martedì 29 ottobre 2013

Dal Don Rodrigo del Manzoni ai tanti Don Rodrigo della nostra politica

Di Gilberto M.

L'uomo si vide perduto: il terror della morte l'invase, e, con un senso per avventura piú forte, il terrore di diventar preda de' monatti, d'esser portato, buttato al lazzeretto. E cercando la maniera d'evitare quest'orribile sorte, sentiva i suoi pensieri confondersi e oscurarsi, sentiva avvicinarsi il momento che non avrebbe piú testa, se non quanto bastasse per darsi alla disperazione. Afferrò il campanello, e lo scosse con violenza. Comparve subito il Griso, il quale stava all'erta. Si fermò a una certa distanza dal letto; guardò attentamente il padrone, e s'accertò di quello che, la sera, aveva congetturato. - Alessandro Manzoni - I Promessi sposi cap 33 -


Quale sarebbe oggi la sorte di Don Rodrigo in una trasposizione contemporanea della vicenda narrata dal Manzoni? La domanda è meno oziosa di quanto sembri, non solo perché con i progressi della medicina la sorte dell’eroe negativo forse non sarebbe segnata (magari salvato in extremis con il farmaco di ultima generazione, forse perfino trasfigurato da un’improvvisa metamorfosi spirituale registrata e certificata mediaticamente, trasmessa e commentata in diretta televisiva); ma soprattutto perché proprio lui (il nobilotto mediocre e criminale) ha dato alla vicenda, grazie al suo capriccio, la possibilità di manifestare quel tema della provvidenza così caro al Manzoni. È per l’appunto la macchina narrativa della volontà divina a mettere alla prova un amore davvero contrastato per i due aspiranti consorti, argomento più importante delle sorti dei malvagi che in zona Cesarini raddrizzano (forse) la loro perversa esistenza. Ma oggi? Come avrebbe potuto dipanarsi una vicenda come quella di Renzo e Lucia? No, non voglio avventurarmi in quella che potrebbe diventare soltanto una parodia dell’opera manzoniana. I nostri personaggi (i protagonisti) è giusto che vengano lasciati intonsi a riposare nelle pagine (e nell’immaginario collettivo) dell’opera manzoniana, così come quel commiato struggente: “addio ai monti sorgenti dall'acque ed elevati al cielo” - che sembra come cristallizzare la vicenda nell’epoca imprecisata delle suggestioni letterarie senza tempo.

Ma la figura di Don Rodrigo - spietato e immorale, ma anche cinico e vigliacco - è forse l’antesignano di tanti personaggi spregiudicati del nostro tempo in quella Hit Parade che vede incontrastato al top della classifica anche qualche protagonista della vita politica? È quello che consideriamo, ciascuno a suo arbitrio, l’eroe negativo per antonomasia, l’uomo di potere che riteniamo avverso al nostro modo di sentire e di concepire l’interesse collettivo. Ognuno ovviamente è libero di scegliersi come antieroe quello che più gli aggrada, perfino di far di ogni erba un fascio, se gli piace, di tutti quei rappresentanti dell’opportunismo tra i quali figurano anche avventurieri della res publica. Salvo avere l’accortezza di considerare le note che seguono più come un riferimento all’ambientazione sociale di un’epoca (la nostra) e non a dei tratti biografici che potrebbero adattarsi del tutto casualmente a qualche personaggio del circo politico (e/o mediatico) con riferimenti puramente fortuiti... Quello che ciascuno di noi immagina come emblematico del malaffare è a suo completo e arbitrario giudizio. In realtà le persone passano, i rappresentanti, anche dopo un ciclo di vita politica più o meno lungo (talvolta quasi interminabile), non vengono rieletti o si appartano volontariamente in qualche residenza fuori dal mondo, ma dove possono comunque, eventualmente, orchestrare e pianificare da una posizione defilata... Ciò che rimane sono i caratteri, le maschere e soprattutto i valori (o disvalori) che essi rappresentano ed incarnano nel bene e nel male.

