martedì 11 marzo 2014

Pinocchio Gran Ciambellano del Tavolo Rotondo (Pinocchio in Parlamento) - Prima puntata

Articolo di Gilberto Migliorini

Perché bisogna sapere che il giovane imperatore che regnava nella città di Acchiappa-citrulli avendo riportato una gran vittoria contro i suoi nemici (…) volle che fossero aperte le carceri e mandati fuori tutti i malandrini.

- Se escono di prigione gli altri, voglio uscire anch’io – disse Pinocchio al carceriere.
- Voi no, - rispose il carceriere – perché voi non siete del bel numero…
- Domando scusa, - replicò Pinocchio – sono un malandrino anch’io.
- In questo caso avete mille ragioni, - disse il carceriere; e levandosi il berretto rispettosamente e salutandolo, gli aprì le porte della prigione e lo lasciò scappare.
Da: Le avventure di Pinocchio - Collodi


C’era una volta - Un pezzo di legno! – diranno i miei lettori. Sbagliato, c’era una volta Pinocchio. - No, no, non va bene, non vale: questa è una storia a rovescio. Sento già qualcuno che protesta. Direte che bisogna cominciare da un pezzo di legno, o magari da un re che non c’è, altrimenti è una palese violazione della trama, un mondo alla rovescia. La verità è che la storia di Pinocchio va riscritta alla luce della modernità e delle nuove istanze sociali. Non si può più partire da un pezzo di legno da catasta, scusate, la vita da allora (fine ‘800) è cambiata, suvvia bisogna essere a la page, aggiornare i personaggi. I ruoli di Geppetto, la Fatina, il Grillo Parlante, Lucignolo, Pinocchio… tutti da riassegnare, rivedere, contestualizzare... Non parliamo poi del Gatto e della Volpe, oggi troppo prevedibili e scontati. Personaggi da riqualificare, riabilitare, in una giusta prospettiva storica. 

Collodi avrebbe un bel daffare a riscrivere un canovaccio alla luce del Bel Paese anno di grazia 2014. Però, l’altra notte mi è apparso in sogno e… guardate, non è farina del mio sacco, la storia me l’ha suggerita proprio lui, il Lorenzini, alle prime luci dell’alba sussurrandomela in un orecchio mentre ero ancora nelle braccia di Morfeo. Appena sveglio ho preso carta e penna e l’ho trascritta parola per parola prima che me la potessi scordare (si tratta ovviamente solo di un canovaccio). Direte che mi sto inventando tutto o che è solo la mia suggestione? Può darsi, la racconterò ai miei quattro lettori, compreso quel furbacchione che di sicuro sta già pensando come farmi le pulci.

Ecco qua la storia. Pinocchio, uomo bell’e fatto e in carne ed ossa, un bel giorno scoprì di avere una naturale vocazione per la politica e in breve riuscì a raggiungerne la vetta con il plauso e l’ammirazione dei suoi sostenitori. Man mano ascendeva i gradi del potere, quello delle persone che contano, iniziò però una strana metamorfosi in tutte le membra del suo corpo. Una specie di mutazione genetica per dirla con il linguaggio odierno. Pinocchio cominciò ad avvertire un formicolio… un prurito… una fregola... Prima furono i piedi a diventare di legno e poi, via via e su su, tutto il suo corpo assunse l’inconfondibile consistenza della materia di cui son fatti gli alberi, però non chiedetemi se fosse larice o quercia, mogano o palissandro perché non mi è stato detto nel sogno. Di certo anche le giunture erano embricate con legamenti ed incastri precisi e ben articolati. Riusciva a muoversi come sempre, in perfetta scioltezza e non già come una marionetta. Forse nessuno se ne sarebbe accorto che l’incarnato era di legno. Però il naso cominciò ad allungarsi per un fenomeno strano e del tutto imprevedibile. La metamorfosi, per quanto singolare, sarebbe comunque apparsa irrilevante agli effetti pratici (politicamente intendo) se non fosse che il naso era cresciuto talmente allo sventurato da diventare antiestetico e piuttosto pericoloso. 

