venerdì 23 agosto 2013

Lo scenario nazionale come caricatura e metafora del futuro globale

Di Gilberto M.

Nel panorama italiano spiccano due problematiche davvero importanti all’occhio dell’opinione pubblica (perlomeno di quella espressa attraverso le dichiarazioni di eminenti personaggi politici): l’IMU e il femminicidio.


Sembrerebbe trattarsi di argomenti del tutto diversi, senza un legame tra di loro, remoti come le costellazioni. Nel primo caso si tratta di una tassa che si vorrebbe abolita per la prima casa (il perché non è chiaro, dal momento che esiste praticamente in tutti i paesi occidentali come contributo ai servizi sociali). La richiesta ha un effetto promozionale per la forza politica che ne chiede l’abrogazione e che induce l’oppositore a farla propria per non esser da meno o, come vedremo, a utilizzare eventuali altri cavalli di battaglia per accreditarsi di una uguale e simmetrica sensibilità verso l’elettorato, considerato alla stregua di un amorfo e plasmabile omuncolo di cera. Fin qui tutto normale, nel senso di una prassi politica rivolta alle risposte emozionali: più agli slogan che alle argomentazioni. Chi non sarebbe d’accordo di abolire l’Iva, di azzerare qualunque tassa e gabella, chi non sarebbe d’intesa a mandare il fisco in soffitta? Sì, l’italiota è assai sensibile all’uovo oggi rappresentato da suggestioni populiste, soprattutto se hanno la consistenza di un sogno di fine estate. 

Si sa che le casse dello Stato ne soffrirebbero, non si potrebbero più erogare servizi e approntare politiche economiche sociali e culturali, tutelare il territorio, far funzionare la macchina dello stato e promuovere lo ‘sviluppo’ (e questo al di là dell’efficienza e della trasparenza della gestione della cosa pubblica e/o della effettiva efficacia delle politiche di governo), si tornerebbe all’anarchia feudale, peggio, all’homo homini lupus. Si tratta per l’appunto del solito specchietto per le allodole. Dunque si vuole semplicemente sostituire l’IMU con qualcosa d'altro, qualcosa che pur mettendo (ineluttabilmente) le mani nelle tasche del contribuente abbia magari un nome più gradevole, più lusinghiero, più esotico, più accattivante o semplicemente ancora oscuro e incompreso nelle sue implicazioni fiscali… ad esempio la TARES riveduta aggiornata e corretta. Il nome in effetti per il momento non sembra alludere a niente di terribile, pare il nomignolo inoffensivo affibbiato a un cagnolino che scodinzola allegramente, qualcosa che si suppone più equa o semplicemente più simpatica. Si tratta di un gioco di prestigio, il contribuente come al solito si farà gabellare guardando la mano sbagliata dell’illusionista di turno che indossa un’altra maschera, ma è poi sempre il personaggio di sempre. I volti cambiano, ma la maschera rimane e in alcuni casi è addirittura permanente con un lifting rifatto per l’occasione. Sì, certo, anche quel nome, TARES,  dovrà essere sostituito e inevitabilmente andare in soffitta quando si scoprirà che mutatis mutandis si tratta del gioco dei quattro cantoni. 

Ad esempio con la Service Tax che ingloba la TARES (dallo Stato centrale agli enti locali). La diluizione delle responsabilità fa parte di quel gioco di prestigio che riesce perfino a fare il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci. L’onore di una seria politica fiscale andrà a quella sintesi magistrale (leggi compromesso) con quell’auriga che strattona, un po’ qua e un po’ là, la sua biga alata evocando la spending review, il solito anglismo per lasciare l’italiota a chiedersi cosa diavolo vorrà mai dire quel parlare per tropi e traslati. Parlar chiaro agli italiani è davvero cosa controproducente e scandalosa e ci sarà sempre qualche anima candida a sospettare che dietro al mondo ideale delle idee incorrotte (migliorare l’efficienza e l’efficacia della macchina statale) c'è la solita sintesi di un colpo al cerchio e uno alla botte, tanto per non scontentare i privilegi e per salvar capra e cavoli a spese dei soliti noti. Intanto l’opinione pubblica per un po’ si sarà illusa di aver fatto un buon affare, sempre ammesso che quanto chiamato "opinione pubblica" non sia altro dell’astrazione ricavata da qualche intervista telefonica o dagli indici di ascolto televisivi. 