Don Rodrigo sarà tradito proprio dal Griso, il suo fedele servitore. Ma la politica come l’immagina il Manzoni, calando il suo romanzo nel periodo della peste nel seicento, sembra già contaminata da certe idiosincrasie della sua epoca, l’800. Solo nella Storia della colonna infame lo spirito documentario prende il sopravvento sul tema letterario (deludendo i lettori dell’illustre milanese che si aspettavano un affresco sul genere del Romanzo, ma di certo non una telenovela di quelle che oggi ci vengono propinate non solo sotto forma di fiction televisiva). Manzoni utilizza probabilmente le categorie antropologiche riferite alla prima metà del secolo del romanticismo, nonostante lo scrupolo storico e filologico con il quale si è calato nell’epoca del barocco, il ‘600. Ma l’uomo politico della fine del ventesimo e inizio del ventunesimo secolo ha acquisito una sfrontatezza, una pervicacia, una astuzia che farebbero impallidire il povero Don Rodrigo, al confronto un provincialotto presuntuoso e arrogante, un dilettante del malaffare. La provvidenza lo condanna a morte certa, con un ritratto romantico da personaggio pittoresco (soprattutto nella prima stesura del Fermo e Lucia) che nel momento del trapasso potrebbe riscattarsi da una vita indegna, nel cliché del ravvedimento nell’ora estrema e con accorto tempismo. In fondo piace un po’ a tutti l’dea che per quanto gravi e profondi siano i nostri peccati basti quell’estrema contrizione per lasciare il demonio a bocca asciutta.

Ma certi ritratti machiavellici (di simulatori e dissimulatori) - al confronto con l’uomo politico attuale - sembrano esili controfigure di quel principe rinascimentale, solo la pallida effige di un odierno reggitore (fosse anche un papa dissoluto e libertino - de Borja o Borgia - come Alessandro VI). Oggi il principe (si fa per dire) ha nel suo carnet non solo la conoscenza della natura umana che l’indagine di Machiavelli mette a nudo proprio attraverso l’arte di governo, ma anche la conoscenza della psicologia sociale e delle pubbliche relazioni, non solo la diplomazia, ma quelle conoscenze riferite alle società di massa (che il fascismo e il nazismo hanno portato alle estreme conseguenze). Quei mass-media che hanno consentito un’influenza sempre più capillare sull’audience con dei veri laboratori a cielo aperto: sistemi di rilevazione elettronica e schedature secondo precisi metodi statistici. A fronte di un discorso sulla privacy, e sulla sua salvaguardia, di fatto tutta la storia moderna dal Rinascimento fino ai nostri giorni è costituita dalla progressiva dissoluzione degli spazi interiori attraverso la più completa trasparenza, degli outing più o meno indotti e spontanei, e fino allo spionaggio sistematico a cui sono sottoposti (quasi) tutti i cittadini del mondo, grazie ai sistemi esperti di analisi automatica di ultima generazione, con il filtro di parole chiave. 

Il pubblico da mero profilo sullo sfondo, anonimo e indeterminato, è diventato prima l’audience e poi il target di un processo con il quale trasformare la massa amorfa in uno strumento di persuasione, un attore sociale per interposta persona. Non a caso alcune delle opere che figurano con l’esordio nell’editoria di uomini politici editori e imprenditori, guarda caso, sono titoli come Elogio della Follia di Erasmo da Rotterdam, Utopia di Tomaso Moro e proprio Il Principe di Machiavelli, antesignani di un’analisi della società del loro tempo. Ma si potrebbe anche citare L'arte della guerra, un trattato di strategia militare attribuito, al generale Sunzi (Sun Tzu) e la concezione confuciana del jūnzi, della nobiltà d'animo e delle virtù insegnate ai futuri uomini di potere.