Bastava infatti un movimento brusco della testa per infilzare qualcuno che si trovasse nelle vicinanze, magari perforandogli un occhio o conficcandogli un piede. Un certo Geppetto aveva preso a cuore la vicenda del povero Pinocchio che con quel naso sempre più lungo faticava a portare a termine i suoi comizi. L’appendice si allungava talmente che rischiava di infilarci qualche tordo o di infiggere un merlo. Geppetto armato dei suoi strumenti, la sega la pialla e la sgorbia, gli accorciava ogni volta il naso, lo lisciava e lo carteggiava, lo piallava e lo sagomava facendolo ridiventare un bel nasino all’insù. Pinocchio poteva allora continuare con lena il suo mandato politico, sfoggiando un naso alla francese, inoffensivo e accattivante, con il brio e la sagacia che caratterizzava i suoi discorsi pieni di pathos e di humor. Ospite fisso di un teatrino televisivo non rischiava più di bucare lo schermo con il naso che gli veniva preventivamente raccorciato. Il moderatore e mediatore di turno poi, di nome Mangiafuoco, cercava di fare quelle domande che si era concordato non rischiassero di allungargli troppo il naso. Pinocchio, insieme ad Arlecchino e Pulcinella, faceva delle belle tavole rotonde che mastro Ciliegia, un falegname amico di Geppetto, preparava con i suoi arnesi da marangone, tavoli più rotondi di quanto perfino Giotto sarebbe riuscito a disegnare, perfetti per la prima colazione, il pranzo e la cena. 

Erano abboccamenti tra tre (qualche volta quattro) commensali della politica dall’aria compunta ed amabile, disquisizioni profonde e coinvolgenti. Si parlava del Paese dei Balocchi, un luogo dove scorrevano fiumi di lattemiele. Nessuno degli spettatori per la verità l’aveva mai visto quel paese, anche se ne sentiva favoleggiare. Pinocchio raccontava di esserci stato e così pure Arlecchino e Pulcinella. Loro lo avevano visto e lo disegnavano con descrizioni avvincenti e suggestive. Argomentavano che lì ci si poteva arrivare, che là c’era giustizia, abbondanza, onestà e lavoro per tutti.

Quei graziosi e intrepidi comizi avrebbero potuto continuare indefinitamente senza particolari scosse, senza patemi d’animo e dubbi di sorta… in amabili conversazioni all’ora del tè – anche se ogni tanto volavano i pasticcini, si assisteva al lancio del buffet e si minacciava perfino di scambiarsi un bel carico di schiaffi e bastonate (trattandosi di Arlecchino e Pulcinella). Ma niente paura era solo per celia e per creare un po’ di suspense. Quelle belle tavolate con tovaglie immacolate, tazzine e piattini tintinnanti, avrebbero potuto seguitare con l’immancabile moderatore che porgeva la pochette con la squisita gentilezza dell’anfitrione… se un giorno non avesse fatto la sua apparizione il Grillo Parlante con un collegamento estemporaneo, non concordato, capitato lì senza invito e senza reticenza. Si trattava per dirla tutta di un rompiscatole, uno scocciatore, uno che spaccava come suole dirsi… il capello in quattro. Era uno al quale piaceva smontare gli argomenti dei commensali che per quanto sembrassero sempre in disaccordo (più che altro per tenere desta l’attenzione) in realtà erano abbastanza in sintonia su tutto (salvo su qualche dettaglio circa gli interessi del loro entourage, riguardo al gusto dei cioccolatini e alla spartizione delle fette di torta). 

