mercoledì 18 settembre 2013

Transumanesimo e social network




        Di Gilberto M.

«I've seen things you people wouldn't believe, attack ships on fire off the shoulder of Orion, I watched the c-beams glitter in the dark near the Tannhäuser Gates. All those moments will be lost in time, like tears in rain. Time to die», è il monologo del replicante Roy Batty nel film Blade Runner, monologo che tradotto in italiano cita: "Io ho visto cose che voi umani non potreste immaginarvi, navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione, e ho visto i raggi C balenare nel buio vicino alle porte di TannhäuserE tutti quei momenti andranno perduti nel tempo come lacrime nella pioggia".

Siamo immersi in un contenitore ricco di nutrienti informativi? Cervelli in una vasca con tubicini attaccati alle nostre volute cerebrali? Oppure siamo anime con un cervello a supporto per collegarci a questo mondo nel quale siamo incarnati un po’ come l’anima platonica che perde le ali? I nostri dati personali sono ormai immagazzinati in quel gigantesco database dove c’è tutto di noi, vita morte e miracoli, in quell’inarrestabile flusso di informazioni (immagini, carte di credito, tessere magnetiche, bancomat, fidaty…). Siamo codici di programmazione? Dna di sintesi? Aggregati di geni? Molecole organizzate in un pattern significante? Siamo automi senz’anima? Strutture trasparenti e tracciabili, radiografie semoventi, senza neppure il risvolto di un segreto inconfessabile?

La nuova immagine dell’uomo scaturisce dalla biologia, in particolare dalla genetica, oltre che dalla chimica e dalla fisica. Il complesso della scienza contemporanea sta creando dell’uomo, di noi, un’immagine da organismo senz’anima. Come per Cartesio gli animali erano macchine semoventi, così noi oggi siamo solo una aggregato di organi, anche da trapiantare, innestare, prelevare, radiografare... L’anima è sempre più un’astrazione limite, il residuo  inessenziale di un corpo dove perfino la coscienza non è altro che funzione dei collegamenti neuronali in un tutto organizzato: un sistema integrato. La morte è decretata attraverso una macchina, una rappresentazione grafica, l’elettroencefalogramma, e non per quella appercezione con la quale avvertiamo che qualcuno ci ha lasciato. Una volta il medico redigeva l’atto di morte non già per assentire quello che per tutti era un corpo morto che già iniziava la sua decomposizione avvertita anche a fiuto. Era per non dover smentire, eventualmente, che la morte fosse già sopraggiunta, per dire magari che la dipartita era solo apparente, che c’era ancora vita nel corpo inerte dove il soffio vitale sembrava estinto. Era più che altro una procedura formale, una semplice presa d’atto per tutte quelle incombenze burocratiche e legali a seguito del venir meno di un cittadino alla sua comunità, una sua sottrazione all’umanità dei viventi. 

Oggi al contrario un corpo che respira, dove il cuore batte ancora, viene diagnosticato morto in base a delle macchine, al tracciato su un monitor: encefalogramma piatto, morte cerebrale. E chissà chi mai è tornato da quel confine per raccontare quando e come si è estinta la coscienza (come invece Er, l’eroe guerriero morto in battaglia di cui ci parla Platone in uno dei suoi miti, e il cui corpo posto sul rogo come da usanza, mentre stava per essere arso, si ridestò dal sonno eterno e raccontò quello che aveva visto nell'aldilà). La coscienza non c’è più, né quella del ‘malato’, né quella che una volta era detto "il medico". Adesso il ‘dottore’ è solo un tecnico che opera con una macchina che decripta il corpo umano, nel quale riconosce (o crede di riconoscere) i segni della vita e della morte per via tecnologica, ma soprattutto per indicare che la coscienza (l’anima) non c’è più. Poco importa se sia volata in cielo o se sia estinta per sempre. Il corpo rimane a disposizione, donato (si fa per dire) dai familiari o eventualmente dal silenzio assenso che lo trasforma in una nuova appendice per un’altra coscienza, un’altra anima... un semplice contenitore tenuto ‘in vita’ quanto basta per poterne utilizzare le componenti biologiche.

Quello che sorprende è che mentre l’epistemologia ci dice: attenti perché la scienza non è l’immagine vera del mondo ma solo una costruzione per rendercelo afferrabile (e per farci credere di poterlo dominare), sempre più si fa strada tra gli scientisti (tecnocrati della scienza) la convinzione di disporre del segreto del mondo, di averne svelato l’intima essenza, che all'uso della matematica corrisponda là fuori una realtà scritta coi numeri. Come se le astrazioni della scienza non fossero soltanto le ‘popperiane’ reti a maglie larghe con le quali cerchiamo di ‘pescare’ il mondo, un procedimento di avvicinamento e approssimazione a un idea di verità, ma come se invece davvero cogliessero l’essenza vera delle cose e delle coscienze. E’ il versante pernicioso e insidioso che ci sta facendo scivolare nell’equivoco e nella profezia che si autoadempie. Tanto più ci descriviamo come macchine e tanto più agiamo come tali. I successi tecnologici e scientifici ci stanno illudendo circa la nostra immagine di creature assemblate, di configurazioni molecolari, di macchine biologiche. 

Una cattiva divulgazione ha fatto credere agli umani di essere solo dna, cellule, molecole, atomi e particelle. Il sogno degli atomisti Leucippo e Democrito, di Epicuro e poi di Lucrezio, sembra finalmente essere approdato nell’isola felice del mondo del disincanto e del dismagamento: la nostra essenza è il numero, la quantità che solo per diversa composizione diviene qualità, con quel clinamen (la parenclisi epicurea) che innesta la deviazione casuale… Andando a scontrarsi tra loro gli atomi innescano altre collisioni facendo nascere gli aggregati, cioè i corpi. Nella pioggia di particelle una deviazione forse del tutto casuale determina dunque l’esserci delle cose, quel brodo primordiale che porta alla vita e alla coscienza. Secondo Lucrezio la declinazione casuale degli atomi (l’aberrazione del clinamen) nel loro moto di caduta spezza la necessità del mondo e apre per l’uomo una prospettiva di libertà. Ma in fondo anche l’anima è formata da atomi (sia pure sui generis) e sottoposta alle leggi fisiche. L’oscura contraddizione forse apre la strada a una necessità imperscrutabile, a un determinismo inconfessabile.

Davvero poco ci ha detto la scienza moderna riguardo al perché c’è l’essere e non c’è il nulla. Le spiegazioni che ci offre sono più che altro una deriva in un regressus ad infinitum di cause, adducendo il computer universale (l’universo e la sua evoluzione) come causa di se stesso. E’ il deus sive natura spinoziano (la sostanza) che porta a quell’ordine geometrico necessario, a una natura che ha in sé stessa il principio ordinatore, una divinità immanente al sistema complessivo delle cose, mentre la trascendenza diviene solo metafora di quel principio invisibile che opera dentro il mondo naturale, una natura madre e figlia di se medesima.