Ma non è davvero il caso di lasciarsi ingannare, la distanza tra la teorizzazione del Principe di Machiavelli e il Politico attuale è davvero rilevante. Si può essere indotti a considerare l’arte del governo in una dimensione antropologica dove permangono immutati i leitmotiv e le costanti caratteriali che contraddistinguono l’umana natura. Si tratta in realtà di figure e icone lontane tra loro con una somiglianza solo di facciata.

L’immagine di don Rodrigo che giace su un letto di morte (un pagliericcio nel lazzaretto) ha qualcosa di fatale che riscatta l’ignominia dell’uomo che ha buttato nella tribolazione due giovani vite: “Stava l'infelice, immoto; spalancati gli occhi, ma senza sguardo; pallido il viso e sparso di macchie nere; nere ed enfiate le labbra: l'avreste detto il viso d'un cadavere, se una contrazione violenta non avesse reso testimonio d'una vita tenace. Il petto si sollevava di quando in quando, con un respiro affannoso; la destra, fuor della cappa, lo premeva vicino al cuore, con uno stringere adunco delle dita, livide tutte, e sulla punta nere.” - I Promessi sposi cap. XXXV

L’icona richiama un sentimento di misericordia e di perdono, tant’è che non solo il lettore è mosso a pietà, ma lo stesso Renzo, un attimo prima fautore di vendetta, alla vista dell’uomo nel dolore e in prossimità della morte, è indotto perfino a pregare per la salvezza della sua anima. Nelle raccomandazioni di Padre Cristoforo: Forse il Signore è pronto a concedergli un'ora di ravvedimento; ma voleva esserne pregato da te: forse vuole che tu ne lo preghi con quella innocente; forse serba la grazia alla tua sola preghiera, alla preghiera d'un cuore afflitto e rassegnato. Forse la salvezza di quest'uomo e la tua dipende ora da te, da un tuo sentimento di perdono, di compassione... d'amore!  I Promessi sposi cap. XXXV

Certo non si può escludere che anche oggi un politico corrotto possa essere pronto a un ravvedimento dell’ultima ora. No, non lo possiamo escludere, per carità cristiana. Purtroppo è assai più probabile che perfino il pentimento, quando proprio non ci sia nessun’altra sortita da tentare - perché un inganno è stato scoperto e un’infamia smascherata – e… la costernazione (simulati con animo ispirato e posa teatrale) possano davvero diventare l’estrema ratio per muovere l’elettorato a compassione. La teatralità è davvero parte di quello scenario politico per dirla con garbo orwelliano: “I pensatori della politica si dividono generalmente in due categorie: gli utopisti con la testa fra le nuvole, e i realisti con i piedi nel fango”.  George Orwell, Gli anni dell'Observer, 1942/49
Oggi l’arte del governare coincide con quella di tenersi sempre a galla, navigare a vista, piegare qualunque occorrenza non tanto ad un fine politico (che rappresenta più che altro uno specchietto per le allodole) ma ad uno scopo personale (usare la politica come un plus e benefit per dare vento, e vanto, alle proprie vele). Il machiavellismo pur nella sua amoralità comporta pur sempre un fine (buono o cattivo) che è intrinseco all’arte del governo e alla sua logica di potere. Nella congiuntura delle moderne democrazie si tratta di un discorso a corto respiro, per quanto ammantato di ideali e promesse, è solo il proprio interesse che coincide con quello del gruppo di appartenenza come referente (e una capacità da vecchio lupo di mare di saper fiutare dove soffia, o soffierà, il vento). È lì che il cavallo di razza sa stare al passo coi tempi, cavalcando l’onda e addirittura anticipando con accorta regia le mosse dei suoi avversari. Il moderno Don Rodrigo avrebbe scelto con cura il truccatore per far sembrare realistica la scena della sua dipartita (senza omettere di dare al personaggio quell’aura da martire, quell’alone da vittima sacrificale con l’allusione a torbidi retroscena - l’immancabile dietrologia della cospirazione - per esser stato tradito e buggerato). Per questo avrebbe preferito il più logoro dei pagliericci (accentuando ed estremizzando la sua condizione decaduta), e naturalmente una regia non convenzionale con luci livide e taglienti e uno sfondo di suoni agonizzanti che avrebbero dato alla scena un che di lugubre ma anche di pietoso e commovente. 
La sceneggiatura avrebbe mantenuto di sicuro il personaggio del cappuccino - il frate scalzo esercita pur sempre il fascino scabro ed essenziale dell’uomo di fede - la garanzia sobria e disadorna dell’onestà incorruttibile; una ambientazione essenziale, priva di fronzoli, a significare la metafora del ravvedimento, ma anche quella dell’innocenza e del complotto ai suoi danni: un uomo pentito e forse perfino ingiustamente accusato colto in uno stato di prostrazione e di sofferenza, l’immagine del sacrificio e della penitenza. Chi di fronte a una regia che sapesse mescolare con sapiente alchimia il sacro e il profano, il dolore e la contrizione, non sarebbe mosso a pietà? Il reprobo rischierebbe perfino in quel momento di desolante afflizione di subire lì per lì un processo di santificazione, dalla polvere sull’altare. Un telespettatore commosso seguirebbe in diretta tutte le fasi del trapasso dell’uomo trasfigurato dalla redenzione.
“Forse il Signore è pronto a concedergli un'ora di ravvedimento; ma voleva esserne pregato da te: forse vuole che tu ne lo preghi con quella innocente; forse serba la grazia alla tua sola preghiera, alla preghiera d'un cuore afflitto e rassegnato. Forse la salvezza di quest'uomo e la tua dipende ora da te, da un tuo sentimento di perdono, di compassione... d'amore!”  I Promessi Sposi cap 35.

