giovedì 6 febbraio 2014

Il grande inganno: Il Mondo è una macchina senza chiavi che solo in apparenza si fa guidare...

Saggio di Gilberto Migliorini



La teoria marxiana (e non solo) ci ha parlato del rapporto di dipendenza della sovrastruttura ideologica da quella economica, nel senso che dai rapporti produttivi dipendono le costruzioni intellettuali e di pensiero (l’ideologia) che risultano come giustificazione e asservimento al sistema economico. È pur vero che in Marx il rapporto tra struttura e sovrastruttura risulta complesso, ma di fatto la relazione è discernibile in modo sostanzialmente univocoSolitamente si pensa alla cultura come qualcosa di immagazzinato nei libri e nelle teste dei professionisti di un qualsiasi ramo della scienza. Come qualcosa che tangibilmente mette capo a delle competenze e delle capacità espresse negli ambiti più disparati che vanno dalla letteratura alla filosofia, dalla psicologia all’antropologia, dalla sociologia all’economia, dalla biologia alla fisica… insomma, a un patrimonio di conoscenze oggettivate in una serie di strumenti intellettuali ed espressi attraverso la strumentazione di oggetti più o meno complessi, come un libro o un acceleratore di particelle. 

Di fatto però, il termine cultura mantiene qualcosa che sfugge a una determinazione esauriente, conserva qualcosa di indiscernibile. Non fosse altro che essa esprime anche l’animo di un popolo, compresi pregiudizi e idiosincrasie, valori e attitudini, credenze e stili di vita. Insomma, il termine cultura è in certo senso indeterminato nei suoi confini, anche quando se ne vuole dare una definizione rigorosa, sia per il fatto che la cultura è in perenne trasformazione, sia perché non può prescindere da coloro che ne danno la definizione in quanto motivati da propri particolari interessi (e in questo caso Marx avrebbe senz’altro ragione).

Legata alla cultura c’è l’altra domanda: chi è l’uomo di cultura (e l’uomo di scienza)? L’esperto di un ramo del sapere? Qui purtroppo c’è un equivoco da sfatare. La competenza in un ramo del sapere non fa un uomo di cultura e nemmeno un uomo di scienza. Ne fa magari un bravo tecnico, uno specialista, un professionista valido nel suo campo (scientificamente - parlando in senso stretto), ma non certo un uomo di cultura e nemmeno un uomo di scienza (in senso ampio). Insomma, un professore di letteratura, un chimico o un fisico, possono essere ottimi insegnanti, eccelsi sperimentatori e ricercatori del loro orticello, senza essere né uomini di cultura né uomini di scienza. Quello che dico potrà apparire sorprendente, ma il fatto è che la cultura non è rappresentata semplicemente da un patrimonio di conoscenze in un certo ambito. Allora anche un automa, un sistema esperto programmato ad hoc, sarebbe acculturato. Di fatto ormai esistono sistemi esperti (artificiali) in ogni campo, perfino psicoanalisti virtuali, software che simulano le risposte di un uomo in carne e ossa, repertori interattivi pronti ad essere implementati su macchine che via via potranno un giorno assumere forme antropomorfe, come nella migliore fantascienza, perfino androidi che in un futuro non troppo lontano potranno trarre in inganno il cliente di una peripatetica... 

La cultura presuppone una visione d’insieme, lo specialista che si restringe nel suo orticello dimostrando abilità nel suo campo rimane fondamentalmente un tecnocrate, magari davvero sorprendente nel suo virtuosismo specialistico, ma senza nessuna garanzia che sia in grado di mettere in relazione quello che fa con la realtà globale di cui è parte. E questo vale anche per i fisici che si occupano delle cosiddette teorie del tutto, che fondamentalmente rimangono soltanto sguardi da un determinato punto di vista anche quando si occupano di cosmologia o pretendono di conoscere la realtà ultima nella sua essenza materiale. L’uomo del cassetto, per quanto approfonditamente possa conoscere la realtà che va esplorando, sarà sempre e soltanto un bravo tecnico, anche un ottimo sperimentatore, ma senza saper mettere in relazione quello che fa con la totalità di cui è parte. Il concetto di totalità è esso stesso necessariamente problematico e per questo rimanda a un concetto di cultura e di scienza che non sono quelli convenzionali di un ambito specialistico che si ritiene rappresentativo del tutto… Il caso della scienza sperimentale è emblematico. 

