece dovrebbero essere rivolte alla nostra crescita individuale, autonoma, intellettuale, critica e consapevolmente matura, il tentativo di svelare i rischi occulti dei meccanismi persuasivi mass mediatici e di mettere in guardia dall’’influenza nefasta da questi esercitata sulle nostre abitudini quotidiane , sulle nostre organizzazioni sociali, sulle nostre opinioni politiche, culturali e morali, penso sia un compito di grande valore sociologico che andrebbe sviluppato e diffuso ininterrottamente

Riguardo ad Orwell io mi sento di condividere in pieno la nota conclusiva di Postman all’introduzione di una fra le sue opere più conosciute_

“ Aspettavamo tutti il 1984. Venne, ma la profezia non si avverò; gli americani più riflessivi tirarono un sospiro di sollievo, congratulandosi per lo scampato pericolo. La democrazia aveva resistito. Altrove nel mondo forse c’è stato il terrore; a noi furono risparmiati gli incubi di Orwell. Avevamo dimenticato che, oltre alla visione infernale di Orwell, qualche anno prima c’è n’era stata un’altra, forse meno nota anche se altrettanto raggelante: quella del Mondo Nuovo di Aldous Huxley. Contrariamente a un’opinione diffusa anche tra le persone colte, Huxley e Orwell non avevano profetizzato le stesse cose. Orwell immagina che saremo sopraffatti da un dittatore. Nella visione di Huxley non sarà il Grande Fratello a toglierci l’autonomia, la cultura e la storia. La gente sarà felice di essere oppressa e adorerà la tecnologia che libera dalla fatica di pensare. Orwell temeva che i libri sarebbero stati banditi; Huxley, non che i libri fossero vietati, ma che non ci fosse più nessuno desideroso di leggerli. Orwell temeva coloro che ci avrebbero privato delle informazioni; Huxley, quelli che ce ne avrebbero date troppe, fino a ridurci alla passività e all’egoismo. Orwell temeva che la nostra sarebbe stata una civiltà di schiavi; Huxley, che sarebbe stata una cultura cafonesca, ricca solo di sensazioni e bambinate. Nel Ritorno al mondo nuovo, i libertari e i razionalisti - sempre pronti ad opporsi al tiranno – «non tennero conto che gli uomini hanno un appetito pressoché insaziabile di distrazioni». In 1984, aggiunge Huxley, la gente è tenuta sotto controllo con le punizioni; nel Mondo nuovo, con i piaceri. In breve, Orwell temeva che saremmo stati distrutti da ciò che odiamo, Huxley, da ciò che amiamo. Il mio libro si basa sulla probabilità che abbia ragione Huxley, e non Orwell

Ps: mi scuso per l’interminabile e forse troppo “verboso” commento ma il tema mi appassiona molto e purtroppo non riesco ad evitare di farmene eccessivamente coinvolgere mentre dovrei affrontarlo con meno slancio e con maggior moderazione

Anonimo ha detto...

Enrico
C’è una sottile contraddizione in quello che dici, comunque interessante, da un lato paventi giustamente l’influenza nefasta di (ti cito) “un mondo globalizzato dove le leve della comunicazione sono nelle mani di poche gigantesche e potentissime oligarchie interessate unicamente ad indirizzare le nostre scelte secondo le logiche dettate dalle esigenze del mercato soffocando ed annullando quelle che invece dovrebbero essere rivolte alla nostra crescita individuale, autonoma, intellettuale, critica e consapevolmente matura…” e citi Postman riguardo a Huxley per il quale “la gente sarà felice di essere oppressa e adorerà la tecnologia che libera dalla fatica di pensare.”
Però mi consigli
“di rendere lo stile dell’articolo più scorrevole e compatto… in una forma più divulgativa..., insomma di costruire un omogeneizzato che va incontro alle esigenze di un consumatore che non si impegni troppo e che non si stanchi con un eccessivo impegno cerebrale.
Niente di polemico beninteso, è solo che in certi meccanismi siamo calati tutti e l’idea che occorre andare incontro al pubblico spesso comporta che l’accidia di chi legge abbia il sopravvento. E’ alzando le aspettative del lettore e inducendolo a sforzarsi, credo, che si creano le premesse per quella crescita personale che tu giustamente auspichi.
Riguardo a chi ha colto nel segno, se Orwell o Huxley, il problema è veramente interessante e degno di un approfondimento. Bisogna però stare attenti perché in realtà Orwell non ha detto propriamente, che sarà il Grande Fratello a toglierci l’autonomia. Da una lettura più approfondita di 1984 potrebbe proprio essere Winston Smith il Grande Fratello, ma questa è un’altra storia… Nella mia chiusa dico infatti “un processo di regolazione omeostatico dove i nodi vibrano all'unisono nel gigantesco ipertesto del comando. Utenti... insieme vittime e carnefici.”
E mi scuso per le citazioni delle quali non riesco proprio a fare a meno.
Con simpatia Gilberto