Sembra evidente che la morte di un moderno Don Rodrigo sarebbe solo apparente, si tratterebbe per l’appunto di quello stato propedeutico alla rinascita, un travaglio per riemergere trasformandosi da bruco in farfalla. Il politico di professione ogni tanto scompare dalla scena, giusto un po’, per ripresentarsi al secondo o al terzo atto dell’umana commedia e senza porre limiti alla provvidenza... e alla sua sopravvivenza, magari perfino sotto mentite spoglie. Un Ulisse che ritorna in incognito per far strage dei suoi nemici, ma anche di quelli che un tempo si dichiaravano amici, i traditori. In realtà l’elettore (e sostenitore) possiede solo quella memoria a breve termine (quella indotta dalle pause pubblicitarie del film di cui è pur sempre fruitore, e protagonista immaginario), solo spezzoni dove la scena finale è l’unica che conta dopo l’ultimo interminabile short pubblicitario col quale si dimentica qualunque altro antefatto per quanto orribile e conclamato. In fondo quando si nasce si è sempre belli e quando si muore si è sempre buoni

Par di sentire le lamentazioni delle prefiche con i capelli sciolti che cantano lamenti funebri levando lodi al morto, graffiandosi la faccia e strappandosi i capelli, tessendo le lodi del defunto (un caso peraltro di morte apparente per aritmia ipocinetica) ed esaltando la disperazione per la sua perdita, incolmabile (lui - o lei – che aveva il dono taumaturgico, con la semplice imposizione delle mani guariva perfino il malocchio). Un sant'uomo vittima di macchinazioni e di calunnie. Chi rinasce poi è doppiamente bello e buono, e in fondo una défaillance in politica è solo il trampolino per ulteriori sorti magnifiche e progressive. La morte in politica non è un evento biologico, è soltanto uno stato di sospensione, vita raggelata, in attesa del risveglio come per Lazzaro, (ri)alzati e cammina.