Molte ricerche prescindono completamente dalla relazione che intrattengono con il tutto e in questo senso sono fondamentalmente prive di un senso, di una direzione (salvo quella che altri - gruppi di interesse e di potere non sempre esplicitati - intendono darle in funzione di certi obiettivi, talvolta inconfessabili). L’interesse nel perseguire una ricerca se non fa capo a un input individuale, desiderio di conoscere o interesse di parte, è spesso un collage di motivi, di prerogative e di vantaggi non necessariamente in sintonia, spesso anzi in antagonismo, sovente contrapposti ma che comunque trovano consonanza nel compromesso, negli utili e nei guadagni che vengono realizzati attraverso tutti i procedimenti coinvolti nel processo economico sotteso alla ricerca sovvenzionata in vari modi e con ricadute spesso imprevedibili. Una ricerca per un supposto bene comune può trovare le più svariate motivazioni a posteriori in quanto la natura stessa di qualunque ricerca ha in sé infinite valenze alla quali appellarsi per dimostrare che risponde a dei vantaggi per la collettività e non solo a un interesse particolare. Che poi questo sia vero, dipende dal bilancio costi e benefici. E qui le variabili sono praticamente infinite anche per la complessità delle implicazioni che neppure i più sofisticati strumenti matematici sono in grado di controllare nella concatenazione di cause ed effetti valutabili nello spazio e nel tempo.

È pur vero che spesso è l’intuito a guidarci: prendiamo una strada senza sapere dove potrà condurci, ma con quel sesto senso che in qualche modo anticipa l’esplorazione razionale sappiamo fiutare la soluzione migliore, quella economicamente più vantaggiosa. Tale modo di procedere è sempre una scelta individuale dettata dal proprio naso e comunque può essere abbandonata in qualsiasi momento quando avvertiamo che non conduce a niente, che è solo un cul de sac, una strada a fondo cieco… Nel caso delle moderne società industriali, con tutti gli apparati e strumenti sempre più complessi che le caratterizzano, il sistema sembra invece dominare gli individui che divengono solo rotelle di un ingranaggio. La ricerca non è più individuale, ma collettiva, gli obiettivi sfuggono alla volontà degli individui singoli e sono implementati in un sistema di rapporti produttivi ed economici talmente complessi che ormai più nessuno ha in mano veramente il potere di decidere. Nessuno possiede la visione d’insieme dei procedimenti e dei protocolli… si direbbe che il sistema si è ormai automatizzato e sfugge a un vero controllo razionale anche quando si utilizzano sofisticati strumenti statistici. 

Paradossalmente, proprio il sistema che si serve di strumenti matematici più complessi - e che si affida ai sistemi automatici di calcolo - diventa sempre più fragile. Il fatto è che il calcolo, inevitabilmente e per non andare fuori controllo con la crescita esponenziale dei numeri, è costretto a tener conto solo di alcuni fattori ritenuti rilevanti, trascurandone altri perché considerati ininfluenti (a torto o a ragione). La scienza matematico-sperimentale in realtà si fonda su assunti di natura induttiva indimostrati a priori, le relazioni tra i fatti sono sempre delle semplificazioni che il più delle volte funzionano egregiamente, ma che in qualsiasi momento possono collassare perché un fatto ritenuto trascurabile, in realtà potrebbe rivelarsi molto importante. Questo si dimostra vero quando ad esempio si progetta una nuova macchina (o si utilizza un modello) dove un dettaglio si è poi rivelato un bug che ha fatto collassare il sistema. Se il difetto coinvolge solo un sistema locale il danno risulta limitato e l’umanità nel suo complesso potrà considerare comunque vantaggiosa l’esperienza che ha fatto crescere la sua conoscenza (anche se qualcuno ne ha pagato il prezzo…), se l’errore riguarda invece il sistema nel suo complesso (ad esempio il bilancio energetico del pianeta e i suoi equilibri) le conseguenze possono risultare letali per tutti e irreparabili (irreversibili).