C’è una variante davvero divertente alla quale molti ‘scienziati’ danno l’impressione di credere. In soldoni è questa: Si costruisca un computer abbastanza complesso, di una complessità simile al cervello umano, magari anche di più, e vedrete che improvvisamente scoccherà nella macchina la coscienza e l’autocoscienza. L’hardware comincerà a pensare davvero come un normale signor Rossi, le sue interazioni col mondo non saranno più mere iterazioni sulla base di input ed output, ma vere scelte non implementate nel software. Se siamo solo macchine non si vede perché una macchina non dovrebbe essere in grado di pensare, dal momento che noi umani, sembra, possiamo inanellare pensieri, fantasie, ragionamenti... salvo non si tratti di mera apparenza perché siamo solo macchine deterministiche. La macchina che simula le capacità umane non è altro che un insieme di algoritmi sempre più sofisticati e complessi fino ad avere la forza di battere gli umani in una partita a scacchi. L’automa diventa perfino più abile di chi l’ha costruito, più scaltro di chi l’ha progettato. La fantascienza ha giocato su questa immagine della macchina che improvvisamente può addirittura prendere il sopravvento sul suo ideatore. La macchina diviene specchio dell’uomo, nel bene e nel male. La ribellione a Dio da parte dell’uomo trova la sua rispondenza speculare nella ribellione della macchina al suo costruttore umano. Una sorta di nemesi che fa della ribellione delle macchine il leitmotiv di tanta letteratura distopica e della science fiction

Quello che poco prima era solo ferramenta d’improvviso si scopre essere un’anima senziente, diabolicamente intelligente e soprattutto dominata da quegli stessi sentimenti ed impulsi degli umani. E’ il tema dei mostri dell’id (i fantasmi dell’inconscio) nel film degli anni ’50 "Il pianeta proibito" (vagamente ispirato alla commedia di Shakespeare La tempesta). Il robot denominato Robby che accoglie  i membri della missione dell'incrociatore spaziale C-57-D sul pianeta Altair IV, è ancora piuttosto rudimentale se rapportato agli standard attuali. Però il tema appare attualissimo, più attuale di molti film di fantascienza degli ultimi anni che senza effetti speciali sarebbero soltanto noiose sbrodolate senza capo né coda. Sul pianeta esiste una "Grande Macchina” aliena, uno strumento in grado di proiettare materia con il solo pensiero. Purtroppo insieme ai prodotti del pensiero cosciente si materializzano, senza volerlo, i "mostri dell'Id" (i fantasmi dell’inconscio). Proprio le macchine che materializzavano non solo la coscienza ma anche il subconscio, sono l’arma micidiale che aveva distrutto la civiltà aliena del pianeta. Il tema non solo è attualissimo, sembra perfino lo slogan del futuro prossimo venturo...

Oggi si respira un’aria di ottimismo verso gli apparati tecnologici. Gli studi sul cervello sembrano approdare a qualche nuova consapevolezza circa la nostra natura di esseri senzienti. La mappatura delle aree cerebrali frammenta la coscienza in quella società della mente che riduce l’uomo ai suoi componenti zoomando attraverso le aree della psiche in relazione ai referenti anatomici del cervello. Sulla base dei danni cerebrali si individuano le regioni del pensiero e della coscienza così come un navigante traccia le coordinate spaziali, disegna i contorni e l’orografia di un nuovo continente: l’encefalo, la psiche, l’anima... Dal momento che non sappiamo dare una spiegazione e neppure una definizione di coscienza, non sarebbe il caso, proprio in una corretta prospettiva scientifica, di attenerci ai dati di fatto? O no? Vuoi vedere che siamo davvero solo macchine un po’ più sofisticate del nostro frigorifero di ultima generazione? Certo, tutto porta a credere che sia solo una questione di grandezze, come se, superata la soglia critica, il robot, magari rivestito di pelle sintetica e con una fisionomia autenticamente umana, possa cominciare a pensare, magari a desiderare, perfino ad amare e ad odiare, proprio come noi.

Sembra sia possibile navigare nel cervello esplorando la rete delle connessioni fra i neuroni e far luce sulle capacità cognitive, sull'emotività e sulla percezione, costruire una mappa virtuale delle connessioni fra le cellule encefaliche, a scopo diagnostico, per migliorare la nostra salute, per ottimizzare la nostra mente. Risonanza magnetica nella materia grigia e bianca, per scovare i sintomi del nostro disagio di vivere, per smascherare i prodromi di un morbo invalidante: psicopatia, demenza senile, depressione.... Dunque ricostruire un modello del nostro hardware, simulare gli istinti e perfino i sentimenti più nobili, come l’amore, ridotti a negoziazioni di sopravvivenza, strategie dell’evoluzione, geni egoisti…

Sembra che sia già pronto il robot per fare sesso, simulacro quasi identico a quella controparte incidentalmente umana: l’eventuale gap si andrà progressivamente riducendo e alla fine il robotico e l’umano saranno indistinguibili, a meno di operare qualche sofisticato test di riconoscimento al quale un partner arrapato sarà di sicuro assai poco interessato. Un lui o una lei con una pelle talmente morbida e uno sguardo così profondo e galeotto da trarre in inganno perfino il dongiovanni più scafato. Perfette simulazioni, perfino con qualche imperfezione per renderle ancor più realistiche e più desiderabili: cicatrici, leggere asimmetrie, strabismi di venere, timidezze... degli androidi davvero credibili come amanti e senza tutte quelle inutili complicazioni che affliggono i legami matrimoniali. Belli e senz’anima?

Fare sesso con una macchina sarà eticamente riprovevole? Si scaglieranno anatemi religiosi contro una versione aggiornata dell’onanismo? Oppure si paventeranno i rischi sociali di una pratica con organismi artificiali così sofisticati da indurre gli utenti a comportamenti magari criminosi? E si potrà considerare come infedeltà coniugale l’essersi accompagnato con un automa sessuale? Si potranno intentare cause di divorzio per un amante cibernetico? E se alla fine i robot sessuali dotati anche di una buona carica affettiva, per quanto simulata, risultassero più appetibili dei partner in carne ed ossa? Il futuro della tecnologia, circa l’utilizzo di simulacri umani, anche nell’assistenza medica, geriatrica, educativa... porrà problemi di ordine morale e giuridico? E se poi qualcuno sollevasse il sospetto inquietante che nel cervello elettronico dell’androide si fosse davvero innescata una vera autocoscienza, sentimenti umanamente ambivalenti? Un androide innamorato e geloso del proprio partner umano?