Il moderno uomo politico non è soltanto attore, ma anche sceneggiatore e regista, per quanto possa avvalersi di bravi professionisti nella cura della sua immagine (condita di rimmel e fondotinta e talvolta di una sana attività filantropica). In fondo è proprio lui a decidere quale dev’essere il copione, la scenografia e perfino le comparse che talvolta danno perfino l’illusione di saper recitare, di essere attori per davvero, e non di saper fare soltanto il portavoce o… il portaborse. È evidente che qui si parla dei pezzi da novanta, non di quegli ammennicoli, letterine o paroline, che hanno giusto quel ruolo di contorno come si addice al corteo di un principe, sia pure nella cornice delle moderne democrazie rappresentative che hanno bandito la corona e lo scettro perché troppo allusivi. Per sembrare munifico e moderno il nuovo principe si contorna di guappe in carriera, ma non disdegna gli adulatori e gli eccentrici, i cantastorie e i contaballe, in fondo gli arredi e le scenografie hanno una loro importanza. La tappezzeria di belle presenze, soprattutto se echeggiano i pensieri e la filosofia del Maître à penser, rallegra l’ambiente, dà un’aria giovanile e modernizzante perfino a idee un più logore e degradate, ravviva gli argomenti in discussione con battute gioviali, e talvolta un po’ pecorecce, che danno al personaggio un cliché da commilitone o di compagno di merende. Per i collaboratori più fidati (ma il politico scafato sa che di veramente fidato c’è solo il proprio cane) si avvale di uomini di provata fede (l’instrumentum regni sul quale non si può discutere è soltanto l’amore indiscusso per la propria immagine riflessa allo specchio).

Perfino il traditore, il Griso, sarebbe oltremodo funzionale alla sceneggiatura di un moderno interprete dell’arte del galleggiamento. Passare per vittima è davvero il  Coup de théâtre che può dare alla sceneggiatura una marcia in più. Appare poco importante che i due (Don Rodrigo e il suo bravo) siano canaglie, l’uno un tirannello e l’altro opportunista e violento. Il tradimento, soprattutto se orchestrato e simulato platealmente, costituisce un elemento di riscatto. Vien fatto valere ostentatamente con quel linguaggio suggestivo che sempre induce le anime sensibili e appassionate alla commozione. È lì che avviene una sorta di ribaltamento. Il poveretto è stato tradito, lui voleva far del bene al suo popolo di fedeli e invece è stato pugnalato alle spalle. Insomma, è il melodramma con una capacità davvero sorprendente di capovolgere anche le situazioni all’apparenza irrecuperabili. Un libretto con tutte le battute, le didascalie e con l’indicazione degli assieme e degli assoli. Si tratta di quella regia che non lascia nulla al caso, neppure le proprie disgrazie. Una historia calamitatum che all’occorrenza si trasforma in un’aria appassionata dove anche il personaggio più corrotto può trovare consonanza nella messinscena di scenografia, regia, coreografia e naturalmente… recitazione con quel plauso da parte di un pubblico così ben assuefatto agli sceneggiati, di bocca buona e da vero intenditore di fiction... L’arte della recitazione, con tutto il suo repertorio di luoghi comuni e di trovate ad effetto, fa sempre presa su un’audience abituata alle telenovele ridondanti e ripetitive, nelle quali la storia si ripete e si allunga in una sbrodolata che non arriva mai al dunque, ma che tiene pur sempre tutti col fiato sospeso.

Se poi fa all’uopo, il caduto in disgrazia può perfino umiliarsi, piegarsi di fronte a un nemico che non si riesce a vincere, ammettere i propri errori e fare atto di sottomissione, insomma andare a Canossa, ma non come Enrico IV che attese per tre giorni e tre notti, nel clima glaciale dell’inverno del 1077, scalzo e vestito solo di un saio (ecco nuovamente l’icona del frate) prima di essere ricevuto e perdonato dal papa Gregorio VII, con l'intercessione di Matilde di Canossa. Per quanto la regia contempli perfino l’uso del cilicio, il digiuno e l’astinenza, lo stridor di denti, si tratta pur sempre della finzione teatrale, di quei simboli adottati per la diretta, differiti all’occorrenza e indossati come costumi e oggetti di scena.

