giovedì 24 ottobre 2013

Ho fatto un sogno: il re era nudo e il mondo diverso

Di Gilberto M.



Ho fatto un sogno. Non quel sogno che a qualcuno piace immaginare, non quella visione sull’onda dei desideri e forse miraggi del disimpegno e del dolce far niente. Ho sognato l’inferno… e il paradiso. L’inferno non era quel luogo lugubre dove il poeta ascolta inorridito sospiri, pianti e alti guai per l’aere senza stelle. L’inferno era più simile al pascoliano atomo opaco del male: non quel bel pianeta azzurro coi colori del cielo e del mare. L’opacità di cui parla Giovanni Pascoli, poeta dell’indeterminatezza, è qualcosa non di fisico, ma di metafisico. Un oscuro presentimento che si allunga come un’ombra sul pianeta.

E il paradiso? La stessa visione dell’orbe terracqueo con i suoi colori e le sue forme, quella sfera di luce attorniata da oceani di nuvole candide che incombono tra verdi smeraldo. Il paradiso e l’inferno nella stessa visione, double face come se il luogo del peccato fosse anche quello della redenzione. Quale peccato? E quale redenzione?

Da due secoli lo sviluppo industriale e tecnologico imperversa e trasforma il pianeta in un’immensa discarica. La teoria del progresso sta portando l’umanità sulle soglie del collasso. Eppure la scienza sembrava promettere un futuro di delizie. Molte utopie tecnologiche parlavano di un uomo liberato dal bisogno, dalla malattia e dal dolore.

La nostra specie sta modificando il clima della Terra”, questa frase lapidaria ha annunciato la presentazione a Stoccolma del V Assessment Report (AR5) dell'Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) aggiornando i risultati scientifici sul cambiamento climatico. Quello che appare dopo due secoli intensivi di uno sviluppo scientifico-industriale senza precedenti, è l’aumento di concentrazione dei gas serra, il riscaldamento di oceano e atmosfera, lo spettro dello scioglimento delle calotte polari, l’innalzamento degli oceani e l’acidificazione delle acque, la possibile estinzione in massa delle specie marine, l’innalzamento dei mari che distruggerà gran parte dei litorali con miliardi di persone in fuga in uno scenario apocalittico: oltre alla scomparsa dei polmoni verdi del pianeta e delle foreste equatoriali, tesoro della biodiversità. Acidificazione, riscaldamento e deossigenazione. Fino a pochi anni fa sembrava uno scenario da catastrofisti, complottisti, pessimisti, apocalittici, ‘disastrofisti’… 

Le ultime rilevazioni (ma per qualcuno che già fiutava a naso i cambiamenti non ce n’era bisogno) dicono che il collasso del sistema può arrivare alla metà di questo secolo, forse prima. In realtà la scienza quando si occupa di previsioni globali solitamente è in grado di anticipare di poco una catastrofe, un po’ come i terremoti (che solitamente sono gli animali a prevedere per primi). La situazione è grave ma non seria. No, non è seria, è comica. Si canta e si balla sul Titanic mentre la nave affonda.

Si cercano i responsabili nelle lobby, nei gruppi di potere, in un capitalismo selvaggio. Ma a ben vedere tutto viene da molto lontano. A qualcuno piace ricordare la Genesi col peccato originale. L’uomo che vuol essere come Dio: Delirio di onnipotenza? Qual è il male oscuro dell’uomo? Nelle parole di Pascal, l’uomo è “un paradosso”, un “incomprensibile enigma”. “Se si vanta, l'abbasso; se s'abbassa, lo vanto; lo contraddico sempre fino a che comprenda che è un mostro incomprensibile.”

