venerdì 27 settembre 2013

Quel fluido mortale: TV e web - fluidità, frammentazione e dispersione della coscienza nell’ipertesto narrativo -

Di Gilberto M.


In generale i detrattori e i critici della televisione (pubblica e privata) mettono l’accento sulle lacune nell’elemento dei contenuti, denunciano il carattere disinformativo e diseducativo di un servizio televisivo manipolato politicamente e influenzato da interessi occulti che fanno capo a lobby di potere. Una tv zeppa di pubblicità non è propriamente un servizio reso alla collettività (salvo l’escamotage della tassa di possesso dell’apparecchio). Molti paesi hanno abolito il canone e in altri si paga ma non esiste pubblicità commerciale. Si potrebbe suggerire, tanto per diversificare, una tassa di possesso sui frigoriferi e sulle lavastoviglie o, perché no, sull’aria che si respira (prima o poi ci si arriva) visto che si tratta di tasse ad personam, non relative al reddito... Il possesso di un apparecchio televisivo incideva, più o meno, mediamente allo stesso modo del possesso di un immobile prima casa non di lusso. Da adesso, con l’abolizione dell’Imu (e in attesa di capire meglio come sarà reindirizzata), la tassa non colpisce più l’abitazione di proprietà ma solo l’apparecchio televisivo in possesso delle famiglie italiane... Nessuna forza politica ha notato qualche incongruenza.

I contenuti tv sono in realtà assai poco significativi della reale influenza del mezzo televisivo sui processi che vanno a plasmare gli abiti mentali e i caratteri emozionali degli utenti. A un contenuto, e ai suoi artifici retorici, ci si può opporre anche quando si possiede soltanto la propria capacità intuitiva, il proprio fiuto istintivo in ragione delle proprie esperienze, anche quando non si dispone di sofisticati strumenti culturali. Conosco persone che non hanno studiato e che possiedono una notevole capacità di capire al volo gli stratagemmi di un’informazione truffaldina, dove altri più acculturati e titolati, al di fuori del loro orticello, si dimostrano piuttosto sprovveduti. Certo, si tratta per lo più di contenuti poveri, inclini all’evasione e al disimpegno, pieni di luoghi comuni e di retoriche, spesso orientati al pettegolezzo e alla maldicenza. D’altronde, ormai basta davvero poco a prendere per il naso l’italiota. Ma non è questo l’elemento che può incidere in profondità nell’immaginario collettivo e nei processi che plasmano la mentalità, il costume e soprattutto la capacità cognitiva dell’utenza. 

Decisamente più di rilievo, per non dire determinante, è la forma della comunicazione, dove per forma si intende non solo il contesto dei messaggi, non solamente le relazioni che essi intrattengono in una configurazione di rilevanza. E’ soprattutto la loro scomposizione e ricomposizione, quel processo di macellazione grazie al bisturi del montaggio che trasforma il continuum di un percorso unitario in uno spezzatino, quel blob nel quale è immerso l’utente quando si trova davanti al rettangolo del monitor... Perfino i più acculturati possono poco di fronte a processi formali iterativi, davanti a procedure seriali nelle quali sono gli imprinting e i condizionamenti a priori a dettare le regole. Nonostante una presunta capacità critica nei confronti del medium, la differenza di cultura appare oggettivante di scarsa rilevanza a fronte di una comunicazione che non riguarda il contenuto ma quella forma onnipresente e coinvolgente che aggira le difese consapevoli e supera gli sbarramenti emotivi dell’utente.

Non c’è davvero bisogno di scomodare la fantascienza con l’immagine di realtà virtuali impiantate negli engrammi neuronali, di sistemi di condizionamento, per rendere gli attori sociali simili a zombi ammaestrati secondo procedure di condizionamento operante skinneriano. Non serve nemmeno evocare protesi e corpi artificiali per ampliare le capacità di un utente trasformato in un avatar multitasking che digita sul telecomando o si serve direttamente di un sistema oculo-motorio. Per non parlare di quelle scie chimiche troppo episodiche nei cieli per far concorrenza ai quotidiani e pervasivi messaggi nell’etere. Neppure l’impianto di chip sottopelle o direttamente sul tronco encefalico non è detto che risulti più efficiente della tecnologia wireless o addirittura dei vecchi apparecchi obsoleti a tubo catodico... Quel blob appiccicoso non è neppure lontanamente assimilabile all’evoluzione dei social network o a qualche altra realtà virtuale... solo all’apparenza più intrusiva e pervasiva del vecchio e inossidabile canale nazional-popolare. No, il vecchio tubo catodico è concettualmente più dirompente (è proprio il caso di dirlo) di qualsiasi aggiornamento al plasma, delle tecnologie wireless, 3D, full immersion, virtual... più coinvolgente di una rete sociale, più intrigante di tutte le diavolerie on demand.