Insomma Don Rodrigo aggiornato, riveduto e corretto secondo i canoni massmediatici sarebbe non solo più scaltro ma anche più popolare di Renzo, un contadino che si occupava del suo poderetto quando scarseggiava il lavoro come operaio filatore di seta, sempliciotto e un po’ ingenuo. Oggidì i personaggi senza scrupoli e soprattutto benestanti ed affermati politicamente hanno un’aura di santità che il denaro e il potere rendono davvero irresistibili agli occhi delle veline e degli arrivisti in carriera. Se poi hanno il carisma giusto diventano icone e modelli, forme ideali dell’empireo platonico, creature angelicate da una schiera di supporter ammaliati.

Si può discutere se un politico sia un buon attore? È il migliore in assoluto. Chi arriva in alto nell’organigramma deve aver dimostrato di conoscere tutti i trucchi del mestiere, compresa la caduta in disgrazia, la morte apparente, la peste e perfino l’affidamento ai servizi sociali in luogo del carcere. Quale migliore occasione per mostrarsi accanto a uno stuolo di orfanelli, a farsi fotografare mentre si pulisce la padella di un lungodegente, immortalato allorquando si accudiscono i ragazzi disabili, si tiene lezione di marketing a un gruppo di extracomunitari o addirittura di catechismo a dei mammalucchi. È la magia della provvidenza, del ravvedimento e del perdono. Il popolo televisivo potrebbe davvero arzigogolare sul personaggio, protestare, commuoversi, inveire, intenerirsi… perfino imitare lo sventurato offrendosi come volontario in un nosocomio e gridare allo scandalo per il povero disgraziato costretto a lavare i piedi a qualche avversario politico.

In effetti il personaggio antagonista del povero Renzo sembra più interessante quando, come tutti, subisce le sorti dell’avversa fortuna. Ma nel suo caso, non sai mai bene se la disgrazia che lo colpisce tra capo e collo - mandandolo al tappeto e a morte prematura, politicamente parlando - sia il prodotto di quel fiume della fortuna di cui ci parla Machiavelli, o sia soltanto l’escamotage con il quale il reprobo volge a suo favore la sorte avversa mediante un ardito contrappunto. L’operazione non è priva di rischi e di azzardi, si tratta di ribaltare a proprio vantaggio una situazione apparentemente compromessa. Ma è proprio lì che la psicologia e il fiuto del politico navigato fanno la differenza.

Nelle parole emblematiche dello stesso Machiavelli: “degli uomini si può dire questo generalmente, che sono ingrati, volubili, simulatori e dissimulatori, fuggitivi de’ pericoli, cupidi di guadagno” ( Principe cap. XVII). 

Ma forse sarebbe meglio immaginare gli uomini, come una massa, più simile agli eserciti di manovra, con un generale che muove le sue truppe usando la potenza di fuoco dei mediatori di massa, la stampa, ma soprattutto la TV. Forse per questo è più emblematica L’arte della guerra di Sun Tzu o quella stessa Dell’arte della guerra di Machiavelli che possono essere intese anche come allegorie di quella massa amorfa e strumentale che più che altro è un’onda d’urto, un pattern da plasmare in quell’aggregarsi e disaggregarsi, ricomporsi e talvolta perfino retrocedere in una ritirata strategica: un esercito mosso dall’intelligenza del suo capo che trasmette gli ordini rapidamente attraverso i luogotenenti e che dei suoi uomini fidati conosce bene difetti e debolezze (e per questo può ricattarli alle bisogna). Insomma il moderno Don Rodrigo più che uno stuolo di bravi al suo servizio, un piccolo esercito personale per esercitare violenze e coercizioni, possiede l’esercito sconfinato dei supporters, anonimi ma prevedibili statisticamente come consumatori di illusioni, la suggestione indotta dai beni materiali e dai processi di identificazione col capo.