Opinione è un termine di rilievo, ambizioso e culturalmente impegnato, più che altro l’opzione di un menù a tendina. La reattività dell’elettore in genere coinvolge solo i riflessi spinali, tutt’al più si innerva fino alla mano che traccia delle preferenze nella cabina elettorale (o fa lo zapping con il telecomando) e non giunge quasi mai fino alla corteccia cerebrale. E’ il destino di qualunque provvedimento fiscale che alla fine si scopre essere la solita tassa da pagare, magari spalmata in modo un po’ diverso per accontentare qualcuno e scontentarne molti (o viceversa), o semplicemente per offrire l’opportunità all’illusionista di fare bella figura gongolandosi per l’ennesima volta sulla riuscita del suo gioco di prestigio. E’ pur vero che il pubblico è di quello buono: un target facile da catturare... persino più facile che prendere un tordo. Non c’è porcellum che tenga, il sistema elettorale è davvero poca cosa a fronte del prestidigitatore che sa muovere le dita con destrezza. Qualche forza politica alla fine farà notare che quel nuovo appellativo così inoffensivo, buttato lì come fosse l’elisir di lunga giovinezza , è proprio una gabella e per giunta nata su quei rifiuti che sembrano rappresentare la caverna di Alì Babà: pagati come merce dal contribuente all’acquisto, differenziati con un nuovo acquisto di idonei contenitori e con un lavoro di cernita e imballo (non retribuito) da parte dell’utente, poi riciclati in vari modi, spesso piuttosto remunerativi. Qualcuno dopo un po’, magari in prossimità di nuove elezioni, tuonerà che si paga un servizio per qualcosa che in realtà costituisce un affare (i rifiuti così vituperati in realtà sono per qualcuno una vera manna dal cielo). 

A quel punto ci sarà sempre un nuovo nome per qualche nuova tassa (ooops) o per la solita vecchia tassa un po’ maggiorata: giusto per far quadrare (giustamente) il bilancio... magari ritornando alla vecchia maniera, ma con qualche nuovo nome suggestivo, una nuova etichetta e una diversa spalmatura sui contribuenti in ragione di negoziazioni alternative. Si potrebbe chiamare Service Duty - rigorosamente all’inglese perché fa glamour... ma anche ossequio e rispetto - ovvero un’altra TARES o Service Tax - che dir si voglia - e naturalmente in aggiunta a quella dei rifiuti rinominata magari con un appellativo minimale giusto per non dare troppo nell’occhio. Insomma, la demagogia la fa da padrona quando si tratta di menare il can per l’aia, magari privilegiando qualcuno a discapito di altri, e di moltiplicare gli specchietti per allodole. Forse si vanno affacciando nuove categorie politiche nel panorama di alleanze e programmi. Un tempo c’era solo il centrodestra e il centrosinistra, adesso c’è la sinistra destromane, la destra sinistrorsa, l’ambidestra, la pseudosinistra, la sinistra sinistra e… perfino il mancinismo corretto: una babele da non capirci più in fico secco per l’elettore legato al bel mondo antico, quando si illudeva che sulla bottiglia con l’etichetta del sangiovese non ci fosse un vino annacquato.

Il problema è complesso, lo riconosco, anche a scriverlo: si tratterebbe di applicare le tasse in ragione di precise strategie per ottimizzare l’efficienza della gestione della cosa pubblica responsabilizzando il contribuente in base a un principio economico (non monetario). Si sa però che l’economia è un concetto piuttosto controverso e che gli Economisti in genere sono i primi a non aver sempre le idee molto chiare sulla loro disciplina, salvo utilizzare utilità e scarsità come categorie vincolanti. L’Economia globale in genere è poco in sintonia con la salvaguardia dell’ambiente, con la salute pubblica, con la tutela del paesaggio e della cultura, con il rispetto del mondo animale, con la conservazione delle identità storiche e sociali: in definitiva con la dignità dell’uomo ridotto a mero accessorio del sistema economico, un’appendice appunto di una gigantesca macchina produttiva. E’ pur vero che ultimamente si parla sempre più spesso di sviluppo sostenibile, uno slogan davvero azzeccato in un pianeta che si avvierà verso il nuovo traguardo degli otto miliardi di abitanti. Parlare di politiche demografiche sarebbe folle, perché un conto è costringere le masse a vivere come polli in batteria, in città invivibili destinate a crescere sempre più e a diventare mega-megalopoli... un conto è privare i macelli della loro materia prima (e sia chiaro che non sto parlando solo di bestiame, sto parlando proprio degli umani). 

Parlare di politiche demografiche a livello planetario è un tabù sia dal punto di vista ideologico che religioso (pensare a limitazioni delle nascite che riportino la popolazione mondiale almeno a quella degli anni ’50 - meno della metà attuale - è come dichiarare un’eresia, come parlar male del papa), ma soprattutto è una iattura per quel sistema economico basato sullo sviluppo (senza nuovi consumatori il meccanismo si inceppa, lo sfruttamento presuppone proprio che esista il bisogno, che esista una massa di disperati, emarginati, un serbatoio di persone disposte a tutto). Il sistema attuale si regge sull’espansione indefinita e se tale espansione si interrompe tutto si affloscia ed entra in crisi. Lo sfruttamento non è solo delle risorse, del mondo degli animali ridotti a cose in forza di teorizzazioni che decretano il diritto degli umani (in base ad ideologie ‘religiose’ e ‘scientifiche’) a depredare e infliggere sofferenze. E non è solo lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo mediante il plusvalore: è anche la riduzione degli esseri viventi a materiale di riciclo e di sostituzione. La frontiera è quella che a piccoli passi, quasi impercettibilmente, ‘crea’ e utilizza gli esseri senzienti (che in alcuni casi un nominalismo di circostanza non chiamerà più uomini per non evocare immagini alla Frankestein) come materiale da utilizzare, come merce e/o come apparati biologici di riserva. 