Più o meno a partire dai primi anni settanta, la tv comincia a diventare (in Italia) oltre a un mezzo informativo e di svago (forse perfino educativo) anche un prolungamento e una protesi. Il sistema non è però da confondere né con un hardware impiantato in qualche occorrenza o pertinenza dell’utente (magari solo in chiave domotica), e neppure con un software dedicato, un insieme di codici e di istruzioni in qualche linguaggio macchina aggiunto agli algoritmi naturalmente implementati nel sistema neuronale degli utenti, magari sotto forma di immagini o istruzioni subliminali. Niente di astrusamente tecnologico e neppure di segretamente truffaldino, tutto alla luce del sole. La fantascienza e la fantapolitica hanno accreditato scenari inutilmente complessi per dimostrare quella manipolazione e quel condizionamento che trasforma l’utente in una appendice del mezzo televisivo. La realtà è come al solito molto più semplice e in certo senso anche più complessa. A furia di continue innovazioni tecnologiche - un profluvio di elettronica e di offerte commerciali – si è finito per rimuovere l’autentico significato della rivoluzione del blob telematico. Molte analisi si soffermano a descrivere l’incidenza e gli effetti delle nuove tecnologie (soprattutto informatiche) sulle percezioni e le credenze dell’utente, sui contenuti e sulla manipolazione dei messaggi, sui processi di lavaggio al cervello grazie a slogan martellanti e decettivi. Poche hanno considerato il vero elemento trasgressivo di una comunicazione non lineare, una comunicazione che oggi diremmo ipertestuale. Come al solito le vere rivoluzioni non sono quelle tecnologiche, ma quelle concettuali; e qui uso il termine rivoluzione non in senso positivo.

L’ipertesto - un testo non lineare con rimandi interni ed esterni in un procedimento sempre più ramificato - rappresenta da un lato quella sovrabbondanza informativa che porta rapidamente a saturazione i canali sensoriali, e dall’altro crea una foresta di percorsi, un reticolo multifattoriale, nei quali si aggira l’utente Pollicino. L’ipertesto per sua natura non rappresenta tanto la complessità dello scibile umano quanto il labirinto nel quale il viaggiatore si smarrisce. Il primo modello ipertestuale risale a Raimondo Lullo, pensatore medioevale, con quell’arte combinatoria, ars magna e ars compendiosa inveniendi veritatem, come procedimento costruttivo e sintetico della ricerca scientifica, il metodo fecondo per rintracciare le innumerevoli connessioni celate in un sistema di simboli. L’arte combinatoria si serve di schemi, figure ed immagini, collegate in una sorta di logica meccanica, formata da concetti fondamentali, in modo da acquisire verità in ogni campo del sapere. L’arte della memoria, la mnemotecnica, è invece lo strumento per costruire un sapere e una enciclopedia universale. La macchina inferenziale costruita da Lullo è ancora uno strumento puramente mentale, senza il supporto di un elaboratore che trasferirà su una matrice materiale gli automatismi di quella mathesis universalis in via di formazione. 

Anche l’antico sillogismo aristotelico in qualche modo anticipava con l’uso di semplici lettere dell’alfabeto greco la possibilità di tradurre il ragionamento in un calcolo, quel calcolo che diventerà automatismo nella logica formale implementata nei sistemi ripetitivi. L’utopia lulliana verrà sviluppata da Bruno e soprattutto da Leibniz. La mnemotecnica costituisce invece quell’espediente che fa dell’immagine un supporto concettuale. Da Cicerone a Sant’Agostino, a san Tommaso, a Marsilio Ficino, a Pico della Mirandola, a Giordano Bruno... fino a Bergson; si tratta, semplificando, di una conversione dei concetti in immagini, sequenze e luoghi, in schedari mentali facili da ricordare e nei quali allocare le nozioni, una sorta di casa dalle mille stanze suddivise in vari ambiti e nella quale possiamo collocare e distribuire le memorie proprio come avviene in un computer con i file e le directory. Un hard disk ante litteram con gli stessi procedimenti in automatico, sia pure affidati a quelle memorie prodigiose alla Pico della Mirandola.

La televisione per prima ha tradotto concretamente quell’ars inveniendi veritatem in un procedimento multimediale. Gli inserti in una narrazione - sia un film, una commedia, un telegiornale, un programma di intrattenimento o uno spettacolo – rappresentano non solo i percorsi collaterali dei consigli per gli acquisti, ma anche un processo nel quale la coscienza interrompe un suo procedimento consapevole, una sua rappresentazione concettuale ed emotiva, per inabissarsi all’improvviso in uno scenario alieno e straniante. Lo stand by pubblicitario - sorta di limbo amorfo e inespressivo, un blob dove regna l’assoluta equivalenza attraverso la continua segmentazione - proietta la mente nella quotidianità, spezza la consequenzialità degli affetti e delle inferenze in una discontinuità, un vuoto dove all’improvviso si trova dispersa e smarrita. Mentre imperversa sullo schermo una scena d’amore – drammatica, commovente, dolente e profonda - di botto con uno stacco appare da tergo un lato b femminile per parlarci di un prodotto vaginale. Il cut to non lascia neppure il tempo di realizzare che il film è interrotto, la memoria registra prima ancora della consapevolezza che lo scenario è cambiato, che ci troviamo in un altro contesto narrativo: piatto, ripetitivo e inessenziale. 

Siamo d’improvviso catapultati nel provino di un film horror, viaggiamo a bordo di un’auto dalla console da astronave galattica, siamo sedotti da un pacchetto di tour operator. Non si tratta di un’azione una tantum alla quale opporsi occasionalmente, è un procedimento reiterato ormai all’infinito, la frammentazione sistematica e rituale di qualsiasi percorso narrativo, l’abitudine implementata nel pubblico a considerare tutto in una veste episodica, smembrata e segmentata. Non si tratta di quegli stacchi e quelle dissolvenze che nella narratio rappresentano l’elemento creativo interno alla storia, non si tratta di quell’ars inveniendi veritatem per la quale i collegamenti ipertestuali risultano sempre in funzione logica e metodologica di una ricerca cognitiva e/o di un percorso emotivo ed affettivo. Si tratta di un condizionamento attraverso la segmentazione sistematica del segnale, la scomposizione e la macellazione di un corpo unitario di una storia, l’isolamento degli affetti, dei ragionamenti, delle pulsioni dai loro referenti logici, emotivi e istintuali. L’utente subisce una costante e sistematica esposizione a processi di derealizzazione, un progressivo impoverimento della sua essenza unitaria e indivisibile, una costante espropriazione dei suoi pensieri e  delle sue fantasie.