Sul perché del male ci sono varie teorie: economiche, sociali, metafisiche, religiose, antropologiche... però di fatto sembra che nessuna riesca a rilevare l’essenza del problema in un rimando costante le une alle altre, come se le stesse teorizzazioni contenessero quell’oscura contraddizione che è nell’uomo, perché: “magnum miraculun est homo”; un miracolo dove bene e male sono così profondamente intrecciati da risultare indiscernibili. Spesso non siamo neppure in grado di sceverare cosa è bene e cosa è male, li confondiamo, incapaci di capire che quello che nominiamo come un bene è nient’altro che il suo opposto, e allo stesso modo non vediamo che il male è parte delle nostre azioni e delle nostre teorie che crediamo buone, dettate da lodevoli intenzioni. Socrate diceva che si pecca solo per ignoranza. Ma l’ignoranza è anche frutto di tracotanza e di superbia, di quella presunzione di sapienza che ci fa essere poco saggi e poco inclini al bene. Hegel parlava dell’uomo come un animale malato, e vedeva nella coscienza infelice il segno della scissione che è nell’uomo, la lacerazione e  i conflitti che ne caratterizzano la storia.

Quale malattia fa dell’uomo quel mostro che strappa il cuore di un altro uomo (che ancora palpita nel petto) per farne un organo da trapiantare? Ci sono molti pazienti che aspettano un donatore, ci vien detto. Forse che la morte non è un fatto naturale? Per migliaia di anni nessuno ha avuto bisogno dei visceri di un altro uomo. Prolungare la vita? È il dominio della quantità non della qualità. Vogliamo applicare i metodi quantitativi anche alla vita. Ma una vita lunga non significa una vita felice. Il tempo dell’orologio non è il tempo vissuto, quello interiore che viviamo veramente. Possiamo vivere più di cent’anni, magari viaggiando gran parte della nostra vita come pendolari su un treno per recarci al nostro posto di lavoro, guardando dal finestrino immersi nell’apatia della routine (una vita lunga e ripetitiva). Possiamo vivere una vita che le lancette dell’orologio indicano come lunga ma vuota di soddisfazioni e di certezze. Il tempo vero è quello interiore, quello che brucia nella nostra anima, quello che rende la vita degna di essere vissuta perché qualitativamente piena, intensa e ricca di emozioni. 

Invece scandiamo il tempo come semplici appendici delle macchine che abbiamo costruito: gli orologi. Nella società industriale non sono più i ritmi circadiani a scandire il nostro tempo, l’operaio si adegua ai ritmi di una macchina come Charlot nel film Tempi moderni, l’impiegato timbra il cartellino, la lezione termina al suono della campanella, perfino le interruzioni pubblicitarie in un film alla televisione dissolvono il tempo interiore della storia in cui ci stavamo smarrendo come fossimo noi i protagonisti, infrangendo la magia della finzione. Attorno a noi tutto è scandito dall’orologio, da quell’astratto tempo fisico misurato dalla sabbia nella clessidra, dallo spazio della lancetta, dalle oscillazioni di un cristallo di quarzo, da quegli orologi atomici basati sugli effetti di risonanza di un atomo che misurano discrepanze temporali così sottili da poter cogliere perfino gli effetti relativistici.

Neppure lo spazio è quello che sperimentiamo veramente nella nostra interiorità. Un conto è lo spazio infinito, costante ed omogeneo (in una parola matematico, astratto e costruito) e un conto lo spazio psicofisiologico, vissuto, anisotropo e non omogeneo. Il turista di massa visita i luoghi come fossero musei, spazi definiti secondo uno schema puramente geometrico. Lo spazio vero è quello che sperimentiamo in relazione alle nostre emozioni, quello che si dilata o si restringe non in rapporto alle distanze ma in rapporto al nostro sentire: vicinanza e lontananza sono solo astrazioni.

Abbiamo smarrito il senno, la misura, il buon senso. È un’umanità sempre più infelice e insoddisfatta. Da una recente ricerca su un gruppo di studenti universitari, si scopre che tanto più si usa Facebook tanto più si prova un sentimento di infelicità. I rapporti sociali si inaridiscono in ragione di una interazione on-line sempre più stereotipata e con un calo dell’umore e di soddisfazione per la propria vita. L’età del progresso ha costruito megalopoli con periferie anonime, alienate e violente. Città sempre più labirintiche dove l’umanità si ammassa sempre più stretta e sempre più sola.