Quando il Grillo Parlante indicava con il suo dito (davvero un po’ malandato) tutti gli inganni e le soperchierie del paese dei balocchi (indicandoli per filo e per segno, dalla a alla zeta) l’attenzione dei suoi interlocutori (ma anche quella di Mangiafuoco che faceva un po’ il cicisbeo) si appuntavano sul dito del Grillo Parlante… si osservava che era storto, deforme e screpolato, inadeguato per quel grazioso e rispettabile consesso di persone alla pari, così ben educate e certificate. I commensali, mostravano dei ditini ineccepibili, lindi e puliti, che avrebbero potuto vincere un concorso di bellezza, per non parlare dei mignoli che si alzavano graziosamente quando bevevano il tè. Perfino le telecamere un po’ per caso e un po’ per vocazione si appuntavano su quel dito screpolato, davvero impresentabile, del Grillo Parlante, un’articolazione fuori posto tra diti e dita ragguardevoli per vocazione e lignaggio. Quando quel dito malandrino indicava la luna, il primo piano era sull’unghia, e quando l’indice mostrava in che direzione guardare, era una zoomata sul polpastrello. 

E bisogna dirlo… il confronto con i bei ditini di Pinocchio Arlecchino e Pulcinella era davvero impietoso. Falangi falangine e falangette graziosamente democratiche da una parte, davvero impeccabili e ragguardevoli, giudiziose e piene di sussiegoso buon senso… e un dito rude e sgradevolmente irruento dall’altra, irrispettoso, dissacrante, autoritario e davvero poco educato. Una parte degli spettatori sapeva apprezzare l’estro sulfureo e provocatorio del Grillo Parlante, ma un’altra parte era affezionata alle dita dei commensali che sapevano muoversi con circospezione quasi ballando un tango col caschè. Va da sé che con quel tipo così poco malleabile il dibattito rischiava di degenerare in uno spettacolo tipo quelli delle torte in faccia, per il resto il Paese dei Balocchi rimaneva sullo sfondo e le telecamere indugiavano sulle dita in primo piano.

Il Grillo Parlante, davvero un intruso, rischiava di rovinare il buffet, per non parlare della distribuzione dei pasticcini e dei cioccolatini. Il menù risultava infatti già preparato e scritto a chiare lettere su un bel papiro che faceva a corredo in un elegante cartelletta di pelle con su scritto a caratteri dorati Menù di Degustazione. Pinocchio, Arlecchino e Pulcinella non si facevano di certo pregare, si accordavano sul marzapane, sui tarallucci, sui bignè... In realtà in quel consesso c’era un’eminenza grigia, che era poi il personaggio più importante, la Fatina dai capelli turchini. Lei viveva in una casina candida come neve, confinata lì per via del nefasto sortilegio di gente cattiva e invidiosa. Però per quanto fosse stata messa in stand-by (ferma per un giro) poteva ancora usare la sua bacchetta che agitava nell’etere mandando qua e là la sua polverina magica. 

Pinocchio talvolta andava da lei per via del Gatto e la Volpe. Due amici squisiti, uno cieco e quell’altra zoppa ma che insieme facevano un bella copia, che ci vedeva e camminava per bene. I due compari avevano prestato a Pinocchio cinque monete d’oro. Eh… immagino già l’obiezione dei puristi dell’opera del Collodi: - I due non li prestano i denari, semmai li fanno seminare nel campo dei miracoli, nel paese dei Barbagianni. Appunto… in effetti li prestavano ad interesse che fruttava molto di più e consentiva ai pinocchietti (quelli con la p minuscola) di indebitarsi allegramente. Comunque Pinocchio mosso dalle migliori intenzioni, e dall’ambizione di far bene, volle investire il denaro avuto in prestito e per questo la Fatina dai capelli turchini sembrava proprio la più adatta per dargli appoggio e consigli.

