mercoledì 12 marzo 2014

L'Italia dell'armata Brancaleone affonda e l'orchestra suona il solito ritornello che a tanti ormai sembra una marcia funebre...

Articolo di Gilberto Migliorini


In questi giorni convulsi e confusi si prepara il nostro futuro. Tutti guardano a quello che accade nel rettangolo del televisore (e dove altrimenti se non nel luogo dei nostri desideri e delle nostre proiezioni?), come se si trattasse dell’ennesimo teatrino al quale si è stati abituati da tempo immemorabile (almeno da quando esiste la televisione nazional-popolare e il festival dei programmi trash come cartina al tornasole del nostro stato di salute, socialmente parlando). Si pensa che nell’uovo di Pasqua si troverà una sorpresa, una delle tante alle quali si è abituati e che - per quanto possa essere curiosa e perfino sorprendente, magari non del tutto di gradimento - non cambierà di molto le nostre sorti magnifiche e progressive. Si ritiene che il paese proseguirà per la sua strada più o meno dissestata, ma comunque sopravvivendo come ha sempre fatto, con un colpo al cerchio e quell’altro alla botte, cercando di salvar capra e cavoli, ma con la botte piena e la moglie ubriaca e perfino con ancora l’uva nella vigna (per usare la proverbiale saggezza, ma solo per il gusto dell’iperbole perché ormai non c’è più trippa per gatti).

Insomma ci si illuderà di sopravvivere come si è sempre fatto tirando avanti mentre qualcuno approfitta del lavoro e dell’onesta dei molti che della politica conoscono solo le tasse da pagare, le solite facce inquadrate nel monitor (e nei salotti televisivi), e quella schiera di lacchè che si incaricano di presentare tutto con nonchalance, come sempre, come se si trattasse appunto di un paese sull’orlo non della catastrofe, ma di quel risanamento e di quell’utopia che finalmente stanno per realizzarsi, vivaddio! Cantano a squarciagola che tutto si sta per aggiustare, che la squadra è pronta e che con la quadratura del cerchio si faranno le riforme (parola magica per svendere il paese al miglior offerente). Ce la cantano e ce la suonano questa canzone da quando esiste la il festival di Sanremo, dai tempi di Nilla Pizzi passando per quelli del povero Tenco, dei De André e dei Lucio Dalla (grandi interpreti che fa comodo ricordare quando servono da riempimento) fino a quelli attuali, più dimessi, di tante ugole afone e clonate (salvo qualcuno, pochi, che ancora sa dire qualcosa alle nostre emozioni). 

Sembra che a tutti sfugga che se i grandi della canzone italiana che ho citato (e ce ne sono anche altri) dovessero presentarsi oggi al festival come illustri sconosciuti, le loro canzoni verrebbero irrimediabilmente affossate (troppo impegnative per i nuovi prodotti usa e getta). Ormai il gusto medio (giovane e non) è quello epidermico e convenzionale delle retoriche confezionate come cibi liofilizzati e sotto vuoto spinto. Il pubblico medio educato a una tv spazzatura non sa più distinguere tra la vera poesia, l’affabulazione e il pastrocchio canoro, sia che si tratti di una canzone, sia che riguardi un programma politico. A proposito della bellezza e del genio italico, si ricorda anche quello, come se bastasse evocare il nostro passato per consolarci di un presente sciagurato e neghittoso. Tra un po’ si ricorderanno i fasti della Roma imperiale, quella di Giulio Cesare per consolarci di essere diventati una colonia di un altro impero. E per ringalluzzirci dal conformismo culturale nel quale siamo precipitati (e dimenticando la cappa della Controriforma) si ricorderà il Rinascimento. Il tutto attestato una volta di più dalla da poco passata manifestazione canora nella quale si è espressa tutta la misera prosopopea di una cultura pedissequa e stereotipata, vuota e insignificante con un registro di regime. 