Mentre si teme che immagini violente o nudità esplicite possano turbare le anime candide dei minori, la logica pubblicitaria e propagandistica trasforma il medium in un blob, un fluido mortale, che distrugge sistematicamente quei processi lineari che sono alla base di qualunque processo formativo ed educativo. Nessun rilievo del legislatore, del giurista, dell’educatore istituzionale, riguardo al carattere aberrante del blob, quella zuppa nella quale l’utente viene immerso ogni giorno in una perdita costante della sua identità di persona reale. La frustrazione e l’irritazione lasciano il posto all’abitudine e alla rassegnazione, un utente sempre più in balia di un montaggio arbitrario e di una scomposizione del messaggio in quei luoghi topologicamente distanti e incomunicanti del suo immaginario (i loci mnemotecnici di un rimando meramente consumistico). Perdita progressiva della capacità di sviluppare un discorso unitario, di costruire inferenze deduttive passando dal concreto all’astratto, di portare a termine un percorso conoscitivo ed emotivo. I ragionamenti divengono a corto respiro, sul modello di quel blob emulsionato, le emozioni non superano la barriera dell’inserto pubblicitario. Ad ogni interruzione il processo di identificazione con il proprio io riprende sempre più faticosamente fino al successivo salto in un frustrante e sterile tentativo di costruire un’immagine, la propria immagine, che non sia quella di una chimera, un ircocervo, la mostruosità che stiamo diventando per giustapposizione di elementi. 

Il valore ‘aggiunto’ non sta nei contenuti, ma nel loro assemblaggio. Per un bambino, nel quale i motori inferenziali si stanno formando, si tratta di qualcosa di ancora più profondo, sia cognitivamente che emotivamente, qualcosa che ha a che fare con quel doppio legame analizzato da Bateson.... si tratta di una violazione sistematica della sua esigenza di coerenza e continuità, di pertinenza e di linearità, di unitarietà e di direzione… nell’incoerenza tra il livello esplicito del discorso (il suo contenuto) e il livello metacomunicativo, la forma contestuale e (auto)referenziale, laddove il ricevente del messaggio non abbia la possibilità di influenzare i due livelli, che si contraddicono, e forse nemmeno di rilevare la loro incongruità. Altro che contenuti diseducativi e violenti! La violenza fatta a un minore davanti a un programma tv è quella continua frammentazione, un "io" diviso nel quale si rispecchia la lacerazione e intromissione nel suo universo interiore. Lo spot, o comunque l’interruzione ipertestuale,  frammenta (e deframmenta in modo arbitrario) il flusso di coscienza, costituisce un Black out emozionale, un improvvisa alterazione della continuità, consequenzialità e costanza dei processi mentali emotivi e cognitivi. In informatica si ottimizza l'archiviazione dei dati deframmentandoli, cioè allocando i file in modo contiguo dal punto di vista fisico per ridurre i tempi di accesso e lettura. Nel nostro caso la frammentazione e deframmentazione di un programma seguono le linee di un assemblaggio che non si limita ad accostare (come la vecchia pubblicità del Carosello in quanto spettacolo autonomo e compiuto), ma spezza il file, il dato unitario e conchiuso, lo assembla infinite volte fino a renderlo nient’altro che una zuppa, un minestrone dove l’identità di un’opera e la sua originalità vanno perduti in una narrazione deviante ed insulsa. Un pastrocchio nel quale le fisiologiche ellissi temporali (quelle interne alla narrazione e ai vissuti dello spettatore) sono sostituite con altre di riempimento che distruggono il continuum spazio-temporale non solo dell’opera, ma anche della coscienza del suo fruitore. 

A questa operazione ci si è ormai talmente abituati che non si avverte più nemmeno il disagio e la frustrazione a livello consapevole. Quello che può sembrare come una innocente divagazione - un suggerimento per gli acquisti o anche una aggiunta informativa, un semplice riferimento ipertestuale – rappresenta una alterazione esistenziale, un inserto arbitrario, una disconferma, un percorso tangenziale che d’improvviso crea un scenario che rende plausibile qualsiasi forma di ragionamento illogico e incoerente. Il cambiamento crea ansia, sconcerto, confusione, spaesamento (ricorda la sindrome di Stendhal, quell’affezione che provoca vertigini, allucinazioni e confusione nel viaggiatore che si trova al cospetto di monumenti e vestigia di altre epoche e che talvolta traduce il disagio in delirio psicotico e isteria facendo a pezzi l’opera d’arte...). L’attenzione riemerge come svuotata da quelle emozioni e da quei vissuti che il processo narrativo aveva inarcato in procedimenti mentali e inferenze logiche e nel quale le emozioni venivano tenute sotto controllo attraverso una forma narrativa omogenea e unitaria. La frammentazione di un programma, che a sua volta subisce altre frammentazioni in un processo iterativo e ideativo, conduce a una coscienza lacunosa nella quale non esiste più la focalizzazione in un punto caldo, un’identità nella quale rappresentarsi in forma riflessa e consapevole attraverso la fruizione. Esiste soltanto il regno dell’indifferenziato e dell’equivalente, delle emozioni intercambiabili, dei concetti sostituibili, delle inferenze automatiche, proprio come quel computer universale dove sono allocate le memorie, là dove un pannolino ha la stessa rilevanza di un omicidio, un dentifricio la stessa importanza di un colpo di stato, un prodotto di bellezza lo stesso rilievo di un reato di corruzione. Si tratta di una deframmentazione per contiguità e insignificanza.