Spesso si parla di plutocrati e di un gruppo di persone che detengono il potere sul resto dell’umanità, ma si tratta di una visione ingenua, per la quale qualcuno avrebbe in mano le chiavi della macchina organizzazione socio-economico-scientifico-industriale del sistema mondo creato dagli umani. Certo, qualcuno ne trae i maggiori vantaggi e qualcun’altro ha in mano importanti leve del potere. Ma non si tratta delle macchine che si sarebbero rese indipendenti dai loro costruttori (Matrix) e nemmeno di un sistema perverso di controllo (una occulta regia di manipolatori) su attori ignari di recitare (The Truman Show), e neanche del Capitale che si erge come forza alienante della forza lavoro (il plusvalore marxiano), o il gigantesco Leviatano (il mostro biblico che compare nel libro di Giobbe) dotato di una corazza impenetrabile (Hobbes) simbolo del diavolo ma anche dell’unità dello Stato del potere e della sovranità che richiede obbedienza e che è fatto in modo da non aver paura...

Più interessante sarebbe un riferimento a Darwin, la cultura come mero espediente di sopravvivenza. Dietro alle creazioni artistiche e alla comprensione dei meccanismi naturali (per l’appunto quelli della selezione naturale) non ci sarebbero altro che mutazioni casuali selezionate in base al successo adattivo. Quello che sfugge ai darwinisti (che oramai rappresentano la quasi totalità degli uomini di ‘scienza’) è il carattere autoreferenziale dell’assunto. O ammettiamo che l’uomo sfugge a una mera determinazione naturale, oppure dobbiamo considerare a tutti gli effetti che anche le teorizzazioni della scienza sperimentale, compreso dunque la teoria darwiniana, non sono altro che procedure di adattamento e dunque non possono avere la pretesa di cogliere l’essenza della realtà (i suoi meccanismi sottostanti di funzionamento). Sono soltanto procedure adattive di sopravvivenza per affermare ad esempio la supremazia di una specie e il suo successo nei processi di adattamento. Insomma, nella misura in cui la teoria darwiniana è vera, essa è votata prima o poi a soccombere in quel processo che va sotto il nome di evoluzione, che di fatto, come in tante altre teorie autoreferenziali (vedi il paradosso del mentitore), conterrebbe già i germi della sua confutazione. 

Il paradosso del mentitore è forse sul piano logico una delle più feconde immagini relativamente alle contraddizioni insite in tante teorie. Quando ci si avvede che una forma di pensiero se applicata a sé stessa porta inevitabilmente alla sua confutazione, subentra uno stato di smarrimento e di rifiuto. L’autoreferenzialità può infatti mettere in crisi qualsiasi procedura automatica, scardinare le certezze, buttare nello scoramento e nell’angoscia perfino un sistema esperto sotto forma di un bug che improvvisamente riemerge mandando in tilt anche il software che sembrava testato a dovere. Il debugging di una porzione di software affetta da errore può essere molto semplice se applicata ad un programma non troppo complesso, diventa un’operazione quasi impossibile quando  il collaudo del programma mondo è ancora in fase di utilizzo da parte di un utente (l’homo sapiens) che elabora una qualche teoria del tutto: teoria che si suppone priva di errori. Programmi specifici (debagger) sono per l’appunto quelli che dovrebbero rilevare l’errore, ma spesso l’utente si innamora della sua teoria del tutto e finisce per aggiustarla con stratagemmi convenzionali per far stare in piedi la sua Weltanschauung sempre più zoppicante.

All’inizio dell’800 si riteneva che l’immagine dell’universo e delle sue forze fosse ormai assodata, Laplace rappresentava il determinismo nella sua forma forte:

"Noi dobbiamo riguardare il presente stato dell'universo come l'effetto del suo stato precedente e come la causa di quello che seguirà. Ammesso per un istante che una mente possa tener conto di tutte le forze che animano la natura, assieme alla rispettiva situazione degli esseri che la compongono, se tale mente fosse sufficientemente vasta da poter sottoporre questi dati ad analisi, essa abbraccerebbe nella stessa formula i moti dei corpi più grandi dell'universo assieme a quelli degli atomi più leggeri. Per essa niente sarebbe incerto e il futuro, così come il passato, sarebbe presente ai suoi occhi." Pierre Simon de Laplace (filosofo e matematico francese 1749-1827), "Essai philosophique sur les probabilites"[1]