Insomma la tecnologia ancora una volta andrà a complicare la nostra vita di relazione. Quello che all’apparenza potrebbe sembrare una innocua forma di masturbazione attraverso un ausilio ‘sanitario’, si rivelerà alla fine molto più insidioso e compromettente sul piano giuridico. Forse qualche moglie o marito apprezzerà l’escamotage tecnologico in dotazione del partner (magari da tenere nel ripostiglio sempre in carica e riattivare per le bisogna), felici di dare requie a quegli obblighi coniugali talvolta onerosi e sfiancanti, ma è probabile che altri possano sviluppare qualche forma di morbosa gelosia nei confronti dell’innocuo organismo cibernetico... fino magari a danneggiarne le componenti più delicate.

E che dire della possibilità, come dimostrato da alcuni esperimenti, che la morte si possa procrastinare indefinitamente attraverso il ringiovanimento cellulare? Far scorrere indietro il nostro orologio biologico sarebbe rinnovare il mito faustiano del “fermati attimo sei bello!”. Saremo perfino più giovani dei nostri figli e dei nostri nipoti. Certi politici dall’aria incartapecorita potrebbero tornare ai loro antichi splendori: sarebbe come vivere in un eden con l’immancabile replica dei comizi delle ultime elezioni, come rivedere il film della propria vita. Ultracorpi immortali per assistere agli stessi dibattiti televisivi, per riascoltare le stesse promesse elettorali, per ridere alle medesime folgoranti battute. Sì, il sospetto è che forse siamo già in quel futuro di delizie, senza sapere che la tecnologia ha davvero fatto passi da gigante. Certo il mondo risulterebbe un po’ sovrappopolato tra giovani e finti giovani, nella varietà dei prodotti eugenetici. Per non parlare poi di qualche chimera che farà la sua comparsa in qualche laboratorio abusivo, di qualche Frankenstein usato come deterrente o nuova arma letale. Meraviglie e orrori della manipolazione genetica o semplicemente il vecchio adagio “cambiar tutto per non cambiar niente?”

Se veramente la morte cerebrale è la vera morte - come ci dicono gli espiantatori di organi da far rivivere in qualche altra cassa toracica - alla fine si porrà il problema in forma radicale. Se tutto è davvero nella materia grigia, il topos dove soffriamo e gioiamo, dove tutto accade nel nostro schermo psicosensoriale, perché non sbarazzarci di quel corpo ingombrante e pernicioso. Saremo finalmente solo cervelli in una vasca con gli automi costruiti e programmati all’uopo per nutrire amorevolmente le nostre volute cerebrali. Le nostre esperienze si produrranno mediante stimolazioni sui neuroni, e sarà davvero assai poco importante se la sensazione di correre, saltare, fare all’amore, ammazzare, violentare, amare, studiare, vivere e forse anche morire, saranno implementate mediante opportuni titillamenti sulle sinapsi. Felici nel nostro ambiente nutritivo, forse anime di sintesi, corpi simulati, ectoplasmi, pure astrazioni matematiche. E poi l’interconnessione totale di tutto quel vasto tessuto farà di noi un’intelligenza mostruosa, un encefalo innestato su uno sterminato apparato tecnologico comandato mediante impulsi telepatici. 

Le guerre verranno combattute nel mondo virtuale inter-neuronico, conflitti e negoziati su collegamenti wireless, armi digitali più micidiali di un ordigno termonucleare. Nel nostro cervello sperimenteremo un corpo dilaniato dalle pallottole, devastato da qualche gas venefico, disintegrato dal tritolo: solo ferite e morti simulate. Saremo sempre integri nel nostro cantuccio adagiati in quel tepore di liquidi nutrienti e di affettuose premure da parte di macchine addestrate a nutrire qualunque configurazione virtuale in grado di emettere repertori non deterministici. In fondo viviamo in un universo fatto di quelle particelle che sconfinano nel niente. Siamo farfalle che sognano? E quando ci sveglieremo dal sogno della vita... come ebbe a dire il poeta? Cosa porteremo con noi? La fama, la gloria, la ricchezza?

Prospettive da utopie tecnologiche davvero allettanti, forse inquietanti, sicuramente seducenti per via di quel sentore da science fiction. Ma l’elemento davvero singolare è quel tema dell’Io, dei dati personali ormai in quella rete globale che per il momento simula soltanto l’interconnessione totale di quell'encefalo con un corpo puramente tecnologico. Parleremo d’amore? Sì, con un database dedicato possiamo fare lì per lì una dichiarazione al nostro partner, assemblando frasi prese dalla migliore tradizione poetica. Meravigliose macchine di sonetti, di terzine e madrigali. 

Col taglia e incolla costruiamo straordinarie canzoni d’amore. La vena letteraria riceve impulso da quegli algoritmi per costruire romanzi: il viaggio dell’eroe, la struttura in tre atti, gli intrecci narrativi, i plot emotivi, rottura dell’equilibrio iniziale, svolte, climax, arco-personaggio… insomma, la narrazione secondo un sistema combinatorio di stilemi e morfemi fondati sulla serialità dell’io narrante sull’onda di una società di massa che si nutre di modelli rassicuranti e ripetitivi. Un processo darwiniano di sopravvivenza del modello codificato secondo i dettami del verbo narrativo aere perennius. La letteratura? Un corpo morto da notomizzare, un reperto da smontare per portarne alla luce, attraverso i reagenti di una critica letteraria appiattita sul determinismo, i tratti caratteristici, le peculiarità, le idiosincrasie, le costanti caratteriali... insomma, la struttura sottostante immutabile. Da un biologismo che rintraccia l’uomo nel suo DNA a uno scientismo dilagante che nutre una fiducia religiosa nella scienza intesa come pura tecnologia, come dominio tecnico-pratico. La macchina narrativa? Una serialità standardizzata e codificata. Il lettore? Ingranaggio di un sistema industriale culturale omologato e certificato.

Lo spazio dell’interiorità, il giardino segreto della nostra anima? Uno spazio sul social network. Informazioni che corrono sui fili, relazioni che una gigantesca bacheca informatica trasforma in grafi, cinguettii, profili, aggregatori, chat… Quale il senso di reti sociali informatiche sempre più diffuse con utenti alla 109? Sovviene quel film di Friz Lang, Metropolis. Un film muto, solo per immagini. A cento anni dell’anno di produzione, il 1926, la pellicola ci proietta in quel 2026 che a conti fatti non è poi così lontano. Una società ormai divisa in sole due classi: i manager che vivono nei grattacieli e gli operai confinati nel sottosuolo. Metropolis anticipa il 1984 orwelliano con la macchina Moloch che ingoia le sue vittime: gli operai, e quello della macchina antropomorfa, come Terminator, Maria, il simulacro di una donna robot. Il Grande Fratello delle reti sociali non ha più un volto, e neppure un nome, ormai risulta disseminato in miriadi di nomi e di immagini, in quei profili sparsi nella rete, così diversi per orientamenti politici e religiosi, per situazioni emotive e sentimentali, per interessi e valori... e così perfettamenti uguali, seriali, identici, sequenziali, paralleli… nella loro riproducibilità sotto forma di prodotti di sintesi, variazioni sul tema, soggetti oggettivati e personalizzati. 