Si rapiscono e si uccidono bambini per estrarre dai loro organi sostanze utili per l’industria cosmetica, per usarli come materiale di sostituzione. Si seviziano animali nel laboratori sperimentali, si usano gli stessi uomini come cavie sperimentali. Si acquistato reni nei paesi del terzo mondo da disperati disposti a tutto per sopravvivere. Si fa turismo sessuale con minori acquistati come oggetti. Magnum miraculum est homo. Il concetto di disumanizzazione non so fino a che punto sia corretto. Se l’essenza dell’uomo è anche il male non si può parlare di disumanizzazione. Il transumanesimo non sarebbe altro che l’espressione di quell’essenza malata che è nell’uomo. La psicoanalisi parla di perversione. Nel Disagio della civiltà Freud interpreta la progressiva repressione degli istinti, la repressione della libido da parte della società, come foriera di un ritorno del rimosso sotto forma di una autodistruzione (l’uomo volge verso se stesso i suoi istinti aggressivi). La religione è vista come una ‘nevrosi ossessiva’ di massa che scaturisce dal senso di colpa per l’uccisione del padre primordiale.

Eppure in tutte le teorizzazioni sull’uomo sembra che la cultura invece di mettere a nudo e sviscerare contribuisca ad occultare il problema del male. Si cerca di identificarne l’origine vuoi nel sistema e nell’organizzazione sociale e vuoi ontologicamente nello statuto antropologico dell’homo sapiens, l’essere proteiforme e camaleontico che interpreta tutta la gamma delle creature da quelle angeliche a quelle infernali. Si indaga l’inconscio collettivo, la storia, la cultura, perfino si seziona il cervello per cercare l’arcano dell’anima, la nascosta organizzazione per scoprire il segreto della coscienza.

Dell’uomo qualcosa sfugge sempre, come se un mistero fosse all’origine di tutto quello che chiamiamo esistenza. Perché si vive? Né la biologia, né la chimica e né la fisica ci hanno dato una risposta. Si tenta di ridurre l’uomo alla macchina biologica del suo cervello, automi senz’anima... Il progetto che parte dalla rivoluzione scientifica galileiano-newtoniana è quello, più o meno consapevolmente, più o meno nascostamente, di ridurre tutto a un programma meccanicistico che trova la sua massima espressione nella ricerca sul Dna. L’uomo può essere smontato nei suoi componenti biologici e come nelle costruzioni della Lego può essere ricombinato. Forse in qualche laboratorio si stanno abusivamente costruendo delle chimere umane, i transumani delle nuove generazioni.

La mappatura del genoma umano è la premessa sia del suo brevetto che della sua trasformazione in una banca dati, la replicazione dell’uomo in un database, null’altro che un insieme proteico, una categorizzazione di codici, un insieme organico di aminoacidi, un arazzo di triplette. Trasformati come negli abitanti di Flatandia (il romanzo a due dimensioni di Abbott Abbott) in fogli senza spessore sui quali è impressa la forma dei sentimenti, null’altro che uno schema di numeri e di strutture pianificate. Fogli sui quali si può riscrivere come su un palinsesto, modificando un po’ qua e un po’ là. Gli scienziati sfornano ricette come cuochi che aggiungono o tolgono qualche ingrediente dal genoma. La potenza della tecnologia ha potenziato e moltiplicato il male che alberga nell’uomo, lo ha reso una macchina infernale e diabolica, quell’utopia tecnologica che non è altro che quel mondo oppressivo e totalizzante del 1984 orwelliano, ma ancora più potente perché ormai definitivamente interiorizzato. Ormai amiamo lo strumento di tortura che è stato installato direttamente nella nostra anima. La macchina kafkiana del racconto: "Nella colonia penale", un pantografo munito di aghi che incide direttamente sulla pelle del condannato la sua colpa, sempre più in profondità… è ormai dentro di noi, quel marchingegno lo amiamo alla follia...

Quale sogno dunque si può ancora fare se l’utopia inseguita nel millenarismo risulta soltanto un incubo? Quale desiderio si può ancora accarezzare se tutti i governi mostrano il volto della menzogna, se qualunque progetto del futuro ha il marchio dell’infamia e degli interessi egoistici: il potere? Possiamo ancora sognare il futuro se il paradiso è soltanto una fosca e infernale utopia, quel non-luogo che cristallizza lo slancio creativo: la nuova Atlantide, la Parusia, la futura società senza classi, il transumanesimo… che mostrano il loro lato infernale? Perfino la tecnologia che avrebbe dovuto liberare l’uomo dal dolore e dal bisogno, la stessa scienza che dovrebbe avvicinare l’uomo a Dio, è soltanto il regno al servizio del potere e della prevaricazione. Che altro si può ancora sognare che non sia il déjà vu di utopie logore e disperate, che non rappresenti la disillusione che ci colga al risveglio da un sogno illusorio? Possiamo ancora sognare come facevamo un tempo quando tutto ci parlava di una terra promessa, quel sole nascente su un’isola lussureggiante e felice?