Il paradigma deterministico trovava la sua massima giustificazione nelle leggi matematiche (che è ancora oggi la concezione dominante nel rapporto tra la matematica e il mondo fisico che essa vuole descrivere e spiegare). L’infallibilità della matematica già nell’antichità con la scoperta dell’incommensurabilità (il rapporto tra lato e diagonale in figure semplici come il quadrato) sembrò entrare in crisi. La dottrina fondamentale del pitagorismo che tutto è numero fu sul punto di crollare. La leggenda dice che il suo autore, tale Ippaso da Metaponto, venne punito dagli dei che lo fecero naufragare in mare per aver propalato quel terribile segreto. La difficoltà fu superata brillantemente con una concezione finita dell’illimitato. Ma nell’ottocento la matematica entra nuovamente in crisi con la scoperta delle geometrie non euclidee e delle nuove algebre. La corrispondenza tra le leggi della matematica e il mondo fisico non è più evidente. La coerenza e la non contraddittorietà dei principi matematici va in pezzi. Lo stesso metodo assiomatico-deduttivo che fonda l’inferenza logica, nonostante i tentativi nella seconda metà dell’800 di portare avanti un processo di rigorizzazione della matematica, si scontra con l’evidenza di una serie di contraddizioni (chiamate eufemisticamente paradossi per non dover ammettere che quelle minavano la stessa logica della matematica). 

In un famoso articolo il matematico Kurt Gödel nel 1930 dimostra l’impossibilità di dimostrare la coerenza della matematica rilevando i bug nel metodo assiomatico-deduttivo. I rilievi dell’illustre matematico hanno comportato una sorta di frantumazione della matematica in matematiche ciascuna delle quali in certo senso rivendica uno statuto di verità. Oggidì c’è perfino la presunzione di applicare la metodologia matematica ad aree culturali tradizionalmente refrattarie al calcolo numerico, come: la politica, l’etica, l’estetica e la stessa filosofia (non più filosofia della matematica, ma matematica della filosofia). L’applicazione della matematica all’economia, alla biologia, alla sociologia, e naturalmente alla fisica, sembra mietere successi davvero eclatanti, ma non dobbiamo dimenticare che quello che oggi ci appare vero, potrebbe essere poi contraddetto dimostrarsi una mera apparenza. L’esplorazione spaziale è l’eclatante dimostrazione che la matematica funziona e miete successi continui gettando lo sguardo nelle profondità dell’universo. La fiducia nei teoremi che ci offrono risultati fisici corretti sembra in definitiva fondarsi sull’esperienza. Un teorema può funzionare in una molteplicità di casi e fallire nell’ennesimo, così da creare la necessità di introdurre correzioni (stratagemmi convenzionalistici). 

Insomma, la matematica finisce per essere trattata come una scienza tra le altre, senza nessuno statuto privilegiato, un’attività con tutte le debolezze e le umane imprecisioni. L’economia ad esempio è la chiara dimostrazione che i numeri sono soltanto un modo arbitrario di intendere le scelte che sono fondamentalmente politiche giustificandole attraverso l’oggettività del calcolo stocastico. Giudicare la “correttezza” della matematica in base all’applicabilità al mondo fisico, determina però un problema di rilievo. Le teorie sono invariabilmente creazioni umane che vengono controllate mettendo alla prova le loro predizioni attraverso osservazioni ed esperimenti. Tutte le teorie sono state via via soppiantate da altre, o radicalmente o attraverso aggiustamenti più o meno radicali (di fatto le teorie scientifiche dell’età contemporanea - da quella elettromagnetica alla relatività e alla teoria dei quanti - si servono proprio della matematica moderna che spesso non deriva dalla natura ma che appare addirittura in disaccordo con quella, la struttura matematica della meccanica quantistica basata su una matematica piuttosto astratta e singolarmente esoterica.). Quando ad esempio si parla di onde elettromagnetiche nessuno ha la ben che minima cognizione fisica di cosa siano, è solo la matematica che ne attesta l’esistenza e che consente agli ingegneri di costruire invenzioni come la televisione. 

Si parla ad esempio di ‘campi’ di cui ignoriamo la natura. La scienza è invariabilmente un sistema finzionale di cui però apprezziamo le applicazioni pratiche. Essa non solo rimuove l’animismo (angeli e demoni) ma anche le percezioni concrete, i contenuti intuitivi e fisici (chi ha mai visto un atomo?). Le immagini matematiche (equazioni e modelli), pure astrazioni senza riscontri percettivi, divengono più reali degli oggetti materiali che cadono sotto i cinque sensi. E non c’è dubbio che i modelli funzionano.