La ritirata rappresenta allora, se ben orchestrata e diretta con intelligente astuzia, la premessa del contrattacco. Come dice Sun Tzu ne L’arte della guerra: “Evita di ripetere le tattiche vittoriose del passato. Perché la forma deve essere suggerita dalla infinita varietà delle circostanze” e “L’abile condottiero non segue uno shih (il controllo sugli altri) prestabilito e non mantiene una forma immutabile”. 

In fondo le truppe nella moderna società dei consumi, non solo sono amorfe, sono anche mosse da una pseudo-intelligenza programmata (e se è il caso riprogrammata) per una nuova strategia. Riplasmare l’esercito, dare una nuova forma all’opinione corrente, rimodularne i toni e la drammaturgia, ricrearne il profilo in un diverso modello... ma sempre mantenendo l’illusione (al volgo machiavellico) che le truppe si muovano per una loro autonoma e intelligente volontà, come se per davvero fossero interpreti della storia e non soltanto pedine da spostare. La differenza tra l’esercito dei bravi (o gli eserciti di Sun Tzu) e il moderno target della società industriale avanzata, è in quella prerogativa di quest’ultima a creare l’illusione di un esercito virtuale, inesistente, eppure corposo, pervasivo e onnipresente. Un esercito di consumatori isolati, anonimi e lontani, robottini che pure si muovono all’unisono, a comando, con movimenti geometrici e precisi, come se davvero seguissero ordini invisibili dati dal loro capo senza divisa e senza baionetta.

L’immagine un po’ romantica di un Don Rodrigo affossato nel suo giaciglio di morte, appare perfino ingenua e patetica di fronte alla capacità proteiforme del Politico attuale, abituato a muoversi sui terreni più infidi e imprevedibili. Allora perfino la peste, per un uomo assuefatto a qualsiasi imprevisto, è solo un incidente di percorso che, per quanto sgradevole, non rappresenta certo un ostacolo insormontabile, soprattutto per chi è abituato a preparare una strategia alternativa per ogni occorrenza e caso inatteso, compresa quella fortuna avversa che fa parte dell’universo umano e della imprevedibilità degli eventi. Ancora nelle parole di Machiavelli “Perché il nostro libero arbitrio non sia spento, iudico poter esser vero che la fortuna sia arbitra della metà delle azioni nostre, ma che etiam lei ne lasci governare l’altra metà…” (Principe c. XXV)

Solo alla morte non c’è rimedio? Qualche volta, loro, i morti, ritornano, ed è allora che - come nel film “La notte dei morti viventi” (diretto da George A. Romero) - finiscono per zombizzare i vivi - i morti risorgono per nutrirsi di carne umana e contagiare i vivi a causa delle radiazioni emesse da una sonda sperimentale (i soliti messaggi subliminali tanto invisibili quanto efficaci). A farne le spese sarà qualche sprovveduto e inesperto consumatore attardato ad ascoltare via etere i consigli per gli acquisti o addirittura a leggere le istruzioni per l’uso del condom di ultima generazione senza avvedersi che lo prenderà in quel posto.

Ma in fondo il moderno Don Rodrigo è più simile a un personaggio da film slapstick che a un film horror, si tratta di quel sincretismo di una comicità un po’ cialtrona e un po’ drammatica, dove perfino il lieto fine è una costruzione immaginaria. Quella italiana poi è una slapstick comedy, una comicità sbatacchiata alla cretinetti o alla ridolini (in fondo tra il comico e il tragico c’è solo un esile e inconsistente diaframma, quello slow bum che precede la battaglia delle torte in faccia. Il target, come al solito, le assaggia tutte. - Gilberto M. -

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8 commenti:

Manlio Tummolo ha detto...