L’organizzazione sociale che ci siamo dati sembra più simile all’inferno dantesco che all’utopia di Tommaso Moro, il non luogo in quanto bello e irraggiungibile, l’isola felice descritta nel Libellus vere aureus, nec minus salutaris quam festivus de optimo rei publicae statu, deque nova insula Utopia. Nella quale si immagina che Raffaele Itlodeo, marinaio e filosofo, compia un viaggio immaginario in una fittizia isola-regno, abitata da una società ideale (che ricorda la Repubblica di Platone). Il nome Itloideo (raccontatore di bugie) ci mette sull’avviso che si tratta di una società irrealizzabile, ma che vuole essere una critica del suo tempo mostrando la discrepanza tra l’ideale (sia pure irrealizzabile) e il fattuale: l'Inghilterra del XV secolo della quale elenca le contraddizioni sociali ed economiche (il famoso aneddoto delle pecore che brucano nelle praterie che i grandi feudatari, in seguito allo sviluppo dell’industria laniera, hanno trasformato in pascoli dove invece potrebbero lavorare i contadini cacciati dalla terra, costretti alla fame e alla delinquenza espresso nell’aforisma le pecore mangiano gli uomini).

Il ventunesimo secolo che solo qualche decina di anni fa sembrava alludere a grandi prospettive - salvo quella fantascienza davvero preveggente che mostrava i risvolti lugubri e inquietanti dello sviluppo scientifico e tecnologico - risulta invece aprirsi all’insegna di un futuro chiuso, incerto e problematico. Si spera che la tecnologia, con un miracolo, possa risolvere tutti i problemi che da sempre affliggono il popolo degli umani. La scienza più che risolvere i problemi sembra sommarne altri a tutti quelli che fanno parte del bagaglio della storia umana, ne aggiunge di nuovi con l’aggravante che non sembra per niente consapevole dei suoi limiti e delle sue aporie. Allora dov’è il paradiso? A parlare dell’Eden si rischia davvero di cadere nella retorica o di evocare qualche stato psichico da sostanze allucinogene, o semplicemente di rimandare a un al di là che rappresenta la città celeste, comunque fuori da questo mondo che vorremmo fosse la casa dei nostri figli, un mondo da lasciar loro in eredità, possibilmente che sia ancora vivibile. Le uscite dal mondo sono per sciamani, visionari o dopati. I sogni che rimandano a un paradiso di delizie - o a quella terra promessa in cui l’uomo possa finalmente trovare pace e ristoro dalle fatiche della sua storia - sembrano davvero soltanto quelle utopie che si ribaltano in una prospettiva cieca e infernale, il futuro prossimo venturo con tutta la sua carica apocalittica.

Si potrebbe immaginare allora un’utopia regressiva, vagheggiare un ritorno alla vita agreste, un’umanità che compie una sorta di cammino evolutivo inverso, che ritorna alle origini di quel paradiso immaginario quando gli uomini vivevano in perfetta armonia. Ma di fatto perfino la Storia, quella che leggiamo nei manuali, è probabilmente solo un cumulo di falsità o, semplicemente, di fantasie. Ormai certe leggi stanno per proclamare la verità storica per decreto e non più seguendo l’indagine razionale. Come ebbe a dire uno storico, in un aforisma dissacrante, noi immaginiamo il passato e ricordiamo il futuro. La realtà del passato probabilmente non sta scritta sui libri di storia; lì, nei manuali, troviamo solo una iper-semplificazione o addirittura soltanto l’immagine che il presente vuole tramandare ai posteri, quella ricostruzione di maniera che conferma i valori e... e gli interessi di cui è portatrice la nostra epoca e di chi detiene il potere: chissà se esiste veramente quello che chiamiamo "un passato oggettivo". Perfino la storia naturale potrebbe essere solo una finzione per dare al presente la sua giustificazione.