Purtroppo sta già accadendo all’insaputa di quella opinione pubblica alla quale si elargisce una informazione retorica ben impacchettata e confezionata per essere digerita senza troppe remore e con spunti di moralismo accattivante. A fronte di questo sviluppo che lascia immaginare un futuro glorioso in cui sfuggiremo alla morte, o perlomeno prolungheremo le nostre sofferenze con organi riciclati e impiantati mediante dosi massicce di farmaci antirigetto, la realtà globale sarà all’insegna di una precarietà sempre maggiore per la maggior parte degli esseri viventi (uomini, mezzi uomini, omuncoli e bestie) che gli apparati scientifici sempre più sofisticati considereranno alla stregua di uno spiacevole e indesiderato prodotto dello sviluppo (utilizzato e riciclato in varie modalità tecnico-pratiche e sperimentali). La verità è che non stiamo per varcare le colonne d’Ercole dello squilibrio tra risorse e organizzazione sociale, tra mezzi e fini, tra uomini e cose... la verità è che il confine lo abbiamo già oltrepassato. L’umanità consuma da parecchio tempo molto più di quanto la terra può darle. Le conseguenze, per vari effetti di compensazione e di retroazione, si stanno dispiegando lentamente, ma inesorabilmente, fino al punto di non ritorno, quando improvvisamente l’umanità si troverà di fronte all’effetto catastrofe: il sistema collassa, il processo di crescita indefinita (sotto forma di costante rapina e prevaricazione) entra nella sua fase critica (la dispensa si è svuotata).

L’illusione di poter sfuggire all’entropia da parte di quelli che ritengono di aver abbastanza potere e denaro per sopperire allo squilibrio (gli egoismi di persone singole e singoli paesi) sarà soltanto l’ultima illusione di potersi sottrarre alle conseguenze del disordine globale. I segnali sono già lampanti, per quanto gli economisti si ingegnino a farne delle analisi da ragionieri o delineando scenari da idola theatri baconiani. Se ne fa una questione di passaggio: da barriere monopolistiche, da politiche mercantilistiche, al nuovo modello del libero scambio e della globalizzazione finanziaria. E’ come se il grande capitale avesse intrapreso la strada del governo mondiale - al di sopra degli stati nazionali e riprendendosi quel poco di plusvalore che veniva distribuito tra le varie classi sociali attraverso politiche di compensazione (welfare) per attivare quel blocco di consenso utile allo sviluppo – per qualche recondita ragione finanziaria, per una mera questione di opportunismo economico e di mercato. La finanza è davvero un chiodo fisso delle ideologie economiche, soprattutto di quelle affiliate a visioni utopiche della storia. La verità è quella che pochi sanno accettare e che quasi tutti fanno finta di non vedere, come gli struzzi che mettono la testa nella sabbia delle cose celesti (come si esprimeva un filosofo). A compensazione c’è sempre la fede, o qualsivoglia altra illusione, che aiuta a "tirare a campare" in attesa del "lieto evento", soprattutto nelle società occidentali dove ancora si gozzoviglia nonostante la crisi: salvo quei disperati che cominciano a non arrivar più a fine mese ma che ancora riescono a riempire la pancia... a differenza di altre parti del mondo dove la fame non è solo un eufemismo. 

La verità è che c’è nell’aria, si può fiutare, la crisi di un sistema che potrebbe collassare tra non molto. Si assiste a una accumulazione ancora più spinta del capitale come ‘sentendo’ che l’espansione economico-produttiva ha davanti a sé ancora pochi anni, come se gli egoismi economici trovassero accentuazione proprio quando comincia a delinearsi lo spettro di una crisi che potrebbe essere proprio quella del collasso. E’ per questo che gli stati nazionali divengono entità puramente di facciata, meri epifenomeni nel quadro di un economia in attesa di liquidazione…

Che la scienza in tutto questo abbia responsabilità evidenti è fuori discussione. Lo scienziato, più che farsi paladino di una ricerca disinteressata, negli ultimi due secoli è sempre andato al passo e al rimorchio con gli interessi economici e con quello sviluppo fuori controllo che sta trasformando il pianeta in un letamaio. Solo recentemente, ma in un’ottica di razionalizzazione di un sistema sempre indirizzato allo sfruttamento delle risorse e all’espansione demografica, si è cominciato a parlare di quello sviluppo sostenibile. La formula è vagamente ideologica, analoga (metaforicamente parlando) alla trasformazione dell’IMU in TARES o Service Tax, un puro stratagemma contabile, un’occorrenza nominalistica. Lo sviluppo sostenibile, fuori traslato, è quello che coniuga lo sviluppo verso la catastrofe ecologica con tutti i crismi scientifici, fino al suo esito finale certificato, ahinoi, attraverso qualche variabile impazzita sfuggita alla scienza della politica e/o alla politica della scienza (l’illusione è di avere il sistema sotto controllo mediante indicatori e sensori di vario genere e livello che però già suonano i loro campanelli d’allarme). Si tireranno i remi in barca solo al tramonto, quando svolazza l’hegeliana nottola di Minerva. Alla fine, appena prima dell’atto finale, la catastrofe sarà certificata infallibilmente con strumenti matematici e statistici (scientificamente validati). 