La forma comunicativa che si è andata affermando soprattutto con la moltiplicazioni dei canali, ha costituito l’ulteriore affermarsi di un modello che all’apparenza sembrava proliferare le opportunità informative (la possibilità di scegliere tra molte opzioni, di contro a un porcellum informativo, per usare il linguaggio politichese). In realtà lo zapping è diventato proprio l’esecuzione di quel blob introiettato, il dispiegarsi di un’azione frammentaria e inconcludente sul modello del montaggio pubblicitario. L’utente progressivamente spezzettato riproduce operativamente i percorsi di una narrazione segmentata e irriflessa. Talvolta si fa promotore e sostenitore dell’inserto e della scomposizione, ne adotta il punto di vista come se la tortura alla quale viene sottoposto fosse stata interiorizzata e assimilata come modalità condivisa (una sindrome di Stoccolma in ambito mediatico). L’esposizione ai processi di smembramento del format educa un elettore incapace di sostenere un’attenzione cognitiva che vada oltre dei processi elementari a corto respiro, un osservatore intrappolato dentro parentesi, costretto negli spazi angusti di segmenti isolati, incapace di porre in relazione fatti e circostanze incapsulati in uno schema ipertestuale pedissequo e oppressivo. L’esperienza televisiva davvero educa l’utente alla pigrizia, allo pseudo sillogismo in forza di inferenze senza referente e senza oggetto se non dei meri ragionamenti tautologici e delle emozioni eterodirette.

Mentre nella tv la reazione alla signoria del mezzo è preclusa (salvo qualche espediente che illude lo spettatore isolato di avere voce in capitolo), nella navigazione sul web sembrerebbe che l’utente abbia finalmente in mano le redini della sua libertà. Può agevolmente aggirare i banner pubblicitari, tagliare, ritagliare e deframmentare come più gli conviene, seguendo l’estro di una navigazione a vista e di una creatività senza regole e senza padroni.

La regola internettiana è uno zapping all’ennesima potenza, la trasformazione del mezzo in un velivolo ipermediale interattivo. Il mondo è rappresentato sullo schermo (google earth) zoomando in e out fino ai confini del mondo conosciuto. Sembra davvero che sul monitor si dispieghi tutta la realtà presente là fuori con tutte le sue occorrenze nel microcosmo e nel macrocosmo. Disponendo di una webcam si può zoomare sugli oggetti della nostra scrivania, guardare il nostro volto nello specchio del monitor. Con qualche programma di simulazione si può effettuare un viaggio dentro il nostro corpo ed entrare nel mondo dell’infinitamente piccolo. Al contrario, possiamo avventurarci oltre l’orbe terracqueo e con il Rover Couriosity esplorare le desolate distese marziane, penetrare nelle profondità dello spazio interstellare, fino alle soglie dell’universo primordiale. La sensazione per l’internauta è quella del potere e della completa autonomia dal condizionamento fisico del medium. Capacità di traslarci, se non fisicamente almeno virtualmente, lungo il doppino telefonico fino ad un server e da lì moltiplicare e proliferare la nostra voce sotto forma di byte, kilobyte, gigabyte, terabyte… Magia digitale. Un universo regolato dai rapporti (diastemi), quegli intrecci di numeri celati nelle cose che consentono di trasferire conoscenza da persona a persona senza perdita di informazione. Si possono riprodurre le stesse note e accordi su diverse altezze, con un diverso timbro e diversi strumenti. Negli antichi pitagorici che avevano elevato il numero a logos ci fu una scoperta sconvolgente: nel quadrato e nel pentagono regolare non è possibile esprimere il rapporto tra lato e diagonale. Uno shock per il misticismo pitagorico. 

La leggenda racconta che il suo autore, tale Ippaso da Metaponto, venne punito dagli dei che lo fecero naufragare in mare per aver propalato quel terribile segreto. Era la scoperta dell’incommensurabilità (impossibilità di raffrontare due grandezze con una terza omogenea ad entrambe). La dottrina fondamentale del pitagorismo, “tutto è numero”, sembrò crollare. La difficoltà fu poi superata brillantemente grazie alla concezione finita dell’illimitato. Però nei pitagorici si affaccia un problema ancora più determinante per una concezione scientifica del mondo: i numeri derivano dalle cose (il mondo è scritto in caratteri matematici) oppure vengono imposte a queste dallo spirito umano? Che rapporto c’è tra il mondo delle forme ideali (gli enti della matematica) e il mondo reale? La mathesis universale pitagorica è alla base del mondo virtuale del web, ne è la sua trascrizione in termini fisici. Per questo la scuola pitagorica era una setta che doveva difendere le sue conoscenze (oggi in molti paesi il software - non il programma - viene ancora protetto e considerato proprietà intellettuale).