Discorso assai complesso il tuo, carissimo Gilberto, e che offre spunti vari ed altrettanto complessi di discussione. Certo, il politico d'oggi ha qualcosa del don Rodrigo e del suo caro cugino consigliere di nefandezze, sicuramente nulla dell'Innominato. Ma oserei dire, in sintesi, che il politico (meglio: il partitocrate) dei nostri tempi, e non solo italiano, è una caricatura microscopizzante di don Rodrigo, non ha nemmeno il coraggio o l'audacia di tentare il male, non certo per scrupoli di coscienza, ma solo per una tristissima piccineria.

Anonimo ha detto...

Carissimo Manlio
Non mi pare che un politico (o partitocrate) non possa avere il coraggio di tentare il male. Certo bisogna intendere cos’è il male. Non si tratta comunque di qualcosa di convenzionale. Il male per sua natura non si lascia definire, è sfuggente e proteiforme, spesso si cela sotto mentite spoglie. Nelle società avanzate si sa mimetizzare e contraffare. L’attuale Don Rodrigo potrebbe avere il volto angelico dell’innocenza e l’anima nera della perfidia. D'altro canto lo stesso Don Rodrigo manzoniano ha più che altro i caratteri del codardo.
Gilberto

Manlio Tummolo ha detto...

Vedi, carissimo Gilberto, quando don Abbondio vede i due bravacci lungo la strada che lo porta a casa, e gli dicono "Questo matrimonio non s'ha da fare, né domani né mai", intuisce subito chi li manda. Questo perché un don Rodrigo, quantunque codardo (ma non dimentichiamo che, quando si accorge del tradimento del Griso, corre alla spada, ma non riesce per il male in corso a reagire uccidendolo), è pur dominato dal suo senso feudale-barocco dell'onore. Ha scommesso col cugino il rapimento e rapimento sarà, anche se fallito per "divina provvidenza". Quindi codardo sì, ma mai come i partitocrati dei nostri tempi. Vorrei vederli duellare all'arma bianca, come fece un Cavallotti. Oppure ordinare rapimenti di donne, senza preoccuparsi (data l'organizzazione sociale del tempo, ma pur vietati dalla legge) di eventuali conseguenze. Don Rodrigo è un miserabile, ma i nostri attuali rodrighetti, alla infinitesima potenza negativa, sono infinitamente più miserabili ancora.

Anonimo ha detto...

non si capisce nulla .
è un miscuglio di fregnacce

Manlio Tummolo ha detto...

Se non capisce ciò che è scritto, illustre ed Innominato Anonimo delle ore 13.32 del corrente 2 novembre 2013, come fa a sapere che sono fregnacce ?

Anonimo ha detto...

Grazie Manlio
Purtroppo la televisione è riuscita ad appiattire tutto e la lettura è diventata una eccezione che conferma la regola: banalizzare e semplificare. L'ironia e la metafora risultano incomprensibili a chi in genere non legge né testi letterari e né testi scientifici. Gilberto

Vito Vignera da Catania ha detto...

Carissimo Gilberto amico è compagno di mille avventure buona Domenica.Trovare il Don Rodrigo tra i nostri politici non credo sia un'impresa ardua,basta che ti guardi intorno o accendi il televisore è li vedi in tutte le loro forme.Di fetenti in giro c'è ne sono tanti,di piccola e media grandezza,parlano tanto ma concludono poco,il coraggio se non c'è l'hai non te lo puoi dare disse il buon Don Abbondio,beh, questa è la giustificazione che Don Abbondio dà della propria ignavia, è nella vita ci sono tanti, forse troppi, Don Abbondio.
Per fortuna, ci sono anche tante persone che si sentono vigliacche e che poi, messe alla prova dalla vita, tirano fuori un coraggio da leoni! Ciao caro Gilberto

Anonimo ha detto...

Sì Vito
Però ci sono anche tanti ipocriti che predicano bene ma che alla prova dei fatti si tirano indietro... (razzolano male). Insomma ce n'è per tutti i gusti.
Ciao
Gilberto