Soddisfazione e compiacimento dei matematici che alla fine, giusto prima di dire addio, già con l’acqua alla gola, avranno l’ardire di balbettare “io l’avevo previsto”.

Sempre più spesso lo scienziato scende in politica, o se non lo fa provvede a dare risalto alle sue ricerche e alle sue scoperte, tutte "a beneficio dell’umanità", per ottenere gli ambiti finanziamenti, per incentivare quello sviluppo economico sostenibilmente insostenibile. Si tratta di un procedimento vagamente surreale. Politiche di sviluppo e provvedimenti per rendere sostenibile uno sviluppo insostenibile attraverso lo sviluppo di tecnologie sempre più insostenibili. Sì, lo riconosco, mi sto... come dire, allargando: dall’IMU all’ecologia, dalla Service Tax alla scienza e alla tecnologia. Che la scienza possa risolvere i problemi che l’umanità sta affrontando, e in primo luogo quello di uno sviluppo fuori controllo, è un puro atto di fede. Allora meglio un credo religioso che, perlomeno, non pretende di disporre di un metodo razionale, ma soltanto di una qualche verità rivelata circa il crescete e moltiplicatevi. Per il grande pubblico pare davvero che tutte le diavolerie tecnologiche rappresentino la miglior garanzia di una scienza taumaturgica (i nuovi miracoli di una tecnologia onnipresente e onnisciente) che alla fine avrà sconfitto il dolore e la morte, che avrà risolto i mali del pianeta con l’ultima sensazionale scoperta, quella veramente risolutiva, un po’ come un farmaco prodigioso che con un coup de théatre fa risuscitare un paziente comatoso. 

Il trend tendenziale non sembra proprio orientato verso quelle magnifiche sorti e progressive, sembra piuttosto che a fronte di uno sviluppo tecnologico sempre più accelerato l’ominide dalla statura eretta - che dà ampio sfoggio della sua tracotante lungimiranza - stia preparando quell’incerto avvenire di un mondo pericolosamente in bilico su un abisso. Pare perfino comico che ci si preoccupi di qualche grosso asteroide che possa cadere sul pianeta distruggendo la vita, organizzando un sofisticato sistema di monitoraggio con una catena di telescopi... come se la minaccia provenisse dallo spazio esterno e non già proprio da quell’ominide così perspicace e così previdente... così tecnologicamente attrezzato e così razionalmente dotato. La razionalità della scienza è tutto fuorché una riflessione ironica e disincantata sulla propria hybris. Ma non mi si fraintenda, la mia non è una apologia antiscientifica, tutt’altro, semmai è una denuncia dell’irrazionalismo celato nell’attività scientifica. Quella scienza paludata, in quel “nati non fummo per viver come bruti ma per seguir virtute e conoscenza”, in realtà persegue soltanto un fine di dominio e di prevaricazione, di controllo e di manipolazione. Lo scienziato, dietro quell’apparente immagine di uomo votato al sapere, di scrupoloso e indefesso ricercatore in camice bianco, di innocente e disinteressato esploratore dello scibile e della natura... spesso esercita la stessa volontà di dominio come qualsiasi altro attore sociale che usi gli strumenti in suo possesso per conquistare la sua fetta di potere. Non a caso molti scienziati si dedicano alla politica, scendono nell’agone ideologico un po’ per tirare acqua al loro mulino (le loro ricerche e i connessi finanziamenti) e un po’ per quella vocazione ‘disinteressata’ e di prestigio verso il ‘bene comune’.... 

Ovviamente la razionalità e l’economia (quelle vere) sono un’altra cosa. Per l’IMU, la TARES, la Service Tax o qualsivoglia altro sistema fiscale, forse varrebbe la pena di abbandonare il terreno demagogico del consenso e del compromesso per occuparsi dell’interesse generale. Così per la scienza e lo scienziato che credono di esercitare la loro ricerca nel vuoto di una neutralità pura e immacolata. La scienza si occupa di ricerche parcellizzate (anche quando trattano di eventi globali), l’economia si occupa di statistiche (i grandi numeri dove gli individui concreti sono pure astrazioni), entrambe perseguono un fine interno alla disciplina, non già il benessere dell’uomo. Una ricaduta positiva sulla vita delle persone reali (non la mera utilizzazione nei processi industriali e i consumi connessi ai nuovi falsi bisogni indotti dal sistema dei consigli per gli acquisti) è un fatto puramente accessorio e accidentale, un epifenomeno che può darsi oppure no, senza che la disciplina abbia minimamente a soffrirne. Lo scienziato, anche se indossa l’abito monacale della ricerca, della sapienza e della conoscenza, fa parte organica di quel sistema di interessi materiali e dell’organizzazione di un sistema economico e produttivo, ne è uno strumento più o meno consapevole.