In una poesia di Robert Frost intitolata The road not taken (La strada non presa), si immagina un viaggiatore al limitare di un bosco in veste autunnale:

Two roads diverged in a yellow wood,/And sorry I could not travel both/And be one traveler, long I stood/And looked down one as far as I could/To where it bent in the undergrowth;

Due strade divergevano in un bosco autunnale,
e scusate Io non potevo percorrerle entrambe
essendo un solo viaggiatore, a lungo mi fermai
a guardare più lontano possibile
fin dove potevo scrutare nella boscaglia.

Un bivio, due strade, e non ci si faccia incantare dalla bellezza del paesaggio autunnale, bisogna scegliere. Quel bivio ricorda la logica binaria, gli zero e uno con i quali è costruito l’universo informatico, i bit (si/no; vero/falso; acceso/spento).

Then took the other, as just as fair,/And having perhaps the better claim,/Because it was grassy and wanted wear;/Though as for that the passing there/Had worn them really about the same,

Poi, presi l’altra, che era buona ugualmente
E aveva forse i titoli migliori
Perché era erbosa e più di richiamo;
Benché, in fondo, il transitare della gente
Le avesse segnate più o meno allo stesso modo,

La navigazione nel web sembra davvero illuderci di poter percorrere tutti i possibili sentieri, gli innumerevoli bivi di cui si compone la rete, attratti dalla bellezza e dalla varietà caleidoscopica di cui si compone la costruzione dell’intelletto umano, quell’edificio di innumerevoli stanze nel quale, un po’ come la biblioteca di Babele, di Borges (racconto fantastico apparso nella raccolta Il giardino dei sentieri che si biforcano), veniamo come irretiti in un fantasma di onnipotenza e continuiamo a muoverci ed affannarci in cerca del Libro che contiene la Verità.

And both that morning equally lay/In leaves no step had trodden black./Oh , I kept the first for another day:/Yet knowing how way leads on to way,/I doubted if I should ever come back .

Entrambe quella mattina erano coperte di
foglie senza il segno neppure di un’impronta.
Oh, quell’altra strada la lasciavo per un altro giorno!
Pure, sapevo bene che una strada porta a una strada,
Dubitavo se mai sarei tornato sui miei passi.

In realtà quel reticolo noi non possiamo percorrere senza dividerci e disperderci in mille rivoli e in mille strade. Seguiamo un percorso che è il nostro e solo il nostro, per quanto alle volte possiamo illuderci di poter tornare sui nostri passi e percorrere quella strada che non abbiamo preso. Non sappiamo cosa ci guida. Il caso? Il destino? Però sappiamo che il percorso che abbiamo scelto risponde a qualcosa che chiamiamo la nostra libertà. La rete comporta il rischio della dispersione della nostra coscienza. Navighiamo in un mare di informazione perdendo di vista la verità che ci guida, la stella polare che è in ciascuno di noi. Il percorso esistenziale (uno solo di quegli infiniti itinerari possibili) la successione di 0 e 1 della nostra personale esperienza. La nostra strada è forse più vera di tutto quel bosco autunnale dove i crocevia si succedono indefinitamente, più importante del reticolo infinito che sta sullo sfondo…

I shall be telling this with a sigh/Somewhere ages and ages hence:/Two roads diverged in a wood, and I/I took the one less traveled by,/And that has made all the difference.

Questa storia racconterò con un sospiro
Chissà dove tra molto tempo:
Due strade divergevano in un bosco, e io…..
Io presi la meno battuta,
E questo ha fatto tutta la differenza.

                               Robert Frost

La rete può illudere di possedere la conoscenza così come nelle parole di Borges: “m'inganneranno, forse, la vecchiaia e il timore, ma sospetto che la specie umana - l'unica - stia per estinguersi, e che la Biblioteca perdurerà: illuminata, solitaria, infinita, perfettamente immobile, armata di volumi preziosi, inutile, incorruttibile, segreta”. 

Ci sentiamo come Ulisse che varca i confini del mondo conosciuto. Anche l’utente internettiano, il moderno Odisseo, cerca l’avventura e la scoperta. Forse vogliamo soltanto tornare nella nostra dimora, nella nostra pagina personalizzata, il blog che amiamo tanto... semplicemente in quell’anfratto del nostro io dove ci sentiamo veramente a casa. - Gilberto M. -                                           


Altri articoli di Gilberto M.
Transumanesimo e social network
Il Blog, ovvero uno psicoanalista virtuale...
Lo scenario nazionale come caricatura e metafora del futuro globale
Retoriche del consenso: Pinocchio... Pinocchio...
Il finto oppositore
L'utopia tecnologica tra fiducia nel futuro e catastrofismo...
L'attualità nella Storia della Colonna Infame - del Manzoni. Il passato non ha tempo...
Siamo link e ipertesti che si aggirano in un labirinto senza uscita...
2013 - Quale futuro?
Cold Case. Morfologia dell'assassino
Effetto Cold Case – Al di là dell'evidenza... noi, trattati come cavie...