Transumanesimo da clonazione mediante quel tocco finale personalizzato: accessori culturali, idiosincrasie, crismi valoriali, personalità opzionali su un supporto standardizzato, omologato e certificato. Il social network è il cervello collettivo nella vasca, il nutrimento omogeneizzato nel quale sperimentare la transizione verso il grande encefalo, l’interconnessione social mind. Alla fine parleremo con una sola voce, canteremo le lodi al Grande Serpente del mondo, come quello di Kerouac nel Dottor Sax.

Il Grande Fratello non sembra poi così terribile. Le torture ad personam diventano più tollerabili se somministrate collettivamente, in fondo si tratta di un patire insieme, tutti sulla stessa barca. Un social network è un contenitore dove ciascuno trova il suo posto personalizzato nell’organigramma di un foglio elettronico, un anfratto dove guardare il mondo digitale in filigrana. Cervelli strutturati in parallelo, anime gemelle, specchi dell’identico. Non più l’immagine dispotica e onnipotente, l’ipostasi di un potere, il gigantesco leviatano di Hobbes. Invece una miriade di fratellini e sorelline disciolti nella rete, tanti volti disseminati nei nodi, tante identità… tutte collegate in un grafo di inaudita bellezza: l’anima mundi, tutti insieme nel cielo delle sostanze sempiterne, un paradiso più allettante dell’eden di ancestrale memoria, il non-luogo dell’utopia finalmente realizzata. Gilberto M.


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23 commenti:

Giacomo ha detto...

Gilberto, complimenti per il tuo articolo, come sempre.

Quello che mi lascia perplesso dell'articolo è il diffuso pessimismo verso la tecnologia e la scienza in genere, vista come qualcosa di separato ed opposto rispetto al pensiero puro ed al sentimento, e non come un mezzo di completamento dell'attività umana e un ausilio perché la vita pratica sia più facile e comoda, in modo da lasciare più spazio alle attività speculative.
In fondo è una "vexata quaestio" quest'apparente dicotomia fra scienza e filosofia.
Il vero umanesimo si può compendiare nella frase: Homo sum, humani nihil a me alienum puto (sono un uomo e, come tale, non considero separato da me nessun aspetto della realtà umana).
Ora, la tecnologia altro non è che uno degli aspetti in cui si estrinseca la capacità progettuale dell'uomo.

Ragion per cui, secondo il detto "in medio stato virtus" la soluzione consiste nel fondere in un armonioso equilibrio attività puramente intellettuali, come filosofia arte ed altre attività di pensiero, ed attività pratiche scientifiche e tecnologiche.
Infatti quello che provoca danni è lo squilibrio. La filosofia e la psicologia da sole non possono risolvere tutto, come da sola non può risolvere tutto la tecnologia.

Saluti e ancora complimenti.

Giacomo

tabula ha detto...

hai sfiorato un paio di argomenti che mi stanno a cuore. Poi sei andato a parare dove volevi andare, bellissimo articolo ma lì, circa a metà, c'era un ulteriore nodo cruciale che era un post a parte.

Anonimo ha detto...

@ Giacomo
Ti ringrazio per il tuo apprezzamento. In realtà la mia polemica non è contro la scienza. La scienza nasce in Grecia proprio con la filosofia. Il mio obiettivo polemico è lo scientismo. Quell’atteggiamento che assolutizza la scienza quando confonde il suo valore di strumento per l’uomo a quello di verità che tramite i metodi quantitativi ha la pretesa di cogliere l’essenza vera delle cose. Il discorso ci porterebbe lontano. Comunque semplificando, da un lato c’è l’immagine galileiana della scienza che di moderno ha ben poco (mi riferisco alla sua concezione che considera il mondo retto da intrecci di numeri, scritto cioè con linguaggio matematico). Ne faccio cenno nell’articolo. Dall’altro la concezione strumentalistica di Bellarmino molto più moderna dal punto di vista dell’epistemologia (naturalmente non sul piano della concezione delle libertà individuali). Un solo esempio, la concezione antica tolemaico-aristotelica dell’universo con tutto il suo armamentario di eccentrici ed epicicli consentiva delle previsioni piuttosto precise sui movimenti planetari, pur essendo ‘non vera’. La semplificazione operata con la rivoluzione scientifica in campo astronomico fino a Newton ha consentito previsioni più accurate pur essendo a sua volta errata, almeno dal punto di vista della relatività che introduce il concetto di deformazione dello spazio per effetto delle masse gravitazionali. La scienza insomma storicamente più che una descrizione vera del mondo è una messa a punto di modelli (strumenti) più precisi e sofisticati che però a conti fatti non costituiscono mai l’immagine vera della realtà. Una cattiva divulgazione scientifica ci fa credere che i modelli proposti rappresentino lo specchio del mondo e non già una costruzione per rendercelo afferrabile. Un grande scienziato e grande epistemologo, Mach (verso il quale Einstein si sentì debitore) si rifiutava di descrivere le leggi dell’universo separate dall’osservatore: le leggi fisiche vengono da lui concepite come semplici schemi organizzativi dei dati strumentali, cioè un prodotto umano. Tutte problematiche che sono già prefigurate nel pensiero greco della filosofia antica.

@ Tabula
Mi hai incuriosito. Non ho capito a quale parte dell’articolo ti riferisci, quali sono gli argomenti che ti stanno a cuore.
Gilberto

Vito Vignera da Catania ha detto...

Carissimo Gilberto affronti dei temi un po fuori dalla mia mediocre cultura,e come al solito debbo arrangiarmi con delle ricerche.Di Orione conoscevo solo la costellazione con la bellissima stella Betelgeuse la super gigante rossa.Scienza e tecnologia,un binomio inarrestabile,basta vedere cosa è cambiato negli ultimi cento anni.Chissà se in un futuro prossimo saremo dei sistemi Eliza umanoidizati. Del transumanesimo non so nulla,e quindi son dovuto andare a fare qualche ricerca,ed ecco cosa ho trovato.
"Il transumanesimo estropico offre una filosofia di vita ottimista, vitale e dinamica. Noi guardiamo a una vita di crescita illimitata possibilmente con entusiasmo e con gioia. Noi cerchiamo di annullare tutte le limitazioni alla vita, all'intelligenza, alla libertà, alla conoscenza, e alla felicità. Scienza, tecnologia e ragione devono essere utilizzate per i nostri valori estropici nell’abolire il più grande male: la morte. La morte non ferma il progresso di esseri intelligenti considerati collettivamente, ma cancella i singoli. Nessuna filosofia di vita può essere davvero soddisfacente se glorifica il progresso di esseri intelligenti e cionondimeno condanna ogni singolo a decomporsi nel nulla. Ciascuno di noi cerca la crescita e la trascendenza delle nostre attuali forme e limitazioni. L'abolizione della vecchiaia e, infine, di tutte le cause di morte, è essenziale per qualsiasi filosofia di ottimismo e di trascendenza relativa all'individuo.