Parlare di scienza è un vezzo che secondo alcuni risale alla cosiddetta rivoluzione scientifica, quel Copernico con la fissazione delle sfere e dei cerchi, quel Galileo con i suoi esperimenti del pendolo e dei piani inclinati, quel Newton con la famosa mela caduta in sede occipitale. Pochi sanno che la scienza è nata in Grecia con la speculazione filosofica come ricerca a tutto tondo. La scienza moderna, con la specializzazione sempre più spinta e le ricerche più parcellizzate, sta perdendo di vista il carattere unitario dell’esperienza umana e si sviluppa in sintonia con gli apparati economico-industriali, è lo strumento di quello sviluppo economico che sta portando il pianeta al collasso. Paradossalmente, più alcune ricerche mettono in guardia sul fatto che stiamo superando la soglia del non ritorno e più quelle stesse ricerche ricevono impulso e stimolano i processi di produzione in vista di nuovi strumenti e nuove ricerche con ulteriori ricadute sull’ambiente e sugli squilibri ecologici. I prodigi tecnologici che dovrebbero alleviare e riconvertire i processi di devastazione e impoverimento dell’ambiente, di fatto comportano un’ulteriore pressione ambientale. Perfino la produzione degli strumenti di rilevazione per dimostrare che il pianeta è sull’orlo della catastrofe (strumenti concettuali e materiali) stimolano ulteriori processi di sviluppo che andranno a moltiplicare i processi industriali, il commercio, la produzione, il turismo, l’incremento demografico... tutto quel sistema economico produttivo che sta lentamente portandoci verso lo scenario del collasso. 

Lo scienziato teorico, quello che riflette sulla scienza in ragione dei suoi limiti e delle sue aporie, è visto più che altro come un rappresentante eccentrico e anacronistico di una cultura dépassé, più come un filosofo che come un vero uomo di scienza. In nome della neutralità della scienza (presunta tale) le ricerche poi non si pongono più nessuna remora etica. Alla scienza dei metodi delle procedure standardizzate e del suo formalismo, certificato attraverso dei paradigmi autovalidanti, si consente praticamente tutto in nome del suo statuto di disciplina razionale e sperimentale (con strumenti di misurazione quantitativi) in contrapposizione all’irrazionalismo delle psudoscienze qualitative. Ciò che è in odore di scienza supera brillantemente qualsiasi remora morale. Quello che solo cinquant’anni fa sarebbe stato catalogato come un orrore nazista, oggi a poco a poco viene legittimato attraverso l’imprimatur asettico del cosiddetto modello, la matrice disciplinare della comunità scientifica che ne decreta la validazione normativa. Al di là delle astrazioni si può dire che alcuni personaggi (l’autorevolezza della ricerca ipostatizzata) possono ritenere che in base alla scienza normale (quella in auge in un certo tempo e talvolta anche in uno spazio determinato) una certa cosa sia vera (non solo convenzionalmente), sia la realtà effettiva dietro l’apparenza, sia la vera essenza del mondo. 

Un esempio è la cosiddetta morte cerebrale. Pochi sanno che per consentire il trapianto d’organi, salvo rare eccezioni riguardanti alcuni tessuti, occorre che si proceda da vivente a vivente. Per questo con il protocollo di Harvard si è concluso che un individuo possa essere considerato morto con la morte dell’encefalo (che poi l’encefalo sia morto è solo questione di encefalogramma (nominalisticamente) piatto, cioè di un’assenza di segnale elettrico al di sopra di una certa soglia puramente convenzionale (attività elettrica cerebrale che non contenga picchi superiori a 2 microvolt), cioè stabilita mediante un accordo tra ricercatori validanti. L'introduzione del concetto di morte cerebrale fornisce una legittimazione scientifica per poter effettuare i trapianti e il problema etico-giuridico, la responsabilità umana delle sue scelte, viene trasformato in un neutrale asserto scientifico.

Parlando di sviluppo bisogna allora e alla fine parlare del sistema. Il sistema nel suo complesso (quello economico-produttivo) è una macchina creata dall’uomo che da tempo si è resa autonoma dal suo artefice. L’immagine è quella dell’apprendista stregone che suscita forze che poi non è più in grado di controllare. Ci sono società tradizionali nelle quali il sistema organizzativo si trova in equilibrio, in l’armonia col mondo naturale (la parte è in armonia col tutto). Ci sono state società (civiltà) che nel passato sono collassate, si sono estinte. La globalizzazione potrebbe rappresentare l’ultimo atto per un collasso globale di fronte a un sistema in cui gli automatismi economico-produttivi non sono più sotto il controllo di nessuno, ma rappresentano l’alienazione del prodotto dell’uomo. I sistemi complessi sono anche sistemi fragili, facili a incepparsi, ma soprattutto sono prodotti che proprio in forza della loro complessità agiscono in totale autonomia, attraverso una logica intrinseca. L’immagine che sempre più spesso rappresenta il sistema è quello dell’elaboratore elettronico nel quale il calcolo automatico mediante iterazioni e subroutines consente la reale autonomia del sistema da decisioni consapevoli del suo utilizzatore. E’ proprio quello che accade in borsa dove le transazioni avvengono in automatico o nelle cosiddette reti ‘intelligenti’ basate sulla logica fuzzy o su algoritmi implementati come sistemi di scelta automatica sulla base della distribuzione di pesi statistici. Alcuni film di fantascienza mettono l’accento sulla ribellione delle macchine (2001 odissea nello spazio). Domanda: E’ il sistema globale sotto il controllo di qualcuno? O forse non lo è mai stato?