Il problema delle teorie evolutive che scaturiscono da tale visione (Darwin, il Big Bang, l’universo in espansione ecc. ecc…) è che presuppongono che l’osservatore sia natura, faccia cioè parte del mondo naturale come un suo prodotto. Se l’assunto è vero, e certamente potrebbe esserlo, la conclusione è sconfortante, perché di fatto allora non saremo mai in grado di comprendere per davvero il funzionamento della macchina mondo. Le nostre descrizioni (le teorie del tutto) sarebbero soltanto modalità di funzionamento della macchina mondo (nella fattispecie in un processo mentale fatto di stati fisici che chiamiamo impropriamente coscienza) e non già la sua comprensione, saremmo semplici prodotti funzionali anche quando cerchiamo di darne un’immagine, quando ci sforziamo di renderci comprensibile il tutto nel quale siamo immersi. La nostra coscienza insomma sarebbe soltanto un insieme di stati fisici di adattamento, modalità di funzionamento della macchina mondo.

Al contrario, se ammettiamo che non siamo solo natura ma anche anti-natura, allora la nostra coscienza (non deterministicamente) sarebbe sempre fuori dall’indagine della scienza galileiano-newtoniana, fuori dalla scienza sperimentale. Insomma, tornerebbe in auge la metafisica (una modalità conoscitiva che va oltre il mondo fisico). La meccanica quantistica e la teoria della indeterminatezza potrebbero essere il segno di un cambiamento di paradigma (forse addirittura l’estremo limite del metodo sperimentale), nonostante che gran parte dei fisici si impegni a disconoscerne il significato profondo cercando di riportare in auge il vecchio determinismo (Dio non gioca a dadi) espresso nella tracotanza con la quale la scienza galileiano-newtoniana continua a parlare delle teorie del tutto in chiave cosmologica o cercando nella materia la particella di Dio e negando di fatto il ruolo dell’osservatore che modifica la realtà nell’atto di osservarla (e di osservarsi).  Per molti fisici risulta scioccante l’esistenza di effetti non locali come, ad esempio, quando una misura effettuata in un punto x sembra causare un cambiamento istantaneo nel punto y (con la messa in discussione della logica tradizionale). 

L’entanglement (l’aggrovigliamento, la non separabilità) quantistico potrebbe rappresentare non già un oggetto da districare attraverso una qualche interpretazione della moderna fisica quantistica con tutti i suoi paradossi e le sue aporie indecidibili, ma il segno inequivocabile che proprio il metodo sperimentale sta per superare le colonne d’Ercole oltre le quali c’è un mare incognito. Mi piace rappresentarlo con le parole Kantiane.

Noi abbiamo fin qui non solo percorso il territorio dell'intelletto puro esaminandone con cura ogni parte; ma l'abbiamo anche misurato, e abbiamo in esso assegnato a ciascuna cosa il suo posto. Ma questa terra è un'isola, chiusa dalla stessa natura entro confini immutabili. E la terra della verità (nome allettatore!), circondata da un vasto oceano tempestoso, impero proprio dell'apparenza, dove nebbie grosse e ghiacci, prossimi a liquefarsi, danno a ogni istante l'illusione di nuove terre, e, incessantemente ingannando con vane speranze il navigante errabondo in cerca di nuove scoperte, lo traggono in avventure, alle quali egli non sa mai sottrarsi, e delle quali non può mai venire a capo.  

(Immanuel Kant, Critica della ragion pura)

Forse l’impero proprio dell’apparenza è esattamente quello che la scienza continua a indagare con un metodo che, per quanto abbia mietuto successi in ogni campo, non risulta ormai più adeguato e, dunque, si presenta uno scenario alieno: il panorama incomprensibile del micromondo, nonostante il nuovo paradigma rappresentato dalla equazione di Schrodinger abbia prodotto le invenzioni più straordinarie negli ultimi sessant’anni: dal computer alla risonanza magnetica, dalla tomografia ai transistor al laser al microscopio ad effetto tunnel e tutte le diavolerie del mondo digitale e le fabbriche lillipuziane delle nanotecnologie. La computazione quantistica promette in prospettiva un trattamento dell’informazione dove il più potente sistema digitale fa la stessa figura della vecchia stampa a caratteri mobili di Gutenberg. Ma i filosofi spesso sanno anticipare attraverso un linguaggio suggestivo-allusivo le aporie degli sviluppi scientifici