ENRICO ha detto...

GILBERTO

evidentemente mi sono spiegato male :
nel dire di rendere più scorrevole la forma non intendevo dire "banalizzarla" !!!

Se hai letto Postman - cosa di cui non dubito assolutamente - avrai capito che mi riferivo proprio al personalissimo e gradevolissimo stile espressivo dei suoi scritti nei quali, sottoforma di scorrevole "narrazione" , anticipa di oltre 30 anni gli scenari dell’attuale strapotere comunicativo, al quale siamo inesorabilmente sottoposti, catturando efficacemente l'attenzione e facendo riflettere anche quel lettore non necessariamente “ addetto ai lavori”
Risultato rarissimo e, a mio avviso, di notevole valore sociale in quanto permette a tutti di avvicinarsi a temi spesso accantonati da molti a causa della loro complessità espressiva

Manlio Tummolo ha detto...

Carissimo Gilberto,
non vorrei essere stato frainteso: riferendomi alle spalle robuste e alla mente sottile, non mi riferivo all'Autore dell'articolo, ovvero a te stesso (sulle cui doti non ho affatto dubbi), ma su quelle dell'eventuale lettore. Un po' quello che dice Enrico, con l'aggiunta che, però, problemi complessi ed importanti non possono essere ridotti a formule di facile comprensione. Per cui chi ha spalle robuste e mente sottile legga e valuti, chi preferisce argomenti più semplici di natura giallistica, può rivolgersi altrove.

Le mie citazioni non volevano aggiungersi alle tue, ma solo indicare come nella letteratura, più che fantascientifica, avveniristica dell'inizio Novecento vi era un forte atteggiamento pessimistico, ma per nulla irrealistico sul futuro tecnologico e delle sue conseguenze, in contrapposizione con il futurismo che, viceversa, è un continuo peana al progresso puramente tecnologico, alle meravigliose conseguenze della velocità, del mezzo tecnico, che persistono tuttora: qualcosa che ha origini nella "New Atlantis" di Francis Bacon, e che poi si sviluppa in gran parte dell'Illuminismo e del Positivismo.

A me pare che la letteratura, in senso lato (anche filmica), che affronta il tema della schiavizzazione dell'uomo mediante la macchina (e che trova le sue radici nella critica sociale di fine Settecento ed inizio Ottocento, in correlazione all'automazione del lavoro), sia ben più umanisticamente profonda, di quanto lo sia appunto la letteratura di tipo futuristico/ottimistico, una forma di materialismo tecnologico. Anche qui si potrebbe fare un collegamento con Vico, quando vede nella fase storica del "comodo" (appunto tecnologico) la fase precedente la decadenza umana.

Anonimo ha detto...

Carissimo Manlio
Avevo capito perfettamente e ho apprezzato le tue osservazioni che hanno arricchito l'argomento in parola con riferimenti precisi e circostanziati che condivido pienamente. Nessun equivoco, solo precisazioni riguardo alla filosofia di volarecontrovento. Non cerco il facile consenso, mi piace, come anche a te, a Massimo e agli altri che scrivono in questo blog, argomentare senza preoccuparsi dei consensi ma con l'intenzione di sollecitare il lettore anche come oppositore. Se poi qualcuno apprezza, come te, ne sono felice. Il legittimo non apprezzamento del lettore non mi butta nello sconforto, altrimenti sarei solo alla ricerca, come certi politicanti, dell'applauso usando quegli stereotipi che a molti supporters piace ascoltare. Avendo stima in chi legge ritengo che soprattutto le sue posizioni critiche denotano, soprattutto se argomentate, indipendenza di giudizio e spirito critico. Con stima.
Gilberto

PINO ha detto...