Caso Scazzi – Bugie o false memorie?
Sarah Scazzi. Guardando oltre il giardino (e se Michele Misseri soffrisse di PTSD)
Caso Scazzi... ovvero: la commedia degli equivoci
Caso Scazzi: un'ipotesi basata sui potenziali falsificatori
Caso Scazzi. La vita è sogno...
Caso Scazzi – Logica e suggestione – Il tacchino di Russell
Caso Scazzi. Il sistema paese affetto da sindrome post traumatica?
Caso Scazzi. Un esperimento mentale
Caso Scazzi – Dialogo Socratico e Sarchiapone
Caso Scazzi - Il gatto di Schrödinger ed altri paradossi...
Caso Scazzi - Chi ha ucciso Sarah?
Caso Scazzi - Un nuovo format: dissoluzione dello spazio scenico. Mnemotecnica e allestimento...

Home page volandocontrovento

18 commenti:

Tabula ha detto...

sai qual è il problema vero di quella tassa sul possesso di SCHERMI e di quel sistema televisivo?
è il non potersi dichiarare obiettori di coscienza.
sottrarsi, ideologicamente e sistematicamente, non è previsto, nè contemplato, nè possibile.
Non guardo mai la televisione, non ne usufruisco, non mi serve, e allora arriva la tassa sullo schermo, quando realmente sui contenuti del web ho facoltà di scegliere io stessa la non frammentazione, o la frammentazione, l'argomento, il sito, la nazione, il taglio, e la scelta di usufruire del servizio RAI online non è tra l'altro implicita, tantomento interessante.

E allo stesso tempo il computer è diventato obbligo, così come lo è la posta certificata o l'iscrizione telematica o il ricevimento di certe comunicazioni ufficiale.

Io dico, se rimaniamo nell'ambito delle scelte e delle possibilità, io potrei decidere ogni giorno ed ora di aprire la porta ed uscire, di non usufruire, di negarmi ufficialmente e perentoriamente.
Ed invece NON POSSO, poichè tutto questo non è contemplato, non si può.

Ma ti pare?

Però hai ragione, verrà il giorno nel quale avremo impiantato un chip, e sarà obbligo di legge impiantarselo per fare e disfare, comprare e vendere, e farsi monitorare e curare, con l'implicita minaccia di doversi affidare ad una potenzialità dolosa.
Per ora la sperimentazione è sui cani, ma il tutto ha un senso ed un obiettivo di controllo totale di noi popolo bue che non possiamo opporci, pena il diventare fuorilegge.

Anonimo ha detto...

@ Vito
Ti sei lamentato perché non ho commentato un tuo commento ad un mio articolo, ti proclami il mio scudiero e poi non ti degni neppure di scrivere due righe spontanee come commento a questo articolo. Non pretendo degli elogi, per carità, ma anche solo un pensierino. Che delusione come scudiero!! Mi sa che dovrò cercare un altro auriga...
Gilberto

carla ha detto...

caro Gilberto è un articolo molto profondo e penso che ognuno di noi abbiamo una nostra formazione di vita e ci si esprime come meglio che si crede, ma tante volte succede che non è a comprensione di tutti oppure si potrebbe capire in un secondo tempo, con varie peripezie, di quello che uno avrebbe voluto dire .....
però ritengo utile di rendere disponibile o contribuire le proprie conoscenze se lo si fa con lo spirito di aiuto altrui e penso che nullo viene perso....
per il resto condivido su quello che dice questo articolo ed è triste che ci sono persone che si lasciano fare il diniego del proprio io per seguire un idolo o più idoli e non si accorgono il vuoto che ci sta davanti a loro, oppure che non saranno questi idoli che li salva dalla loro esistenza......un cordiale saluto e buona domenica

Anonimo ha detto...

Grazie Carla
Gilberto

Anonimo ha detto...

io non ho capito niente.

Anonimo ha detto...

Sì, anonimo delle 15:44:00
Hai ragione, forse per farmi capire avrei dovuto usare il linguaggio televisivo. Lo dico senza polemizzare e riconoscendo la tua sincerità. Il guaio è che si legge sempre meno e non si è più abituati a un linguaggio concettuale. E' la conferma di come il mezzo televisivo ha distrutto molte competenze linguistiche dell'audience.
Gilberto

vito vignera da Catania ha detto...

Carissimo Gilberto buona notte.Scusami per il ritardo,sono tornato da poco da un bel giro turistico in Sicilia.Uomo di poca fede,come puoi pensare certe cose sul tuo fedele scudiero? Io che sono la tua piccola stampella di sostegno,io che per capire i tuoi articoli ho bisogno di interpellare il"sistema Eliza" per capire i tuoi concetti ed elaborare le relative risposte,altrimenti subirò le tue critiche,e che a dire il vero sono come uno stimolo per le mie misere risorse conoscitive.Non ti nascondo che sono attratto da quel tubo catodico che è la televisione,vedo di tutto,film,sport,programmi di intrattenimento,quiz e quant'altro viene trasmesso.Amo la televisione,in questo caso Eliza potrebbe rispondermi:tua moglie lo sa che hai l'amante? tutti abbiamo subito il bombardamento pubblicitario negli ultimi decenni,la pubblicità è l'anima del commercio si usa dire.Siamo come dei pazienti seduti ognuno nel proprio salotto di casa e aspettiamo non il medico,ma,cosa trasmetterà la televisione a breve,come se da quel tubo dovesse uscire la medicina per poterci rilassare,come un calmante per alleviare quei sintomi di una giornata stressante di ore e ore sul posto di lavoro,del traffico cittadino e del contatto avuto con tanta gente,ognuno con i più disparati problemi personali e non.Ma,è veramente tutto questo la televisione? beh,a volte rilassa,a volte ti stressa ancora di più,e allora facciamo zapping alla ricerca di quel canale che soddisfi le nostre esigenze.Quel fluido mortale come dici tu che ci attrae,ci magnetizza,come il"a me gli occhi please",il grande Mike Bongiorno con i suoi quiz,Enzo Tortora,Costanzo con il suo salotto in cui ogni sera intervenivano personaggi famosi e non,il buon Bruno Vespa con Porta a Porta in cui si parla di politica,cronaca,fatti della giornata,insomma una televisione che informa,e a volte disinforma.Il web ti porta a circumnavigare intorno alla terra,trovi di tutto e anche di più,puoi esplorare alla ricerca di qualsiasi cosa tu vuoi sapere,arte,letteratura,musica,commedie,cinema,o come in questo caso il blog in cui sto scrivendo.Televisione e web,fanno ormai parte del nostro sapere quotidiano,di quel tenerci informati su tutto ciò che accade nel mondo,tutti e due ci attraggono come una calamita,e di cui difficilmente possiamo distaccarci.Le controindicazioni ci sono,che forse fanno male tutti e due,basta non esagerare.Ciao caro amico e buona notte. PS,se mi dici che non ti è piaciuto come commento,la mia ira si abbatterà su di te,con conseguenze catastrofiche,ti condurrò in Tibet a fare l'eremita,li potrai meditare e rilassarti,niente televisione e niente computer.Ciao furbacchione quasi tibetano.