L'uomo ha cercato di permeare la sua vita con un senso più ampio di significato tramite la credenza nella possibilità di collegarsi a un regno più alto, per trascendere i propri limiti e per unirsi o almeno per essere in comunione, con l'Infinito e l’Eterno. A prescindere dalla pura falsità e irrazionalità della religione che ha avuto la spiacevole conseguenza (identificata da Ludwig Feuerbach) di svilire l'umanità. Nell’inventare un Dio o una divinità ed elevandoli al di sopra di noi, nell’identificare la fonte di significato e di valore nella divinità, e nell’abbassare noi stessi a questi poteri superiori, abbiamo soffocato il nostro emergente senso di valore personale. "Possiamo alzare lo sguardo mentre siamo sulle nostre ginocchia ma senza essere in grado di camminare in avanti".Buona notte carissimo amico

Tabula ha detto...

copio ed incollo il brano che mi ha fatto accendere qualche lampadina che andava in una direzione parallela.

Quello che sorprende è che mentre l’epistemologia ci dice: attenti perché la scienza non è l’immagine vera del mondo ma solo una costruzione per rendercelo afferrabile (e per farci credere di poterlo dominare), sempre più si fa strada tra gli scientisti (tecnocrati della scienza) la convinzione di disporre del segreto del mondo, di averne svelato l’intima essenza, che all'uso della matematica corrisponda là fuori una realtà scritta coi numeri. Come se le astrazioni della scienza non fossero soltanto le ‘popperiane’ reti a maglie larghe con le quali cerchiamo di ‘pescare’ il mondo, un procedimento di avvicinamento e approssimazione a un idea di verità, ma come se invece davvero cogliessero l’essenza vera delle cose e delle coscienze. E’ il versante pernicioso e insidioso che ci sta facendo scivolare nell’equivoco e nella profezia che si autoadempie. Tanto più ci descriviamo come macchine e tanto più agiamo come tali. I successi tecnologici e scientifici ci stanno illudendo circa la nostra immagine di creature assemblate, di configurazioni molecolari, di macchine biologiche.
Adesso non so come spiegarlo e non sono all'altezza delle tue disquisizioni, diciamo che ciò che sto percependo intorno a me.. uhm diciamo.. è appunto una spiegazione scintifica della realtà che pone la scienza come nuova divinità.
La scienza, lo scientismo, è la nuova fede dell'uomo, che crede ciecamente al fatto che la scienza possa e debba spiegare tutto, come se tu lo dici fantasticamente bene Come se le astrazioni della scienza non fossero soltanto le ‘popperiane’ reti a maglie larghe con le quali cerchiamo di ‘pescare’ il mondo, un procedimento di avvicinamento e approssimazione a un idea di verità, ma come se invece davvero cogliessero l’essenza vera delle cose e delle coscienze.
In realtà ti assicuro credevo che il tuo discorso andasse a vertere sul discorso della fede in Dio che non può essere parametrizzato con l'incasellatura scientifica, questo è un tema che mi interessa molto perchè quando sostengo di avere fede mi trovo a discutere con persone che non escono dalla logica dimostrativa scientifica e cercano di trovare una spiegazione al concetto di Dio in questa maniera, smontandolo in piccoli pezzetti come se questo sistema fosse L'UNICO sistema di comprensione della realtà, come se tutti gli uomini delle generazioni a noi precedenti avendo strumenti differenti di lettura della realtà NON avessero strumenti, come se l'avere in dote la scienza cambiasse la natura umana che invece ha tutta una serie di sfaccettature nei meccanismi di comprensione della realtà che sono bastate nei millenni precedenti.
Forse ho fatto confusione, ma spero che nel poco tempo che ho tu abbia capito ugualmente.

Anonimo ha detto...

Sì Tabula
Il discorso potrebbe benissimo riguardare anche la fede. E lo dice proprio un agnostico. Di fatto però quella nella scienza è diventata proprio una fede. Nell’800 ci sono stati i fautori in una sorta di romanticismo della scienza: il positivismo ha un culto religioso del dato e fa della scienza l’unica conoscenza possibile e il suo metodo l’unico valido. Un metodo descrittivo che mostra i rapporti tra i fatti e enuncia leggi in grado di compiere previsioni e lo estende a tutti i campi d’indagine (anche all’uomo considerato come oggetto).
Il punto è che è impossibile assorbire alla scienza ogni manifestazione dell’uomo. La legge dei tre stadi di Comte (il filosofo positivista per antonomasia) teorizza la transizione delle speculazioni umane dallo stadio teologico, attraverso quello metafisico e fino a quello positivo (il sapere definitivo della ragione umana) nella concezione della invariabilità delle leggi di natura. La scienza sarebbe allora l’unica forma autentica di razionalità. Di fatto alla fine dell’800si riteneva che ormai c’era poco da scoprire e l’immagine di un universo deterministico la faceva da padrone. Nel ‘900 con la teoria dei quanti si affaccia l’idea di un universo più complesso e indeterminato dove il ruolo dell'osservatore diviene fondamentale. Anche se a tutt’oggi le interpretazioni della meccanica quantistica sono all’insegna della più totale anarchia. Il discorso è complesso. Però una cosa la possiamo dire. Un conto è usare la scienza come strumento di dominio tecnico-pratico, un conto è considerarla come l'unica conoscenza possibile. I modelli atomici che consentono previsioni molto accurate e precise potrebbero essere del tutto sbagliati, nel precedente commento ho esemplificato come il modello tolemaico-aristotelico dell’universo (con la Terra al centro) con il sistema degli eccentrici ed epicicli consentisse previsioni piuttosto precise sui moti celesti. Dunque un modello più che rispecchiare la realtà del mondo è soltanto uno strumento (più o meno preciso) per formulare previsioni. Riguardo alla fede, è essa stessa un modo per conoscere che rimanda all’uomo e alla sua interiorità. Quando però un metodo e una teoria (compresa la religione) si impongono come dottrine indiscutibili, la libertà dell’uomo è in pericolo e il rischio è di ridurlo appunto a una macchina. Sia che si tratti dell’uomo che esaurisce la sua essenza come mera macchina biologica, sia che si tratti dell’automa pascaliano (secondo Pascal la fede si esprime anche nell’abitudine e nell’atto esteriore). Anche la religione può davvero trasformare l’uomo in una macchina laddove la fede lo rende un fanatico intollerante e irrazionale. La Filosofia come indagine razionale (una ratio che pone anche se stessa come oggetto di indagine) è una forma di sapere in grado di mettersi in discussione mettendo in discussione anche il suo metodo di indagine, formulando una critica radicale che coinvolge anche se stessa.
Gilberto

Vito Vignera da Catania ha detto...