Un piccolo mio pensiero, senza la pretesa che sia considerato positivo:

La descrizione di Gilberto, sul pensiero avveniristico e possibilista di Orwell, (peccato che sia scomparso molto giovane) è certamente esaustiva, anche se un po...forbita.
Mentre sarei molto curioso di conoscere quali, e quanto, gli scritti di Huxley, siano stati influenzati dagli stati alterati di coscienza, prodotti dalle sostanze stupefacenti di cui faceva uso negli ultimi anni.
E questo, indipendentemente dall'indiscussa genialità delle sue teorie.
Pino

chiara ha detto...

Pino

provoco: e perchè non domandarsi invece quanto l'uso di sostanze stupefacenti abbia trovato un fattore scatenante nella sua lucida e dolorosa consapevolezza della natura dell'uomo e del mondo?
La piena pace interiore spesso è il privilegiato compenso della stolidezza.

PINO ha detto...

CERTO, CHIARA. Ogni stato di "diversa" coscienza, autoindotto, o provocato da alcaloidi, acuisce e scatena quanto trattenuto dall'IO più profondo: contenuto che uno stato di coscienza vigile mai rivelerebbe.
Pino

Manlio Tummolo ha detto...

Personalmente ritengo che la mente pura, il cervello sgombro da sostanze di qualunque tipo, sia la cosa migliore per il processo razionale. Del resto una fantasia ottenuta chimicamente sarebbe assai scadente, come lo è del resto gran parte della letteratura novecentesca ed inizi Duemila, che con la pretesa di essere nuova è in realtà brutta. Per usare un terminologia un tantino più scientifica, si è passati da un'estetica (dottrina della sensazione) "eustetica" (nel culto del Bello/Buono), alla "cacotetica" (culto del Brutto/Cattivo), all'opposto della cultura classica in senso lato (Romanticismo compreso).
Le sostanze chimiche possono, tutt'al più, sollecitare un'azione disordinata senza impedimenti morali o psichici, quella che i penalisti, sulla base del Diritto canonico, chiamano l'"actio libera in causa", ovvero prodursi una volontà e capacità di esecuzione di un crimine, che altrimenti - senza quella sostanza - non si avrebbe.

chiara ha detto...

mi sono espressa male e si è capito il contrario, intendevo: con tutto quello che aveva capito, minimo ha cominciato a drogarsi. ;-)
chi non riesce a percepire le storture e pronosticarne le ricadute vive una condizione di pace certamente invidiabile e non sente l'esigenza di alterare la propria coscienza (come ho detto, è una provocazione :-))

Vanna ha detto...

M'inserisco in punta di piedi in queste ultime considerazioni sull'uso di allucinogeni.
Fin dai tempi più antichi le erbe di potere furono utilizzate per comunicare con gli dei o con gli antenati.
Erano usate in particolari cerimonie e con molto rispetto.
Gli stati alterati servivano per entrare nei mondi sconosciuti di altra dimensione e riceverne consigli.
Le foglie di coca o di altra erba usata nello Yemen,servivano e servono per calmare i disagi della fame, della fatica, delle altitudini.
Ancora oggi quando si arriva al Cuzco, ti viene offerto il mate di coca per affrontare i 3800 m. di altezza.
Gli scrittori "maledetti" francesi facevano grande uso di tali sostanze.
La fragilità dell'uomo di alleviare
il disagio interiore con certe sostanze lo sta portando alla distruzione.
Forse anche le civiltà più antiche del centro America susseguitesi fino agli Aztechi si autodistrussero a causa di un uso massiccio di funghi e erbe.

Vanna

Vanna ha detto...