Anonimo ha detto...

Caro Vito
Mi sa che l'anonimo ha proprio ragione. Il mio articolo è incomprensibile per quelli che come te sono immersi nel blob televisivo, quella marmellata che intrappola il cervello. Sto scherzando naturalmente, ma forse l'articolo andrebbe davvero riscritto con un altro spirito: usare lo stesso linguaggio dei media per metterne a nudo gli inganni. A proposito... alla mia ex moglie non deve interessare se eventualmente ho l'amante dal momento che sono regolarmente divorziato. Se proprio devo fare l’eremita preferisco fare lo stilita (mi piace guardare il cielo), sempre che qualcuno (…) mi porti giornalmente il companatico. Vedi un po’ se nella tua bella Sicilia c’è magari una colonna che faccia alle bisogna.
Gilberto

vito vignera da Catania ha detto...

Buon giorno caro Gilberto. Lo so che ho usato il linguaggio dei media,però è questa la televisione,programmi per attirare più utenti possibili,guai se non fosse così,potrebbero chiudere i battenti e andare a zappare un bel orticello. Se la televisione usasse il tuo stesso linguaggio,sarebbe una televisione per pochi intimi,e di questo ne devi dare atto.Se un politico va in una pubblica piazza a fare un comizio e userebbe le tue stesse parole,dopo pochi minuti resterebbero lui e i suoi stretti collaboratori,ovvero una decina di persone.Non puoi vedere le cose solo dal tuo punto di vista,ma, devi capire cosa la gente vuole,cosa piace sentirsi dire,promesse,un po di verità,oppure di false promesse e che mai potrà mantenere.Non puoi usare quei termini che a te piacciono tanto,non sei circondato da gente con tre lauree o intelligenza fuori dal normale,ti devi attenere ad un linguaggio comprensivo per tutti,di facile interpretazione cognitiva.A te piace guardare le stelle,beh,prova ad abbassare lo sguardo ogni tanto,altrimenti rischi di inciampare e fare cadute rovinose.Pensa a quanta gente sta a casa con problemi di salute,oppure a fare i servizi domestici,e poi dopo un po si siede per rilassarsi,cosa credi che voglia ascoltare? di certo non il Prof Zichichi o il premio nobel Dario Fo.Una bella colonna c'è in Sicilia,anzi più di una,e sono i templi di Agrigento,li di notte potrai ammirare Cassiopea,la costellazione di Orione,il piccolo e grande carro e tante altre stelle caro il mio furbacchione dal linguaggio super culturale e super tecnologico .Buona giornata carissimo Gil.

Anonimo ha detto...

@vito
Cosa dici di Selinunte? Qualche colonna deve essere ancora in piedi. O magari il bel tempio di Segesta? Ho visitato la valle dei templi di Agrigento, una grande emozione... Però ho amato di più Pantelleria con lo specchio di Venere che oggettivamente è più evocativo... Credo che mi ritirerò in un eremo sulla Montagna grande in (quasi) solitudine (magari meglio un'ancella di uno scudiero).
Gil.

Chiara ha detto...

Vito e Gilberto, mi sono piaciute immensamente le vostre riflessioni (quelle più accademiche e quelle più umane in pari grado) e voi insieme siete adorabili! Dio vi conservi sempre così, carissimi, siete un balsamo per l'internauta, Signori fatti e finiti, un esempio da seguire!

Di fronte a voi confesso un peccato capitale: non ho mai visitato la Sicilia (lo so, lo so...come si fa?!)...ma mi state facendo venire un'acquolina tale che m'impegno a rimediare entro un anno al massimo!

Giacomo ha detto...

Gilberto.

Ho letto il tuo articolo, cercando e penso riuscendo di coglierne l'essenza. La televisione è bugiarda e racconta la realtà che vuole, stravolgendo la realtà vera. E non solo la tv, anche i giornali, soprattutto nei titoli. Mi sembra che esiste un apposita mansione che è quella del "titolista", il quale non deve rendere conto all'autore dell'articolo.
Puntualmente tante volte chi va oltre il titolo, si avvede che nell'articolo si dicono cose completamente diverse dai concetti "sparati" nel titolo.
Naturalmente, i concetti da te illustrati li applico anche al modo in cui i media hanno trattato il caso di Avetrana, dove essi trovano puntuale ed esemplare riscontro.