La società umana in questo senso sarebbe più simile a un alveare o a un termitaio nei quali l’organizzazione che possiamo immaginare è su base istintuale. Le società degli insetti rappresentano comunque un sistema razionale a differenza del nostro sistema ‘razionale’ - la nostra organizzazione sociale - frutto di uno sviluppo storico che potrebbe nascondere (nonostante l’illusione della razionalità scientifica) una prevalenza di elementi irrazionali, assolutamente fuori dal nostro controllo.

Non sembra davvero che ci si trovi in prossimità di un cambiamento di direzione. Uno dei problemi è che nessuno (e senza evocare qualche eminenza grigia, qualche organizzazione massonica che avrebbe in mano le leve del sistema) controlla niente, a meno di considerare per controllo l’efficienza organizzativa e la ‘manutenzione’ della macchina che andrà inesorabilmente a collassare. Nessuno sembra in grado di fermarla. Ricorda quel film in cui un treno senza macchinista è destinato a deragliare e a schiantarsi. Non c’è nessun manovratore perché la locomotiva procede secondo gli automatismi che sono stati implementati e resi autonomi dal suo ‘costruttore’. Lo scienziato sarebbe più che altro una vestale di quella comtiana religione della scienza, un esecutore di un metodo applicato in automatico sia pure con la creatività e la destrezza di un illusionista.

La potenza della tecnologia, fatta di apparti tecnico-pratici, più che rappresentare la soluzione del problema appare come l’arma di distruzione di massa, un potere fuori controllo nonostante tutte le buone intenzioni dello slogan sullo sviluppo sostenibile. Per rendere credibile lo sviluppo sostenibile bisognerebbe uscire radicalmente da un sistema socio-economico che rappresenta la negazione dell’uomo e del mondo animale, dalla logica di rapporti basati sul consumismo e sulla propaganda. Gaia, il pianeta che vive, sembra piuttosto ammalato; al suo capezzale quella scienza che forse qualche responsabilità ce l'ha, se non altro come medico che non ha azzeccato la diagnosi, forse più interessato alla parcella che alla guarigione del suo paziente. Lo ‘sviluppo sostenibile’ non è altro che un bisticcio di parole. Sviluppo è una parola ambiguamente polisemica, può indicare un processo di crescita fisiologica (come quella di qualsiasi organismo che nasce si sviluppa e muore) o al contrario un processo che prolifera fuori controllo come una neoplasia. L’uomo potrebbe davvero essere un processo di sviluppo ripetitivo. Lo sviluppo sostenibile sembra più che altro un ossimoro, soltanto il tentativo di mantenere inalterato il funzionamento del sistema con degli aggiustamenti e dei processi di razionalizzazione che in ultima analisi non sono altro che dei palliativi che tutt’al più differiranno l’atto finale in un botto esplosivo.

Cosa c’entra il femminicidio con tutto questo? C’entra come l’IMU e la TARES (o la Service Tax). Si tratta di propaganda per distogliere l’opinione pubblica dai problemi reali, anestetizzandola con provvedimenti di facciata. Solo un piccolo esempio, una metafora dei processi di controllo e persuasione. La realtà dell’equilibrio senza manovratore è legata anche a un sistema di propaganda che ha lo scopo di mantenere saldi quei rapporti di potere che rappresentano il fenomeno accessorio della politica rispetto al sistema socio-economico. La politica è al servizio del sistema economico-produttivo creando ed evocando scenari di immagine, istanze demagogiche che facendo leva, ad esempio, sull’emozione prodotta da fatti delittuosi ed efferati (che hanno origine anche dai processi di disumanizzazione) tende a creare generalizzazioni e dati statistici e criminologici per lo più senza riscontri, però utili per accreditare sedicenti politiche di rigore e di svolta (razionalizzazioni nel segno di un’efficienza per lo più immaginaria e di un attivismo di facciata per lo più nell’ottica del disimpegno). Si tratta di far leva sull’emotività, su campagne di stampa pianificate e con provvedimenti che violano costantemente il concetto di presunzione di innocenza che è alla base di un sistema giudiziario non inquisitorio e forcaiolo. Le società che si avviano verso scenari di crisi globale sembrano anche scivolare pericolosamente verso politiche sempre più repressive e verso una costante riduzione delle libertà individuali in nome (e con il pretesto) della sicurezza e dello sviluppo.