Gilberto buongiorno, ho letto per ben due volte il tuo interessante e qualificato articolo ed ora sono qui a raccogliere le idee, i ricordi che mi hai suscitato.
Ho un modo tutto mio di elucubrare, spero di non andare fuori tema.
Premetto che ieri mattina mi sono vista su Focus le gallerie scavate dagli antichi ad Agrigento e riutilizzate alla grande dagli americani quando sbarcarono in Sicilia.
Ho scoperto che l'occupazione in Sicilia è stata preparata con l'aiuto della mafia e di Luciano.
Mi sono detta: e così cominciò la nostra Liberazione!
E così siamo stati liberati di ogni problema!
Che bisogno abbiamo di un governo che faccia le leggi, c'è sempre chi arriva da cunicoli scavati dagli antichi.
Che forse, furono scavati proprio per il loro arrivo.
Ecco come questa mattina ho falsificato la storia, nel mio piccolo!
La mafia si è arricchita con la droga con l'alcool eccetera e sta dappertutto, si sa che effetti producono.
Mi sono sempre detta: la colpa è della mafia o del potere che la usa?Dove stiamo andando che non abbiamo più un punto di riferimento e siamo telecomandati, subiamo le decisioni di poteri lontani?
Mentre elucubravo tali amenità, ho letto il tuo articolo che mi sembrava rispondere alle mie domande.
Sincronicità?
Oppure capacità di collegare fatti e concetti ? Non so, però i temi che tratti partendo dalla lettura di Orwell sono notevoli visti con l'occhio lucido dei sistemi tecnologici e informatici che ci tolgono pian piano autonomia.
Siamo monitorati tutti: è vero.
Il passato viene annullato e viene falsificato è vero, ma in parte.
Il cartaceo ancora esiste, la Storia si fa sfogliando i documenti e gli archivi sono strapieni di documenti che ancora devono essere aperti, letti e interpretati.
La memoria del passato negli anziani è forte, ricordano fatti e cose ascoltati dai loro nonni.
Emerge un mondo agli antipodi:
tanta miseria ma tanta solidarietà.
Le pietre, le costruzioni, le opere d'arte stanno lì, la loro interpretazione è soggettiva: ognuno ci vede ciò che vuole, poi c'è lo storico che te li spiega.
Ma di fatto l'opera d'arte, se è tale, quando la fruisci ti parla, ti avvia un canto nel cuore.
E quel canto è tuo e nessuno te lo può togliere.
Stiamo velocemente precipitando verso una tecnologia che ci fagocita, che ci toglie libertà, che da una parte ci rende più facile il vivere,dall'altra ci rende schiavi.
Sono costretta ad interrompere per un impegno improvviso, chiedo scusa, ma continuerò più tardi.

Vanna

Vanna ha detto...

Gilberto torno al tuo articolo.
Il passato dici, si può manipolare e anche le prove.
Rimane un presente programmato in modo che racchiuda un futuro prevedibile che deve andare come vuole chi gestisce il potere.
E' un presente nel quale i valori e le idee sono relativi, perché modellati per un uso già stabilito.
Tu dici, se ho ben capito,che è sorprendente come un testo letterario possa configurare il nostro futuro ancor prima che avvengano scoperte scientifiche,è vero. Questo secondo me, ci può solo dire che la creatività dell'uomo non potrà mai essere controllata, né tanto meno monitorata.
Jules Verne con la sua fantasia immaginò il Nautilus,il viaggio sulla Luna da una base geograficamente vicina a Cape Canaveral, e una scatola che parlava e faceva vedere immagini lontane.
Era un veggente? Non credo aveva una certa creatività, però è mistero come abbia immaginato fatti futuri.
Comunque nei suoi libri si delinea un futuro che realizzerà concretamente per mezzo della scienza, i suoi sogni fantastici.
Ciò che non si può programmare è l'amore che è imprevedibile, al contrario il sesso e la relativa prole che ne derivano, sì si possono programmare.
E quindi il controllo in questo caso deve essere particolarmente attento.
Mi sembra di ricordare che problemi simili se li era già posti Platone nella sua " Repubblica ".
La sua città ideale prevedeva un controllo totale su tutti gli individui,addirittura regolamentava le unioni tra i cittadini migliori e i bambini appena nati venivano portati in altro ambiente diverso dalla famiglia e lì cresciuti.
Perché i bambini erano figli di tutti come le donne erano in comune con gli uomini.
Solo così la città poteva vivere felice programmando coppie ideali per una prole ideale.
Ognuno aveva il suo ruolo e la Repubblica era governata dai Filosofi.
(Chissà se Napolitano nel chiamare i Saggi ha preso spunto da Platone).
Platone mette i guardiani a guardia della città, suddivide la società senza vera democrazia: tutto stabilito dai filosofi con la scusa che così tutti vivranno felici nella giustizia.
Anche Thomas Jefferson nella sua splendida dichiarazione d'Indipendenza dichiara che un diritto inalienabile dell'uomo è la ricerca della felicità e quindi in base a questo gli Stati Uniti si devono liberare dell'oppressione dell'Inghilterra.
Ovvero: felicità= libertà.
Mi chiedo: a cosa ha portato questo desiderio di libertà e felicità alla globalizzazione di usi e costumi occidentali con tutto quel che segue.
Platone nella sua ideologia non guarda con occhio positivo l'arte, anzi.
E' l'arte, la creatività che rendono l'uomo artefice di se stesso e tutte le sollecitazioni che riceviamo, ci vogliono rendere tutti uguali.
Possiamo subire i messaggi subliminali più sottili,possiamo essere torturati in tutti i modi,a lungo andare prima o poi quella creatività verrà fuori.
Ciao Gilberto,grazie per i tuoi articoli che ci permettono di riflettere e di collocarci qui e ora affondando le radici nei territori del ricordo.