Nuovi apparati sperimentali sembrano più che altro predisposti a cercare di ribadire il determinismo, più che a metterne in dubbio la ragione e la validità. Si ricorre perfino alla fantascienza per dimostrare che i paradossi porteranno ai viaggi nel tempo e a superare la barriera fisica degli anni luce (immaginando universi paralleli per superare le aporie), proprio nel momento in cui la natura dello spazio e del tempo diviene sempre più misteriosa e incomprensibile nella sua essenza (le kantiane intuizioni a priori, funzioni proprie del soggetto). Mai come oggi, e nonostante le mirabolanti invenzioni che correlano la nostra esistenza di uomini e donne del ventunesimo secolo (insieme alle armi di distruzione di massa sempre più raffinate e automatizzate), ci sentiamo smarriti in un universo che comprendiamo sempre meno (a differenza del cosmo sferico degli antichi che risultava nel suo ordine immutabile) e che nonostante la sua vastità ci appare forse come una immensa prigione e sfida la nostra hybris di comprendere il tutto in una formula matematica. Saggio di Gilberto Migliorini

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[1] Un’intelligenza che per un dato istante conoscesse tutte le forze da cui la natura è animata e la situazione rispettiva degli esseri che la compongono, se fosse così vasta da sottoporre questi dati all’analisi, abbraccerebbe in un’unica e medesima formula i movimenti dei più grandi corpi dell’universo e quelli del più lieve atomo: nulla sarebbe incerto per essa, e l’avvenire, come il passato, sarebbe presente ai suoi occhi»

«Une intelligence qui, à un instant donné, connaîtrait toutes les forces dont la nature est animée, la position respective des êtres qui la composent, si d’ailleurs elle était assez vaste pour soumettre ces données à l’analyse, embrasserait dans la même formule les mouvements des plus grands corps de l’univers, et ceux du plus léger atome. Rien ne serait incertain pour elle, et l’avenir comme le passé seraient présents à ses yeux.»


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4 commenti:

Manlio Tummolo ha detto...

Carissimo Gilberto,

anche se dovessero mancare miei futuri interventi, la qualità di questo blog non perderebbe nulla, grazie ai lavori tuoi e di Massimo Prati, e alcuni altri. Non lo dico affatto in senso ironico.

Certamente il tema che affronti qui è imponente e di grande problematicità, ma delinea alla perfezione la situazione di sostanziale crisi delle scienze moderne e della Scienza in generale. Manlio

Anonimo ha detto...

Grazie Manlio
Però i tuoi futuri interventi non dovranno mancare per non perdere un elemento essenziale di un discorso a più voci che è il pluralismo, il contraddittorio e l'approfondimento.
Ciao
Gilberto

Vito Vignera da Catania ha detto...

Carissimo Gilberto compagno di mille avventure,mi dici che dovrei dire quando davanti a me ho due "mostri" della cultura,di cui uno sei tu e l'altro è il Prof Tummolo? io direi il meno possibile,perché entrando in quella macchina infernale sono sicuro che finirei per essere stritolato.Quasi mi dimetto da umile scudiero,sono costretto ad imparare tutto quello che proponi,storia,scienza,tecnologia,matematica,filosofia,manca solamente un analisi del corpo umano e poi sono a posto.E no caro amico,se vuoi che entri in quella macchina con tutti quegli ingranaggi voglio essere pagato,anche perché guidare quella macchina senza chiavi è molto difficile,e poi cosa dico quando mi ritrovo con i personaggi che nomini? sarei nell'imbarazzo più totale,uomini che hanno fatto la storia,uomini che ci hanno insegnato tanto,e quello che abbiamo ora lo dobbiamo a loro,a questi personaggi di grande ingegno,di grande cultura,e di cui l'umanità deve esser grata. Questo saggio direi che rispecchia in tutto la situazione attuale,quei calcoli matematici di cui un minimo errore può costare molto caro,nulla può essere lasciato al caso,oramai si richiede la perfezione su tutto,e quella macchina sotto forma di umanità devi saperla guidare,in fin dei conti devi solo inserire la chiave e partire,stando attento alle curve,a volte "ingannano".Ciao caro furbacchione dalla grande cultura,il tuo umile scudiero ti augura una serena buona notte.

Anonimo ha detto...

Eh Vito
La fai facile. Inserire la chiave e partire... stando attento alle curve. Non ho capito a quali curve stai pensando. Matematicamente dovrebbe trattarsi di ellisse. Comunque anatomicamente pericolose. Ciao furbacchione.
Gilberto