Carissimo Gilberto non che mi aspettassi chissà che cosa da parte tua,però neanche un accenno su quanto da me riportato,ok sarà per la prossima volta,e magari su qualcosa che conosco meglio.Un caloroso abbraccio dal tuo amico Vito.

Anonimo ha detto...

Caro Vito
Sono alle prese con una mala occlusione dentale che mi fa vedere i sorci verdi. Hai ragione, non ho commentato il tuo commento che davvero era interessante. Mi ripromettevo di farlo quando stavo meglio. Lo faccio adesso (cercando di non stringere i denti).
Il transumanesimo non mi piace, l’avrai capito, preferisco l’umanesimo di Pico della Mirandola del quale cito un po’ della bellissima Oratio de hominis dignitate (già tradotta in italiano). Leggilo attentamente perché è di una bellezza incredibile.
Già il sommo Padre, già l'architetto divino aveva costruito, con le leggi della sua arcana sapienza, questa dimora terrena, questo tempio augustissimo della divinità, che è il nostro mondo. Già aveva posto gli spiriti ad ornamento della regione superna; già aveva seminato di anime immortali i globi eterei e riempito di ogni genere di animali le infime parti del mondo inferiore. Ma compiuta la sua opera, l'artefice divino vide che mancava qualcuno che considerasse il significato di così tanto lavoro, ne amasse la bellezza, ne ammirasse la grandezza. Avendo, quindi, terminata la sua opera, pensò da ultimo - come attestano Mosè e Timeo- di produrre l'uomo. [...] Ormai tutto era pieno, tutto era stato occupato negli ordini più alti, nei medii e negl'infimi. [...] Stabilì, dunque, il sommo Artefice, dato che non poteva dargli nulla in proprio, che avesse in comune ciò che era stato dato in particolare ai singoli. Prese pertanto l'uomo, fattura priva di un'immagine precisa e, postolo in mezzo al mondo, così parlò «Adamo, non ti diedi una stabile dimora, né un'immagine propria, né alcuna peculiare prerogativa, perché tu devi avere e possedere secondo il tuo voto e la tua volontà quella dimora, quell'immagine, quella prerogativa che avrai scelto da te stesso. Una volta definita la natura alle restanti cose, sarà pure contenuta entro prescritte leggi. Ma tu senz'essere costretto da nessuna limitazione, potrai determinarla da te medesimo, secondo quell'arbitrio che ho posto nelle tue mani. Ti ho collocato al centro del mondo perché potessi così contemplare più comodamente tutto quanto è nel mondo. Non ti ho fatto del tutto né celeste né terreno, né mortale, né immortale perché tu possa plasmarti, libero artefice di te stesso, conforme a quel modello che ti sembrerà migliore. Potrai degenerare sino alle cose inferiori, i bruti, e potrai rigenerarti, se vuoi, sino alle creature superne, alle divine.» O somma liberalità di Dio Padre, somma e ammirabile felicità dell'uomo! Al quale è dato di poter avere ciò che desidera, ed essere ciò che vuole […] Il Padre infuse all'uomo, sin dalla nascita, ogni specie di semi e ogni germe di vita. Quali di questi saranno da lui coltivati cresceranno e daranno i loro frutti: se i vegetali, sarà come pianta, se i sensuali, diventerà simile a un bruto, se i razionali, da animale si trasformerà in celeste; se gl'intellettuali, diverrà angelo e figlio di Dio. E se di nessuna creatura rimarrà pago, rientrerà nel centro della sua unità, e lo spirito, fatto uno con Dio, verrà assunto nell'umbratile solitudine del Padre che s'aderge sempre al di sopra di ogni cosa. Chi ammira questo nostro camaleonte, o, anzi chi altri può ammirare di più?
Ciao
Gilberto

Vito Vignera da Catania ha detto...

Carissimo Gilberto ti faccio i mie migliori auguri di un immediata guarigione(se sapessi con quanti dentisti ho a che fare ogni giorno,posso inviarti un po di ghiaccio sintetico,gratis naturalmente).Avevi ragione caro amico,nell'umanesimo la filosofia ha una sua visione di vita e dell'uomo molto diverse,l'uomo che viene collocato da Dio al centro di tutto,per avere una visione universale di ciò che lo circonda.L'uomo nel suo esistenzialismo,non nel suo essere,e non trascurando quella dignità di cui l'uomo dovrebbe innalzarsi sempre al cospetto di Dio.Grande dottrina di filosofi si riunivano in quel di Firenze e di cui anche il Savonarola ne faceva parte.Ti riporto qualcosa che ho trovato e che credo sia assolutamente meravigliosa come lettura."L'uomo come microcosmos".
O somma liberalità di Dio padre, o suprema e mirabile fortuna dell'uomo! A lui, infatti, è concesso di avere ciò che desidera, di essere ciò che vuole. I bruti, appena nascono, recano nel seno materno i caratteri immutabili della loro natura. Gli angeli, o fin dall'inizio o poco dopo, furono quali saranno per sempre. Invece all'uomo in sul nascere, il Padre diede i semi d'ogni specie, i germi d'ogni vita. Quali ciascuno avrà coltivato, codesti alligneranno e produrranno in lui i loro frutti: se saranno vegetali, diventerà pianta, se sensuali, bruto, se razionali diverrà creatura celeste, se intellettuali, sarà angelo e figlio di Dio. E se, non contento della sorte di alcuna creatura, si raccoglierà nel centro della sua unità, divenuto allora uno spirito solo con Dio, nella solitaria tenebra del Padre, lui, creatura che fu posta sopra tutte le altre, sovrasterà su tutti gli esseri. Carissimo Gilberto speriamo di non distruggere tutto ciò che Dio ci ha dato.Ciao carissimo amico e ancora tanti auguri per il tuo dente.

Vito Vignera da Catania ha detto...

Carissimo Gilberto da buon amico oggi ti ho pensato tanto,spero che tu stia un po meglio,altrimenti vengo a trovarti e ti tolgo il dente,cosi non soffrirai più,una botta e via,via il dente via il dolore,pazienza avrai un dente in meno,però con gli altri denti potrai continuare a mangiare un bel piatto di pasta alla matriciana guanciale incluso.Ciao caro il mio amico "furbacchione" ti abbraccio con affetto.

Vito Vignera da Catania ha detto...

Carissimo Gilberto buona Domenica.Avevi detto che ti faceva male un dente,non che avevi l'artrite nelle mani tanto da non poter scrivere,nella vita esiste anche il dialogo tra persone,tra amici almeno se uno vuol comunicare con dei suoi pensieri,delle sue idee.Non scrivere più articoli sul transumanesimo,non mi piace,troppa religione,e poi la parola "trans" mi fa pensare a certe persone con brutti vizi e cattive abitudini.Appena vedo che non mi rispondi ti tolgo il saluto ok, ciao caro Gilberto ti auguro una felice Domenica.