Vanna

ENRICO ha detto...

VANNA

non commento il tuo “commento” ( non sempre si possono condividere interpretazioni, analisi e arditi accostamenti ) però lasciami almeno scrivere questo :

”Anche Thomas Jefferson nella sua splendida dichiarazione d'Indipendenza…”

nella quale il suddetto Jefferson dichiara che “"tutti gli uomini sono stati creati uguali...” tranne gli otre 150 schiavi in suo possesso ai cui negò lungo tutto il corso della sua vita la libertà arrivando persino al punto di non esitare a servirsi post mortem del ricavato della loro vendita per pagare i debiti dai quali era sommerso.

Oppure dove fece aggiungere una “postilla” in cui si afferma che gli indiani nativi d’America sono una popolazione barbara , selvaggia e pericolosa da eliminare o da piegare “a miti consigli” con le buone o con le cattive...

Vanna ha detto...

Enrico,grazie per l'aggiunta "jeffersiana" che poni e che ci fa capire come le fonti, i fatti possono essere letti e interpretati inserendoli nella storia secondo l'uso che si vuole.
Infatti, anche Platone nell'organizzare il suo governo ideale nel quale i sapienti dividevano la società in settori che difficilmente potevano mescolarsi tra di loro,mostra una reale divisione tra le persone.
I diversi per esempio erano a parte.
Eppure sia i padri fondatori degli States che il grande filosofo, parlano di felicità in realtà della stessa se ne trova traccia?
I nativi d'America come sono stati trattati? E non possiamo sapere come in quella ipotetica città platoniana si poteva vivere.
Dov'è la differenza con il mondo di Orwell?
La differenza si colloca sul piano tecnologico scientifico che è molto più incisivo delle parole e della carta,non ti permette di fermarti a pensare ma solo di fruire velocemente ciò che ti scorre davanti.Il controllo c'è ed è un controllo continuo al quale non si sfugge.
I controlli del passato potevano essere camuffati con i miti e i valori, oggi i miti sono effimeri e i valori sono nulli.
Saluti!

Vanna

Anonimo ha detto...

Cara Vanna
Lo stato della REPUBBLICA di Platone è uno stato puramente ideale. Infatti nel POLITICO e nelle LEGGI (scritte quando era molto vecchio) cerca di dar forma ad alcune idee che giovassero alla costruzione dello stato secondo, cioè di uno stato che viene dopo quello ideale, ossia di uno stato che tenga conto come gli uomini sono effettivamente (e non solo di come dovrebbero essere), vien meno anche l'ideale comunistico con un ritorno alla famiglia, un giusto mezzo nella misura, con il fine di promuovere la virtù e la felicità nei cittadini. Insomma già in Platone, come poi in tutte le utopie in grado maggiore o minore si scontrano libertà e felicità, come se l'una fosse di pregiudizio per l'altra. Il tema lo ritroviamo poi in tutta la storia del pensiero.
Gilberto

Vanna ha detto...

E' vero Gilberto nel tuo articolo riporti la lettura profetica quasi di Orwell che rispecchia l'attuale situazione dell'umanità alle prese con quei frutti della scienza da lei stessa prodotti, che la controllano
sempre più fino a toglierle la libertà.