L’esistenza di una freccia del tempo sembra essere una garanzia della vita e dell’universo fisico nel quale viviamo (lo scorrere del tempo in un’unica direzione, dal passato al futuro: ricordiamo il passato e non il futuro, la causa precede sempre l’effetto, come processi irreversibili, anche se nelle leggi fondamentali della fisica non esiste la freccia del tempo: la conoscenza delle condizioni iniziali di un sistema fisico, consente in linea di principio, di conoscere l’evoluzione del sistema.)



Ma allora? Riguardo al futuro che ci aspetta? È possibile immaginare uno scenario che non sia quell’infernale macchina del presente dove l’umanità sembra alle prese con i soliti vecchi problemi moltiplicati per quasi otto miliardi di abitanti del pianeta? Il guaio è che si sogna sempre con i vecchi schemi mentali. Più si cerca di dar voce a un futuro migliore e più si usano le solite categorie che ci tengono legati a un eterno presente. Non basta proiettarsi in un futuro immaginandolo diverso. Si continuano ad utilizzare strutture di pensiero, modalità interpretative e strumenti logici che ci tengono avvinti a quello che amiamo tanto: le nostre certezze. Lo facciamo continuamente e forse ci influenziamo reciprocamente senza rendercene conto. Si tratta di quella consonanza che ci tiene legati reciprocamente in una sorta di catena collettiva: pensiamo le stesse cose, sentiamo allo stesso modo, vediamo con gli stessi occhi e ascoltiamo con le stesse orecchie. Il futuro diviene così la proiezione dei nostri pregiudizi e della nostra miopia. Chi ama davvero gli animali riesce a intuire che loro sanno guardare il mondo in modi diversi, saprebbero insegnarci molto se solo li sapessimo ascoltare. Ma guardare il mondo con occhi diversi, usare la razionalità in modo creativo, spogliarci dalle nostre certezze e dai nostri pregiudizi, presuppone un grande coraggio e una grande capacità di mettersi sempre in discussione.

Ecco dunque il sogno. Un blogger scrive un articolo che all’apparenza è banalmente irrilevante, quasi insulso agli occhi dei lettori. Però Il tema è quello della scacchiera. La leggenda è nota: Un Principe indiano ricchissimo e annoiato promise una ricompensa a chi fosse stato in grado di farlo divertire. Tra i molti personaggi che si presentarono a corte per rallegrare l’illustre e magnanimo reggente si fece avanti un mercante. Aprì una scatola e ne estrasse un quadrato di legno con disegnate 32 caselle bianche e 32 caselle nere, vi appoggiò sopra 32 statuette di legno intagliate e si rivolse al nobile principe informandolo che si trattava del gioco degli scacchi e lo introdusse alle sue regole. In breve il Principe rimase affascinato dal gioco e nonostante le sconfitte, da vero principiante, si divertiva e il gioco gli piaceva davvero. Memore della sua promessa, chiese all'inventore di tale gioco sublime quale ricompensa desiderasse. Il mercante chiese un chicco di grano per la prima casella della scacchiera, due chicchi per la seconda, quattro chicchi per la terza, e via a raddoppiare fino all'ultima casella. Stupito per una richiesta così modesta, il Principe diede ordine che il mercante venisse esaudito. Gli scribi si apprestarono a fare i conti, ma dopo qualche calcolo rimasero esterrefatti. Il risultato finale era una quantità di grano che si poteva produrre coltivando una superficie più grande della Terra!

In effetti il numero di chicchi risultante è di 264-1 (due alla sessantaquattro meno uno), pari a 18.446.744.073.709.551.615 (numero quasi illeggibile). La leggenda, nota nel Medioevo con il nome di Duplicatio scacherii, appare con un cenno nella Divina Commedia di Dante Alighieri per dare un'idea al lettore del numero degli Angeli presenti nei cieli. (L'incendio suo seguiva ogne scintilla/ed eran tante, che 'l numero loro/più che 'l doppiar de li scacchi s'inmilla  - Dante Paradiso XXVIII, 91-93 [Ogni angelo (scintilla) girava con il suo cerchio di fuoco; e il loro numero era migliaia di  migliaia più ancora della duplicazione degli scacchi])

Ebbene la domanda allora è questa. Quale influenza può avere una persona sugli altri? Seguendo il criterio della duplicazione basterebbero circa la metà delle caselle per raggiungere praticamente tutti gli umani (cioè 32 o 33 passaggi). Un effetto farfalla applicato alla nostra capacità di produrre influenze con un effetto domino.