Anonimo ha detto...

Caro Vito
Niente artrite, solo tunnel carpale. E poi oggi ho altro da fare che scrivere, non so se rendo l'idea. Tu intanto esercitati...
Gilberto

Tabula ha detto...

Guarda, Gilberto. Non sono così d'accordo sulla filosofia come metodo di indagine della realtà, poichè anch'essa procede a tentoni con la Storia, ma forse potrebbe raggiungere una buona approssimazione ponendosi come metodo di indagine dei metodi di indagine della realtà, in questo ne riconosco la coerenza e l'onestà intellettuale.
ANCHE SE pone sempre e comunque l'uomo e la sua intelligenza come misura (e limite) di itnerpretazione del metodo, quindi si rifà comunque ad una centralizzazione dell'uomo ponendolo come osservatore e misura unica di tutte le cose.
La dimensione religiosa e spirituale invece va oltre la misura e le misurazioni umane entrando in contatto con un sentimento che trascende la natura e perfino le capacità dell'uomo stesso.
Nel dire ciò ovviamente pongo dinnanzi alla mia asserzione un atto di fede che arriva prima delle capacità analitiche o della potenza intellettuale del singolo.
Tanto è vero che, volendo o non volendo, prendendo ad esempio la preghiera dei carismatici, entra in gioco una componente conoscitiva che va oltre le informazioni e le istruzioni del singolo, uno per tutti il fenomeno del dono delle lingue antiche che rimane un fenomeno inspiegabile sia per la scienza che per la filosofia che non hanno una spiegazione oggettiva nel verificarsi del fenomeno su soggetti ad esempio di poca o scarsa cultura. Ma di grande fede.
Però non intendo distoglierti, solo presentarti una realtà che esiste e convive insieme a tutte le altre mille componenti esperibili dall'uomo comune, dall'umanità semplice, una dimensione conoscitiva e di elevazione che può superare molti dei limiti conosciuti.

Anonimo ha detto...

Cara Tabula
Lontano da me l'idea di svalutare la fede in tutte le sue componenti. Ti assicuro che non nutro alcun pregiudizio per l'uomo e la donna di fede. D'altronde gran parte della filosofia (soprattutto medioevale) è incentrata sul rapporto tra fede e ragione (vedi san Tommaso e san Bonaventura). Però bisogna distinguere tra quella che è l'istituzione religiosa e la fede del credente. Più di una volta ho citato una delle opere più emblematiche di tutto il pensiero religioso lo "Scito te ipsum (Conosci te stesso)" di Pietro Abelardo (XII secolo) che si trova con la traduzione a fronte dal latino. E la bellissima 'Storia delle mie disgrazie, lettere di Abelardo ad Eloisa'. Forse sono opere che già conosci. Se invece non le hai lette, di sicuro lì trovi una forma religiosa di straordinaria attualità.
Gilberto

Manlio Tummolo ha detto...

Tutte le religioni rivelate non si fondano sui sentimenti, bensì li sfruttano, procedendo poi per abitudini familiari o con la violenza. Sappiamo la storia di tutte queste religioni e sappiamo che l'uso della violenza contro chi le interpretava a suo modo (non accettando le frottole evidenti o intendendole in senso metaforico) è sempre stato feroce, unendo tortura e morte. Non c'è religione pretesa rivelata, fornita di un Libro Sacro e di una Casta Sacerdotale, che non abbiadietro a sé una lunga scia di sangue e di sofferenza. E se oggi talune religioni e caste sacerdotali si dipingono di colori umani di clemenza, ciò lo si deve solo alla ferrea, lineare, tagliente critica della filosofia, per cui hanno dovuto adattarsi, piegarsi, accettare, ma il germe della intollerante violenza rimane in esse con marchio incancellabile.

Solo la filosofia libera la ragione e anche il sentimento, e li rende spontanei e sinceri. La fede in senso logico è il punto di partenza e di arrivo di quel lungo e difficile percorso che si chiama Ragione o Logica, in senso lato, comprendendo anche princìpi fondamentali dell'etica.

Vito Vignera da Catania ha detto...

Carissimo Prof Tummolo seguendo il suo saggio consiglio ogni tanto vado a sbirciare qualcosa sul grande Aristotele,gran maestro di vera e antica filosofia.E vero,se non c'è un punto di partenza non ci sarà mai un punto di arrivo.La fede è una delle ragioni della nostra breve vita,insieme ad una logica visione di ciò che ci circonda.Sono a dir poco estasiato nel leggere certi principi di filosofia.Su Aristotele guardi cosa ho trovato.
LA FILOSOFIA SECONDO ARISTOTELE
Aristotele concepisce la filosofia non tanto come un esercizio di sapienza, bensì un’attività scientifica articolata in un sistema di discipline distinte, e mirante ad abbracciare tutti gli aspetti della realtà. Essa non serve a trasformare il mondo, ma soltanto a comprenderne l’ordine e a giustificarlo così com’é. Il sapere è inteso come la conoscenza delle cause e i principi.
Al di sopra di ogni disciplina, allo stagirita va il merito di aver insegnato la logica, l’arte del ragionare in modo corretto per scoprire la verità delle cose. Prima di lui, quando non si riusciva ad interpretare un fenomeno naturale, si credeva che intervenisse una forza soprannaturale. Egli dimostrò che con il ragionamento si potevano spiegare i fenomeni dell’Universo. Molte sue geniali osservazioni non sono ora più accettabili, in virtù del fatto che egli vi giunse solo con l’aiuto della logica, senza mai sperimentare. Le teorie di Aristotele furono considerate le più autorevoli fino a quando gli strumenti della fisica moderna, come il telescopio, non rilevarono i complessi aspetti dell’Universo.
La concezione aristotelica dell’Universo è la seguente: una serie di sfere concentriche, al cui centro si trova la Terra. Al limite esterno si trova una sfera di dimensioni finite contenente le cosiddette stelle fisse. L’universo risulta quindi finito e circoscritto da una specie d’involucro materiale. Il Sole è considerato l’elemento che assicura il rapporto fra i moti astrali e la vita terrestre.
Gran parte della riflessione logica consiste nella descrizione delle forme proprie della lingua greca. Dietro di ciò agisce nel filosofo stagirita la consapevolezza dell’esistenza di uno stretto rapporto fra linguaggio e ordine della realtà.
L’intero campo del sapere è diviso in tre partizioni: le discipline poietiche, quelle pratiche e quelle teoriche. Le prime sono quelle il cui scopo sta nella produzione di oggetti materiali. Le seconde producono non oggetti, bensì comportamenti umani. Le terze infine, sono caratterizzate da finalità esclusivamente conoscitive.
Lo scopo della scienza aristotelica consiste nel penetrare più a fondo possibile nella struttura delle singole cose che popolano l’universo, che variano dagli astri, le specie biologiche, la psiche umana e i diversi regimi sociali.
Il filosofo stagirita è considerato il principale teorico della tragedia. Nell’antichità greca questo genere drammatico era definito come mimesi, in altre parole imitazione della natura e della vita. Aristotele attribuisce alla mimesi ulteriore e inconfondibili caratteri. Essa non è tanto imitazione della storia, ma del verisimile. Non si tratta di scrivere cose realmente accadute, bensì quelle che potrebbero accadere. Un altro elemento introdotto è la catarsi: la purificazione che la rappresentazione teatrale esercita nell’animo degli spettatori.
La natura invece è intesa come un insieme di realtà dotate di autonomia e di una capacità di generare processi finalizzati alla realizzazione di un’ordine.
Il Dio di Aristotele è il frutto di un’esigenza cosmologica, e non di un bisogno di salvezza. E’ la condizione assoluta della vita e del pensiero. Dio inoltre garantisce la stabilità e l’ordine del mondo.
Il filosofo stagirita attribuisce una sostanziale importanza anche alla psiche, alla quale dedica un’intera opera: l’Anima. Essa non è altro che una forma di un corpo vivente, la struttura funzionante di un organismo biologico. Corpo e anima stanno nello stesso rapporto di materia e forma, potenza e atto, organo e funzione.