Vanna

magica ha detto...

erano altri tempi .
quando orwell scrisse il suo romanzo .si doveva ancora manifestare la vera ideologia della sinistra - una utopia . pensata da orwell come una situazione intelligente e fattibile . una dittatura , nella quale tutto si svolge alla luce del sole ,controllata ., una sorta di grande fratello .
alla fine . con con gli eventi che si susseguirono . questo grande fratello pensato da orwell .. mostro' le sue colossali lacune :anche orwell si scontra con questa ideologia .
l'umanita' si evolve .
. il grande fratello si nasconde sotto altre spoglie . siamo controllati ..ma esiste una password ..almeno in internet??
non ci accorgiamo sempre ma in banca e nelle vie esiste una sorta di grande fratello ...
mi sa che dovremo manifestarci in incognito . per farla in barba al grande fratello . dei nosrti giorni .
----------------------------
ho capito.. a grandi linee il post di gilberto . puo' essere che io sia fuori tema .forse ..

Anonimo ha detto...

Cara Magica
Fuori tema non so... Leggi "La fattoria degli animali" di Orwell, ti divertirai per davvero, è come una favola... Poi magari ti verrà voglia di leggere 1984
Ciao
Gilberto

e ha detto...

..voglia di leggere 1984....oppure di sapere perché questo refuso di stampa “il medium è il mAssaggio” non sia stato volutamente fatto correggere dall’autore stesso della celebre espressione “Il mezzo è il messaggio”

magica ha detto...

gilberto ..
grazie d'avermi fatto conoscere il libro di george orwell "la fattoria degli animali " una pacchia per il mio carattere.
pensa che amo gli animali quasi come gli umani che se lo maritano pero' .
i gatti randagi del quartiere vengono a fare colazione da me ogni mattina . poi spariscono perchè mio marito non li vuole ,
loro lo sanno ..percio' sono nascosti nei cespugli ed io lo so che ci sono (di solito 3gatti) mi sentono dai passi ed escono per la colazione sempre varia ,, sono fantastici ..
quando ero piccola andavo in vacanza nell'alto friuli . c'era un signore che aveva un asino . mi faceva una pena infinita perchè lo caricavano sulla groppa con delle merci ., oppure trinava un carretto , io ero con l'asino, lui tirava ed io spingevo , roba da matti ..,detesto chi maltratta gli animali . a volte gli animali sembra che perdino la pazienza e si ribellano .
.. pensare che in spagna ci sono ancora alcune arene per toreare con i tori . non voglio pensarci .sono terribili .
.
mi amano tutti i vicinanti . e pure gli animali ,
e pensare che certi mi pensano nel peggior dei modi .
gilberto mi fa piacere che tu ti sia degnato di scrivermi . perchè alcuni pensano che io non sia degna di messaggi o risposte . sapessi che ho un caratterino nonostante tutto . io mi ritengo superiore a certi.. pensa un po' .
ti ringrazio ancora per il libro e complimenti vivissimi per i tuoi post . che leggo e mi rallegro leggendo i tuoi scritti interessanti . buonanotte da magica ..

magica ha detto...

ma siccome non sono una educanda,
leggo ....

magica ha detto...

mi sovviene una categoria di presuntuosi maledetti ..
personaggi letti e riletti . .vissero un periodo nella bassa: .. bella gente ,che si sacrifica in modo quasi osceno .
mantenevano una famiglia con un orto e qualche sovvenzione . pane s cipolla a gogo' .. molto buona .,pero' troppo spesso non piaceva .
l'intento era di far vedere che erano benestanti .. percio'collanine e braccialettini .. sfavillanti .
come abbaglio per far invidia .
figli che fanno studi molto ambiti .
. pero' il troppo stroppia perchè diventarono presuntuosi, intelletuali e non si degnavano nemmeno dei parenti .. . immemori di tanti sacrifici che facero i suoi .che facevano affidamento sull'orto familiare ..
c'erano persone (si fa x dire) dell'alta soceta' anzi con trascorsi nobiliari . molto alla mano .gentili ..almeno apparivano cosi' . davano l'impressione di persone educate , salutavano cordialmente . non erano superiori a nessuno . i veri signori )
un libro trovato in soffitta . senza titolo (mancava).
un libro d'altri tempi .ma da leggere anche nella vita moderna .