La capacità di guardare il mondo con occhi diversi costituisce uno strumento di trasformazione, significa non solo mettere tra parentesi tutto quello che la tradizione e l’educazione hanno impresso nella nostra mente plasmando le nostre emozioni e le nostre credenze, significa soprattutto saper attingere a quella inesauribile creatività che reprimiamo per paura e per convenienza. Solo il coraggio e l’innocenza di un bambino può salvare il mondo... quel bambino che proclama senza infingimenti e ipocrisie che il Re è nudo, che l’abito dell’Imperatore non è altro che un tessuto di lusinghe e di menzogne. 

Forse ciascuno di noi è potenzialmente quel chicco di grano che potrebbe innescare un diverso modo di guardare il mondo in una sorta di duplicatio scacherii.  Gilberto M.


Altri articoli di Gilberto M.
Effetto farfalla, ovvero il Politico come specialista del niente

6 commenti:

Vanna ha detto...

Gilberto buongiorno!

E' bellissimo questo tuo nuovo articolo e mi trovo concorde con te su tutto quello che scrivi!

Sono tre i punti in particolare sui quali vorrei soffermarmi.

Il 1° è quello in cui rifletti che
neanche nello spazio del vissuto quotidiano viviamo l'interiorità perché non lo viviamo con la consapevolezza delle emozioni.
Perché non lo sentiamo dentro.

Il sentire non si pesa, non si misura, non si quantifica ma c'è, esiste perché lo senti e lo provi.
Questo è talmente scontato che neanche ci si fa caso perché per sentirlo devi fare attenzione.
L'attenzione al sentire procura dolore e per questo si diventa asettici, meccanici e superficiali.



Parli di Freud, della psicoanalisi, della perversione, per lui questa civiltà ha represso gli istinti e la libido che però, benché rimossi, sono sempre in agguato e possono autodistruggersi.

E lui vede la religione come una "‘nevrosi ossessiva’ di massa che scaturisce dal senso di colpa per l’uccisione del padre primordiale."

Freud era uno psicanalista poco spirituale per lui tutto era riconducibile agli istinti primordiali intorno ai quali l'uomo sviluppò la sua evoluzione.

Gli istinti da reprimere o da seguire hanno permesso il cammino dell'uomo.

Fu interessante, per me, la sua teoria sulla nascita della cultura in " Totem e Tabu"

Nel momento in cui l'orda primaria si diede le regole di consumare una certa pianta o un certo animale in base al loro ciclo riproduttivo e di non usare sessualmente le donne del nucleo familiare, iniziò la cultura come trasmissione di regole all'interno del gruppo.

Il mito dell'Eden aveva la sua regola: non mangiare il frutto del Bene e del Male, quella regola non fu rispettata e andò come andò.

Jung aveva altra visione da Freud, lui viveva la sua interiorità profondamente, la sentiva dentro e la sperimentò molte volte.



Ma quando affermi che: "... guardare il mondo con occhi diversi, usare la razionalità in modo creativo, spogliarci dalle nostre certezze e dai nostri pregiudizi, presuppone un grande coraggio e una grande capacità di mettersi sempre in discussione."

Hai toccato il problema di base:
la diversità, avere cioè la coscienza di essere o non essere, di avere o essere, di io e tu.

Non siamo tutti uguali, il diverso dà fastidio, è altro da me che deve essere imbrigliato.

I 7 miliardi di persone devono essere, controllate, quale controllo migliore della fame, della povertà,della paura.

Dici che ci vuole coraggio e non solo, aggiungo anche la sofferenza.

La visione creativa però ti rende libero di volare in altri spazi, di trovare le tue risposte interiori,
di sentire il sospiro del Creato nel quale Dio vive.

Di affrontare tutto a testa alta perché quello che si scopre è tuo e nessuno potrà togliertelo.