Un saluto a te, a Vito e a tutti gli amici del blog.

Giacomo

Vito Vignera da Catania ha detto...

Caro Gilberto a parte gli scherzi sui miei commenti precedenti,ho riletto di nuovo il tuo articolo con più attenzione,anche se, non è facile comprenderne tutto il contenuto,essendo molto lungo arrivo alla fine e ho già dimenticato cosa avevo letto prima,devi farli più brevi i tuoi articoli.Tutta la programmazione televisiva ha un suo scopo per accaparrarsi più utenza possibile,tutto suddiviso per fascia oraria,mattina mezzogiorno,sera e notte,in queste fasce viene inserita la pubblicità,diversa o quasi in base agli orari e agli indici di ascolto per quel determinato programma e della suddetta fascia oraria.Non siamo dei Pico della Mirandola in grado di memorizzare tutto,non credo che il nostro cervello sia in grado di elaborarne i contenuti e spostarli come file di un computer e metterli ognuno nel proprio posto,ancora non abbiamo questa suddivisione del cervello in diverse porzioni,per cui frammentando il tutto rimetti le cose al proprio posto,non abbiamo un hard disk incorporato in grado di selezionarne i contenuti e poi poterli trovare con più facilità.Per ora mi fermo qui,in seguito cercherò di apprendere altro materiale.Vediamo se ora ho capito più o meno il tuo concetto,(per quel poco che sono riuscito ad assemblare)ciao caro Gilberto e buon pranzo.

Vito Vignera da Catania ha detto...

Carissima Chiara grazie degli apprezzamenti,anche un po humor e di ironia non guastano,una bella gita in
Sicilia di certo non ti farebbe male.Ciao cara e un affettuoso saluto all'amico Giacomo.

Anonimo ha detto...

@ Chiara e Vito (se non conosce Pantelleria)
Ho visitato la Sicilia (quasi tutta), ma ero un affezionato di Pantelleria. Un'isola bellissima, unica. Ci andavo quasi tutti gli anni affittando un piccolo dammuso (la tipica abitazione pantesca). E' da un po' di anni che non ci vado e spero solo che l'isola sia ancora come l'ultima volta che l'ho vista: una perla nel mediterraneo con il piccolo lago vulcanico (denominato Lo specchio di Venere) che sembra ripetere la forma dell’isola (amavo attraversarlo a nuoto più volte in certe mattine presto quando ero solo io a infrangerne la superficie liscia ed immobile come un cristallo); e la Montagna grande verdissima di pini marittimi con la grotta dove si può fare una sauna naturale. Coste frastagliate di roccia nera vulcanica e fondali oscuri, un’isola selvaggia, dai profumi intensi del timo e del rosmarino, della lavanda, dell’origano e della mentuccia. Una macchia mediterranea rigogliosa con la ginestra e il corbezzolo, il pino marittimo , la vite e l’ulivo e soprattutto il cappero che entra in ogni pietanza pantesca (con ingredienti più rivolti alla terra che al mare). Gli agrumi, abbastanza rari, sono coltivati in grandi pozzi di pietra lavica al riparo dal vento. E’ un’isola che ti affascina per quel sentore di un tempo sospeso, una fata morgana, come se tu fossi già stato lì... Pantelleria è davvero magica, la magia del vento e delle forme surreali della lava vulcanica, l’incanto degli odori e dei sapori che risvegliano la memoria di un’altra vita. Da Milano e Bergamo d’estate c'è il volo diretto, ma forse anche da qualche città del Veneto.
Gilberto

vito vignera da Catania ha detto...

Carissima Chiara insisti con gli apprezzamenti,e che grazie ai miei interventi l'articolo di Gilberto ha subito un impennata negli indici di lettura,tra un po avrà richieste anche dall'estero il mio caro amico furbacchione e buon turista nell'isola delle meraviglie.PS la battuta di furbacchione tibetano come l'hai trovata? almeno io cerco di farti sorridere,dopo aver letto un articolo strappa lacrime.Scherzo cari amici e buon pomeriggio a tutti.

magica ha detto...

ciao vituccio -
la tua isola l'ho visitata abbastanza bene . a siracusa ho trovato il mio ideale di citta' siciliana ..calda, emozionante . bella , magica, ciao.

vito vignera da Catania ha detto...

Carissima Magica provo un immenso piacere nel sapere che sei stata bene in Sicilia.Ogni città ha un suo fascino,teatri antichi,i templi,chiese medievali,lo stile barocco lo trovi in tanti posti,l'orecchio di Dionisio,i tanti porti turistici con un mare meraviglioso.Non manca niente in Sicilia,le belle arance siciliane,gli agrumi,le olive,e piante di ogni genere.Hai letto il commento di Gilberto su Pantelleria? stupenda descrizione dell'isola,un inno alla cultura e al suo splendido mare,se fossi il sindaco lo nominerei subito assessore ai beni culturali e all'incremento turistico dell'isola.Grazie ai vostri apprezzamenti mi sento ancor di più di essere un buon siciliano,sono orgoglioso di questa terra,grazie cari amici,vi aspetto sempre per altre visite turistiche.Buona serata a tutti.