Anonimo ha detto...

magica
credo di non aver capito
Gilberto

magica ha detto...

buonasera gilberto
il mio primo commento mi pare fosse collocato molto indietro nel blog . era uno dei primi interventi dove i ragionamenti erano ancora su orwell e lasua teoria del grande fratello ,
i discorsi sono poi mutati con l'andare degli interventi . si è continuato a scrivere d'altro infatti il mio commento mi pare fuori luogo dopo altri interventi ,
non capisco .
ho continuato poi con il libro la fattoria degli animali .. che mi avevi consigliato , pare non centri piu' perchè gli interventi hanno preso un'altra direzione ,
niente ... poi una variazione sul tema -- ero intenta aleggere dei vecchi libretti . senza importanza ma significativi . sempre spiegando quello che avevo letto . è scritto sul mio ultimo commento ..
non sono collocati in modo consono . e non si capisce il nesso infatti .
stasera apro il blog e vedo una sfilza di commenti . ieri non li avevo notati . credevo che il blog fosse fermo .
puoi eliminare se ti pare .. ciao da magica

magica ha detto...

caro gilberto
.. perchè non elimini gli ultimi messaggi?
sono mie considerazioni che possono essere fuori tema , ma penso di non aver offeso nessuno.
qualcuno ha sottolineato i miei commenti . ho spiegato il perchè li ho scritti .,


.

Manlio Tummolo ha detto...

Cara Magica, i commenti possono essere eliminati solo da Massimo, non da noi che scriviamo. Comunque non se ne vede la ragione, Non hai offeso nessuno.

magica ha detto...

tummolo avevo tratto un sasso a massimo , lo so che è lui che ha i comandi del blog . ma non è successo niente.
un bolg lo avevo avuto uno anch'io . credono che io sia una sprovveduta ., ma sono piu' avanti di quello che pensano .
solo che se ha letto gli interventi., si nota che non sono una continuazione de quelli precedenti .
. nonostante cio' ho letto nell'altro forum un commento . che si riferisce a quello che ho scritto qua .
erano pensieri in liberta'e li ho scritti .. .. la gente è aggressiva .

Chiara ha detto...

la gente DEBOLE è aggressiva, magica.

Manlio Tummolo ha detto...

Sentite il pulpito.

Cara Magica,

non Si preoccupi. C'era il residuo di una discussione precedente per una frase riferita a me, forse una lettura rapida di qualcosa. Tutti travisiamo, anche quelli che predicano tanto bene, e poi infarciscono il loro discorso di frasi e parole volgari. Lei ha le Sue convinzioni, altri le altre. Si dovrebbe sempre discutere di idee o di fatti, senza tirar fuori la Palude Stigia oppure la personalità di chi scrive, che tra l'altro non conosciamo, perché, dove non sia controllabile e "falsificabile" qualcosa su una persona, tutti sono semplici "avatar" che si atteggiano ora a questo, ora a quello.

Molti minori problemi si avrebbero, a mio avviso, se tutti si presentassero col loro nome, cognome, professione, senza inutili timori di possibili persecuzioni, rapimenti, torture. Lo stesso discorso sarebbe impostato e calibrato con linguaggio diverso, perché uno stesso argomento non può essere affrontato allo stesso modo con il contadino di Avetrana o col professore dell'Università "La Sapienza", o col medico o con un commerciante.

Chiara ha detto...

guardi che Lei non è protagonista d'ogni mio pensiero, nonostante creda che il mondo Le ruoti attorno.
Mi imbarazza invece constatare di essere sempre io, nei Suoi pensieri! Si rilassi.

magica ha detto...

caro tummolo ......
bando le ciance .. non entro nelle vostre dispute , comunque è giusto che uno si difenda sia da una parte che dall'latra
purtroppo non sono tanto perversa come certi personaggi.subdoli .
i suoi interventi mi piacciono e le diro' che sono perfino educativi nel sensa di cultura ,perchè tira in ballo aforismi e concetti anche ironici .. chissa' perchè lei che ha tanti studi , quello che scrive lo puo' capire anche uno di 10 anni .
invece ci sono i paroloni .. frasi . dotte .
uno scrive ,un altro sa fare molte altre cose che i parolai non sanno fare .. come parlare difficile fosse l'essenziale nella vita , mah .. ciao