Un bel giorno andò da lei ben conoscendo il potere della sua bacchetta magica. Il poverino dovette bersi una medicina piuttosto amara sia pure con qualche zolletta di zucchero per scampare a una precoce dipartita (politicamente parlando). Perché appunto con un poco di zucchero la pillola va giù. L’incontro con la fatina lo mise davvero di buon umore. Tornato in città, quella degli Acchiappa-citrulli, Pinocchio fu accolto come un eroe e in quattro e quattr’otto fu elevato al rango di Gran Ciambellano del tavolo rotondo. È pur vero che il naso si era allungato… e di molto, però Geppetto con un surplus di lavoro glielo raccorciava riportandolo sempre alle sue giuste dimensioni. Attorno al tavolo insieme ad Arlecchino e Pulcinella erano però sorti alcuni problemi riguardo alla spartizione del buffet. Pinocchio aveva interpretato in modo un po’ elastico i comandi della Fata, che per la verità conosceva bene il suo pupillo, la sua esuberanza e la sua ambizione, e aveva previsto e messo in conto qualche intemperanza. La spartizione dei pasticcini sollevava sempre qualche polemica, rivendicazioni, distinguo, precisazioni… soprattutto quando anche Colombina entrava in scena. 

Riguardo agli spettatori del teatrino non c’era problema erano semplici figuranti che potevano annuire col capo e magari fischiettare in segno di giubilo, esprimere le loro preferenze annuendo con la testa. Sulla scena del teatrino stava, oltre a Mangiafuoco, un gruppo di valletti e cicisbei bravi a far l’inchino e talvolta a intonare qualche canzoncina, sgomitavano tutti per tessere le lodi di Pinocchio. Dalla casina bianca la fatina agitava la bacchetta magica e una polverina luminescente volava nell’etere più veloce della luce. Così, litigando (un po’ per finta e un po’ per celia) il Gran Ciambellano del tavolo rotondo cercò di accordarsi al meglio riguardo al buffet: caramelle non ne voglio più disse perentorio tagliando una bella fetta di torta, mentre Arlecchino e Pulcinella gli facevano eco con “A proposito di politica… ci sarebbe qualcosina da mangiare?" e… tutti invocavano la protezione magica della Fatina dai capelli turchini. E il Grillo Parlante? In panchina, anzi negli spogliatoi…

Riuscirà Pinocchio nel suo intento di trasformare la terra dei Barbagianni nel mitico Paesi dei Balocchi? Riuscirà Lucignolo (un outsider) a mettere i bastoni tra le gambe a Pinocchio? E il Grillo Parlante verrà spiattellato sul muro? Potrà la Balena spiaggiata riprendere il mare? Prossimamente il sequel su questo Blog.

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4 commenti:

Anonimo ha detto...

L’errore commesso dai padri nel dopo guerra?
Non avere capito che il carattere non si forgia nell’agiatezza ma nel superare i problemi della vita quotidiana.
Gli scarsi risultati del 3° millennio? Sono da attribuire all’apatia dei Giovani
e alla disonestà (dei sessantottini che appartengono alla classe manageriale e politica) serva dei capitalisti che dopo là discesa in campo di SB ha spianato loro la strada.
Rendendo l’Italia quello che è. Un grande mercato delle vacche dove il popolo sarà solo lo spalatore di letame. Sono più di venti anni che non investono un fico secco in’Italia per ammodernare le industrie
Rende di più quotarsi in borsa e spostare gli stabilimenti nei paesi esteri dove il lavoro costa meno.
L'ITALIA è la patria del precariato funge da riserva del domani.
Quando il lavoro a basso costo nei paesi sottosviluppati finirà scongeleranno i nostri precari.
Ho fatto un sogno utopico? Il Popolo si destava (finalmente ) e si univa per formare una -SPA- del lavoro
Non esistevano più padroni chi aveva bisogno di manodopera si doveva rivolgere alla (-SPA-del lavoro)
Pagando la manodopera di qui abbisognavano ad un prezzo stabilito dalla (S.P.A del lavoro)
Il Tutto adeguando là manodopera al costo (reale) della vita ed hai costi di mercato
I Cosi detti padroni che hanno sfruttato avidamente per secoli non esistevano più.
il Popolo poteva scegliere Diventare padrone di se stesso ho prestatore di manodopera.
La differenza del padrone di se stesso?
Al padrone di se stesso Tolte le spese totali documentando il tutto rimaneva il 20% netto in più.
La vera UTOPIA? Cosi facendo in un solo colpo avevano fatto sparire tutta la classe Politica serva delle lobby
E le lobby stesse che non potevano più sfruttare il Popolo.
Annullando di colpo tutti gli sprechi Perché il Popolo aveva solo un pensiero comune
Unire le menti per fornire idee produttive con benefici per tutti.
Chi non accettava? Era libero di andarsene via portando con sé per carità cristiana solo il 20% dei suoi possedimenti.
PS Potrebbe essere un sogno che si avvera? Speriamo di SI.VITTORIO