Naturalmente la cultura di ogni paese è più o meno sensibile a certe forme di propaganda in ragione del suo retaggio storico e della qualità delle proprie istituzioni, anche se ormai l’appiattimento della cosiddetta civiltà occidentale trova consonanza in un sistema di ‘valori’ e di ‘credenze’ che rappresentano un abito mentale in gran parte inconsapevolmente interiorizzato. Il nostro futuro rimane in gran parte un’incognita, naturalmente, ma è un’incognita piena di inquietudini e di incertezze mortali. IMU e femminicidio rappresentano alcuni dei tanti slogan per offrire delle politiche di consolazione... un poco di fumo negli occhi ad un target sempre più miope e inconsapevole.   Gilberto M.

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8 commenti:

Anonimo ha detto...

IL contadino quando la gramigna mette in pericolo il suo raccolto cosa fa? La falcia via.
il popolo dovrebbe fare come il contadino.
la Gramigna che ci a infestato è composta da Governanti e Oppositori
pechè quando si è trattato di annullare il volere del Popolo sono sempre stati d’ accordo

( vedi Referendum aggirati Rimborso ai Partiti responsabilità Giudici riforma delle pensioni per loro diventata VITALIZIO ecc)

i Politici ? come gli azionisti ad ogni legislatura si spartiscono quote In percentuale dei voti ricevuti .

Urge trovare al più presto un vaccino che ci liberi da questi virus
perché il sistema sta andando in cancrena grazie a loro e alla loro creatura che è
Il libero mercato Esca gettata dal capitalismo che da 50 anni sta dando vita hai mostri che guidano L’ECONOMIA ITALIANA .
Ci hanno costretto ad’ accettare interscambi importando merce che produciamo
Creando crisi NELL’ INDUSTRIA e L’AGRICOLTURA ITALIANA .
L’AMERICA Padre del libero mercato ci impone regole che loro non rispettano .
Provate a invadere il mercato AMERICANO e mettere in crisi le loro INDUSTRIE e la loro AGRICOLTURA automaticamente scatterebbe sulle merci importate ( dazio ed embargo)
Questa prepotenza è imposta dai Manager spocchiosi di oggi.
I Manager da prendere ad esempio sono i vecchi imprenditori Della piccola e media Industria (Padri del Boom Economico) i più nati dalla gavetta Iniziando dal basso sono arrivati al vertice ricchi di esperienza (e umanità) vera LAUREA indispensabile ad un MANAGER.
Nel dopo guerra (ricordo che) in vari settori compreso il settore ARTIGIANO
Lavoravamo 10 mesi l’anno allora la cassa integrazione non esisteva nei due mesi di fermo lavoravamo al rinnovo del campionario per conquistare nuove fette di mercato il tutto a spese del titolare.

La cassa integrazione Figlia dei Bocconiani è nata dopo il boom economico per difendere ( solo ) le grandi Industrie e i loro capitali Dando vita ad un nuovo mercato (da sfruttare ) L’ITALIA
Premiando l’egoismo e là cupidigia ci hanno riportato al punto di partenza.
Purtroppo se non avviene un MIRACOLO con l’egoismo dei potenti e la stupidità dei sudditi
Il BOOM della catastrofe sarà definitivo. VITTORIO

Vito Vignera da Catania ha detto...

Carissimo Gilberto buona Domenica.Come al solito fai una descrizione molto approfondita sui problemi che affliggono la nostra amata TERRA.La lista sarebbe troppo lunga,in questo caso tratti due slogan che come dici hanno un effetto propagandistico e promozionale per i nostri "amati" politici.In uno ci sono in gioco svariati miliardi,e che servono per dare quei servizi di cui non possiamo farne a meno,nell'altro sono in gioco tante vite,tante donne assassinate nei modi più disparati da mariti,amanti,fidanzati e sconosciuti.Tutti e due i nomi che citi nel tuo articolo hanno dei costi molto elevati ogni anno.Cosa ci riserva il futuro è un incognita,non mi va di prevedere scenari catastrofici,per cui spero sempre in un futuro migliore per noi e per i nostri figli.Bisogna essere fiduciosi e crederci.La tecnologia,l'industria,l'agricoltura la scienza e le invenzioni non possono fermarsi,ogni giorno servono nuovi stimoli per andare avanti,dietro c'è il passato,e che non possiamo dimenticare,ma il futuro lo dobbiamo ancora vivere,e credere in un futuro migliore."Dovete credere in qualcosa:L'istinto,il destino,la vita,il karma,qualsiasi cosa.Questo approccio non mi ha mai tradito,e ha fatto la differenza nella mia vita". STEVE JOBS, L'uomo che inventò il futuro. Ciao carissimo amico, trascorri una felice Domenica e credici anche tu in un futuro migliore.

Anonimo ha detto...

Caro Vito
Questo discorso non lo devi fare a me, ma a quei miliardi di persone che vivono senza futuro, a quel mondo animale che vede costantemente eroso il suo ambiente naturale. Gli scenari apocalittici non sono una mia invenzione. Il pianeta si sta progressivamente impoverendo. Non è certo mettendo la testa nella sabbia che possiamo dare un futuro ai nostri figli, ma solo prendendo coscienza di quello che sta accadendo. Non so se ci sia rimasto ancora tempo per un cambiamento, il mio articolo vuole essere un piccolo stimolo per una presa di consapevolezza. Ognuno poi è libero di inventarsi il futuro che crede. Per costruire un futuro migliore occorre capire il presente che stiamo vivendo.
Gilberto

Vito Vignera da Catania ha detto...