L’

Vito Vignera da Catania ha detto...

Caro Prof ecco la seconda parte.
L’ARTE DELLA RETORICA
La retorica è considerata, per ciò che concerne il linguaggio, la più antica delle discipline.
Ancor oggi essa rappresenta la base essenziale per inoltrarsi nel complesso studio delle tecniche di persuasione. Nel trattato della Retorica, l’autore cerca di determinare e spiegare logicamente le leggi che stanno dietro i fenomeni, fornendo all’oratore svariati consigli pratici, come il deteminare negli ascoltatori, gli atteggiamenti e gli stati d’animo più favorevoli.
Anche se i primi retori furono Empedocle, Corace, e Tisia dalla Sicilia, Aristotele rappresenta sicuramente il più accreditato approfonditore e insegnate di retorica di tutti i tempi.
A tale proposito il filosofo stagirita nella Retorica, afferma che il discorso si compone di tre elementi: colui che parla, ciò di cui si parla e colui al quale si parla, in altre parole l’ascoltatore.
I discorsi inoltre vanno distinti in tre generi: deliberativo, giudiziario ed epidittico. Nel primo genere l’oratore consiglia ciò che è utile e sconsiglia ciò che è dannoso. Quello giudiziario consiste nel condurre i giudici nel decidere di difendere il giusto e accusare l’ingiusto. Il discorso epidittico o dimostrativo, infine, ha la funzione di lodare ciò che è bello e biasimare ciò che è brutto.
Sia nell’oratoria deliberativa che in quella giudiziaria, la confutazione dell’avversario, può essere attuata per mezzo dei sillogismi, lo studio dei quali è stato introdotto da Aristotele negli Analitici primi. Il sillogismo tipico è quello categorico, costituito da tre proposizioni di cui una (detta conclusione) segue logicamente dalle altre due (premesse). Il nesso sta nel fatto che le tre proposizioni hanno, a due a due, un termine in comune. Il sillogismo, che può essere interpretato come un vero e proprio calcolo logico, in cui la verità delle conclusioni dipende interamente dalla verità delle premesse, costituisce la principale innovazione di Aristotele nel campo della logica.
Anche la dialettica aristotelica è impostata da sillogismi. Essa però non è una scienza della dimostrazione, ma della discussione e della confutazione.

Manlio Tummolo ha detto...

Non ho capito, carissimo Signor Vignera, se riporta tutte queste affermazioni a mio favore, oppure a favore di qualche altro. Sulla retorica, o estetica del discorso, non si finirebbe più. Ne scrissi sulla rivista "Capriccio di Strauss" diversi articoli, che forse trova anche su Google.

Però la retorica poco ha a che vedere con il sentimento religioso, sebbene anche le prediche abbiano regole oratorie.

Si dice, e lo dicono anche autori recenti, che la retorica sia arte della persuasione: già, ma con due abili rètori opposti, chi si riesce a persuadere ? Più che arte della persuasione, io definisco la retorica arte estetica del discorso, della capacità di suscitare l'interesse dell'ascoltatore o del lettore, ma non ha nulla di veramente persuasivo.
Certo, un ottimo oratore, come predicatore, possono trascinare all'entusiasmo, o al dolore, allo sdegno, all'ira, al riso, gli ascoltatori (lo diceva già Gorgia, ancor prima di Aristotele, come di Platone o di Socrate), ma è un sentimento che dura poco: solo il ragionamento può portare ad una persuasione durevole su qualcosa, anche in termini religiosi.

Vito Vignera da Catania ha detto...

Carissimo Prof era solamente per farle sapere che cerco di apprendere determinati concetti di filosofia,visto che non li ho mai studiati e che sapevo poco o nulla su certe teorie filosofiche,nulla di più e nulla di meno,trovo interessanti i personaggi da lei citati,e a poco a poco cerco di apprendere qualcosa.Le ho inviato delle foto via e mail.Buona serata caro Prof.

Manlio Tummolo ha detto...

Le conviene allora, carissimo Signor Vignera, cominciare da qualche manuale di Liceo abbastanza semplice. Se posso consigliarLa, meglio le vecchie edizioni per gli Istituti Magistrali e Pedagogici che, occupandosi anche dei problemi educativi sono meno specializzati, ma forse più semplici e chiari. Oppure, leggere un qualche testo di introduzione generale alla Filosofia.

Volare direttamente ad Aristotele senza un certo transito preventivo può voler dire rischiare di rompersi la schiena. Comunque, lo studio filosofico, graduale come le medicine amare, è utilissimo per aiutarci a capire quanto le apparenze siano spesso all'opposto della realtà. Se i giuristi e i SS. Inquisitori l'avessero studiata con attenzione non avrebbero combinato i guai che stanno combinando.

Vito Vignera da Catania ha detto...

Grazie del suggerimento caro Prof che certamente seguirò.Per il resto del suo commento dico solamente:SANTE PAROLE LE SUE.Ha visto le mie foto?

Manlio Tummolo ha detto...

Le ho mandato già due risposte (la seconda non è partita per errore d'indirizzo, quindi le ho rispedite una seconda volta). Penso che stanotte non dormirò...

Vito Vignera da Catania ha detto...

Carissimo Prof Tummolo il suo umorismo non ha eguali,è troppo forte,un caloroso abbraccio e un cordiale saluto.