Francesco di Assisi si tolse i vestiti e rimase nudo, non ebbe paura di essere scoperto, né di sembrare fuori di senno.

Bisogna avere l'innocenza di un bambino per entrare nel Regno dei Cieli, per operare il miracolo di quel chicco, per essere una goccia e fare l'oceano come diceva Madre Teresa.

Grazie Gilberto,a te una serena giornata.

Anonimo ha detto...

Grazie Vanna
Fa piacere ricevere un commento così articolato e di apprezzamento.
Ciao
Gilberto

Vanna ha detto...

Ho fatto un errore di battitura:

"Parli di Freud, della psicoanalisi, della perversione, per lui questa civiltà ha represso gli istinti e la libido che però, benché rimossi, sono sempre in agguato e possono autodistruggerci.

non autodistruggersi

Vito Vignera da Catania ha detto...

Carissimo Gilberto buona notte.Come vedi il tuo fedele scudiero non ti abbandona,e come potrei abbandonarti caro amico,se hai sognato che il Re era nudo a poca importanza per me,l'importante è che non ti sogni di spogliarmi di quell'abito che mi hai cucito addosso fatto della tua cultura,del tuo saper raccontare i fatti con argomentazioni che se non sono catastrofiche poco ci manca purtroppo.Ci lasciamo influenzare da tutto e da tutti,e il più delle volte usati come cavie per raggiungere chissà quali scopi.Pian piano perdiamo di vista certi valori,il passato che ritorna magari in forme diverse,e il paradiso che immaginiamo non è altro che una visione onirica.Non è il futuro che ci spaventa,c'è già il presente che ci terrorizza.Hai sognato che il Re era nudo e il mondo diverso,beh,ti assicuro che non era un sogno,ma la semplice realtà di come siamo ridotti, ovvero quasi in mutande,no, non era un sogno, ma una tragica visione della realtà.Buona notte carissimo amico,e mi raccomando di non fare più questi brutti sogni.Un Re senza corona va bene,ma nudo no,non è una bella visione,sopratutto per i bambini,che magari penseranno:se il Re è ridotto così che futuro ci aspetta?. Buona notte.

Anonimo ha detto...

Caro Vito
Grazie per le tue considerazioni così ricche di humor e buon senso. Io però sto ancora aspettando il tuo articolo che dimostri che sei un buon allievo e che magari stai per bagnarmi il naso. Son sicuro che potresti sfornare qualcosa che ci lascia tutti col fiato sospeso fino alla pernacchia finale come nella migliore tradizione satirica. Io aspetto e nell'attesa cerco di mangiare, bere e stare allegro.
En attendant
Gilberto

Vito Vignera da Catania ha detto...

Carissimo Gilberto hai sfornato un articolo stupendo, è da buon Professore hai incluso nomi di tutto rispetto.Il poeta Giovanni Pascoli,personaggio dai vissuti molto tristi,il padre ucciso,poi dopo la morte della madre e delle sorelle si è abbattuta come una mannaia sui fratelli rimasti la fame e la miseria.Celebre una sua poesia,La cavallina storna,per la vicenda del padre ucciso su un calesse.Nelle sue poesie esprime tutto il suo stato d'animo, è l’ascolto della sua anima e delle voci misteriose che gli giungono da lontano, dalla natura o dai morti.Purtroppo è una realtà triste è misteriosa ma, che lui accetta,ecco perché nelle sue poesie esprime tutti i suoi stati d'animo,quel mistero che non si spiega,e infondo nel tuo articolo c'è tanto di mistero e surreale,di un mondo costellato di sogni e incertezze,di paradisi idilliaci,e di inferni danteschi.Ci muoviamo come degli atomi immersi in una macchina infernale,ma in fondo come dici tu,forse siamo solamente dei chicchi di grano su una scacchiera.Se il vecchio Freud potesse tornare in vita ne avrebbe tanti di soggetti da psicanalizzare.Che dici caro amico furbacchione,uno di questi non potresti essere tu? stai mangiando un po troppo,il buon vino non ti manca,e poi vedo che sei troppo allegro,qualcosa mi fa pensare che hai trovato la persona giusta e che ti sta accanto,quasi quasi metto mano sul fuoco,e non penso che mi brucerò,o sbaglio? Ciaoooo.