Carissimo Gilberto hai pienamente ragione,ci stiamo impoverendo su tutto,consapevoli o no il divario sociale e oramai allarmante,ma bisogna avere fede ed essere speranzosi che tante cose possono cambiare.Governi e politici permettendo. Ciao

Anonimo ha detto...

SPERIAMOLO

Chiara ha detto...

ma non speriamolo in troppi, altrimenti va a finire che ci tassano pure la speranza!

p.s. oggi chiacchieravo con due vicini, persone semplici e mediamente istruite (istituto professionale) ma che comunque vivono normalmente lavorando, portando i figli a scuola, andando al supermercato ecc...bene: hanno cominciato con la tirata dello "speriamo tolgano presto l'IMU che non ce la facciamo più" al che ho chiesto loro quanto avessero pagato di imu: 50 Euro in tutto. Allora ho domandato loro quanto pensano che aumenti la loro spesa annuale se l'iva continuasse a crescere per compensare l'abolizione dell'imu prima casa: mi hanno risposto che non spenderanno di più perchè l'iva è una cosa che riguarda le aziende e i professionisti e non i dipendenti (giuro!).....fino a quel momento non mi capacitavo di come politici e media riescano a gabbare sistematicamente così tanti cittadini-elettori. Non me lo domando più.

Vanna ha detto...

Gilberto ciao.
Ho letto il tuo interessantissimo articolo subito dopo lo hai pubblicato e non ho avuto il tempo di rispondere presa da altro.
Mentre lo leggevo condividevo l'ampia panoramica che fai su tutto.Questa mattina, che ho dedicato al blog, me lo sono riletto.Mi sono soffermata su queste ultime riflessioni:
"Cosa c’entra il femminicidio con tutto questo? C’entra come l’IMU e la TARES (o la Service Tax). Si tratta di propaganda per distogliere l’opinione pubblica dai problemi reali, anestetizzandola con provvedimenti di facciata. Solo un piccolo esempio, una metafora dei processi di controllo e persuasione. La realtà dell’equilibrio senza manovratore è legata anche a un sistema di propaganda che ha lo scopo di mantenere saldi quei rapporti di potere che rappresentano il fenomeno accessorio della politica rispetto al sistema socio-economico.La politica è al servizio del sistema economico-produttivo creando ed evocando scenari di immagine, istanze demagogiche che facendo leva, ad esempio, sull’emozione prodotta da fatti delittuosi ed efferati (che hanno origine anche dai processi di disumanizzazione) tende a creare generalizzazioni e dati statistici e criminologici per lo più senza riscontri, però utili per accreditare sedicenti politiche di rigore e di svolta.... Si tratta di far leva sull’emotività, su campagne di stampa pianificate e con provvedimenti che violano costantemente il concetto di presunzione di innocenza che è alla base di un sistema giudiziario non inquisitorio e forcaiolo. Le società che si avviano verso scenari di crisi globale sembrano anche scivolare pericolosamente verso politiche sempre più repressive e verso una costante riduzione delle libertà individuali in nome (e con il pretesto) della sicurezza e dello sviluppo."
Tutto assolutamente vero!
Mentre lo rileggevo pensavo tra me me che dopo pochi giorni dalla tua cruda analisi della situazione, in così breve tempo,il pianeta va precipitando verso una guerra che potrebbe coinvolgerci direttamente.
Aspettando quello che deciderà Obama, abbiamo missili, truppe Nato in postazione, cosà farà il nostro inutile governo oltre a prendere la posizione prona dell'inchino?
Quale altra leggina tirerà fuori? Potrebbe farne una altrettanto nuova, dopo il FEMMINICIDIO, s'inventerà l'OMINICIDIO?
Con questo non intendo ironizzare una legge che dovrebbe tutelare le donne, solo che bisognerebbe capire che se le donne sono oggetto di tale violenza in numero crescente, dovrà pure esserci un motivo o no?
La nostra società vive il disagio di non avere più punti di riferimento: la Scuola e la Sanità sono state fatte a pezzi,il territorio è deturpato e si ribella con alluvioni, frane, ribollii,terremoti( provocati? ), l'arte non è valorizzata, la Politica usata per scopi personali e non collettivi, le spese e gli aiuti sociali inesistenti; la Giustizia che non interviene, il Lavoro che non c'è e Tasse a palate, e tanto altro...Siamo allo sbando e invece di aggiungere altre leggi e altre tasse, basterebbe che si facesse funzionare quello che c'è.

Anonimo ha detto...

Tutto vero Vanna. Ti ringrazio per l'apprezzamento. Spero di leggerti in un prossimo tuo articolo che son sicuro avrebbe il solito taglio molto originale.
Gilberto