Anonimo ha detto...

L’errore commesso dai padri nel dopo guerra?
Non avere capito che il carattere non si forgia nell’agiatezza ma nel superare i problemi della vita quotidiana.
Gli scarsi risultati del 3° millennio? Sono da attribuire all’apatia dei Giovani
e alla disonestà (dei sessantottini che appartengono alla classe manageriale e politica) serva dei capitalisti che dopo là discesa in campo di SB ha spianato loro la strada.
Rendendo l’Italia quello che è. Un grande mercato delle vacche dove il popolo sarà solo lo spalatore di letame. Sono più di venti anni che non investono un fico secco in’Italia per ammodernare le industrie
Rende di più quotarsi in borsa e spostare gli stabilimenti nei paesi esteri dove il lavoro costa meno.
L'ITALIA è la patria del precariato funge da riserva del domani.
Quando il lavoro a basso costo nei paesi sottosviluppati finirà scongeleranno i nostri precari.
Ho fatto un sogno utopico? Il Popolo si destava (finalmente ) e si univa per formare una -SPA- del lavoro
Non esistevano più padroni chi aveva bisogno di manodopera si doveva rivolgere alla (-SPA-del lavoro)
Pagando la manodopera di qui abbisognavano ad un prezzo stabilito dalla (S.P.A del lavoro)
Il Tutto adeguando là manodopera al costo (reale) della vita ed hai costi di mercato
I Cosi detti padroni che hanno sfruttato avidamente per secoli non esistevano più.
il Popolo poteva scegliere Diventare padrone di se stesso ho prestatore di manodopera.
La differenza del padrone di se stesso?
Al padrone di se stesso Tolte le spese totali documentando il tutto rimaneva il 20% netto in più.
La vera UTOPIA? Cosi facendo in un solo colpo avevano fatto sparire tutta la classe Politica serva delle lobby
E le lobby stesse che non potevano più sfruttare il Popolo.
Annullando di colpo tutti gli sprechi Perché il Popolo aveva solo un pensiero comune
Unire le menti per fornire idee produttive con benefici per tutti.
Chi non accettava? Era libero di andarsene via portando con sé per carità cristiana solo il 20% dei suoi possedimenti.
PS Potrebbe essere un sogno che si avvera? Speriamo di SI.VITTORIO

Anonimo ha detto...

PS
Le stagioni della vita passano in fretta
i sogni di gioventù come le foglie cadono nello scrigno dei ricordi
il tempo passa Ti ritrovi vecchio con i tuoi ricordi
apri lo scrigno e ti accorgi che è vuoto
Come le foglie d’autunno il vento li ha portati con se
I SOGNI sono solo Fantasie di gioventù che la realtà della vita ha ucciso
L’unico SOGNO reale che ci appartiene è il risveglio della natura in primavera. VITTORIO

Anonimo ha detto...

Ci mancava,in verità, un rifrigitore di pizzelle.
beh, ora c'è!
contenti?