I valletti e i cicisbei del potere massmediatico si prodigano a fare i pompieri, un understatement di un servilismo rivoltante e senza freni (carrieristi, voltagabbana, innestati ed equilibristi che di slancio stanno per salire sul carro del vincitore fiutando l’aria come segugi, ma anche pronti a saltar giù se le cose prenderanno una brutta piega e la ‘canzone’ monouso farà un flop colossale, e lo farà…). Altri supporters e fiancheggiatori fanno a gara per abbigliare con tessuti e broccati la nudità di un re senza corona e senza scorta, ma con l’appoggio di tutti quelli che contano e che hanno spolpato il paese come squali e lupi mannari che si apprestano a divorare ciò che resta lasciandoci tutti in mutande (ma forse con la possibilità di espiantarci anche il cuore se serve, e serve, perché l’avidità ormai non ha più limiti). Bocche voraci si stanno preparando a masticare quello che resta del giorno, ironia della sorte, facendoci credere che si tratta delle nostre mandibole, di noi che facciamo i nostri interessi, quello collettivo della comunità nazionale, e non quello dei grigi (saranno alieni?) che manovrano qualche sprovveduto e ambizioso garzoncello scherzoso. 

Un pifferaio magico piovuto tra il capo e il collo del paese, che di per sé conta come il due di briscola, come tanti reggitori statuali che fanno il prestanome e il reggi moccolo - alcuni molto ma molto più potenti di un fringuello che twitta, se la suona e se la canta. Sono soltanto involucri vuoti, casse di risonanze di un potere che si occulta nelle pieghe dell’ideologia, del moralismo e della retorica, e preferisce usare controfigure dall’aspetto giovanile e inoffensivo, guasconi e fotogenici quanto basta. Il delfino lo si lascia gigioneggiare, lo si traveste come se fosse per davvero un principino. Per tornare sulla scena le eminenze grigie usciranno alla ribalta a tempo debito, con il proprio vero volto, ma pur sempre una maschera di scena....

Il mago di Oz si appresta a fare l’incantesimo: presto il paese sarà come un violino, la musica intonerà il Te Deum, papponi e disonesti verranno incarcerati, ladri e sfruttatori perseguiti, i condannati per truffa e rapina messi in galera, gli onesti risarciti. Finalmente il mondo, da tanto tempo capovolto, verrà rimesso all’impiedi. Ritroveremo il senso morale, il rispetto, la correttezza e la solidarietà per i deboli e gli svantaggiati. La giustizia tornerà a trionfare, l’informazione diventerà libera ma anche corretta, rispettosa della privacy di ciascuno e della dignità di tutti. Il patrimonio industriale, tecnologico, scientifico, paesaggistico, culturale non verrà svenduto ai privati ma resterà patrimonio collettivo del paese, amministrato con lungimiranza e onestà. La patria dei valorosi uomini risorgimentali, morti per l’unità delle coscienze, troverà finalmente consonanza di ideali e armonia solidale.  Non i ‘parigini’ e neppure gli ‘ottentoti’ della lettera semiseria del Berchet (fuori metafora i papponi e i pinocchietti), ma finalmente gli italiani… orgogliosi della propria cultura e del proprio valore.

Sarà questo lo scenario che attende un paese da sempre in attesa della sua unità di intenti e di obiettivi comuni? O forse invece quello che ci aspetta è esattamente il suo contrario? Forse sta per calare una nuova schiatta di speculatori rapaci che con la scusa delle riforme, della razionalizzazione del sistema, dello spread, del taglio delle spese, dell’Europa ce lo chiede, della nostra posizione strategica, della semplificazione, dell’efficienza, della morale (moralismo) e perfino della religione… trasformerà il paese in un affare per pochi (quelli che usano i media per infinocchiare gli ‘ottentoti’) e in una sciagura per quella massa alla quale si canta e si suona una bella canzone (i pinocchietti)?

Ma c’è una domanda ancora più inquietante che ronza (una musica in testa zum zum zum...) che apre scenari del tutto imprevedibili e inquietanti. Perché una campagna propagandistica pianificata ha scelto – per un paese che dispone ancora di teste pensanti – un’armata Brancaleone con un condottiero che probabilmente porterebbe fuori strada anche un gruppo di boy scout in gita a un santuario mariano? Perché qualcuno si sta servendo di un politicante sprovveduto e ambizioso che mette insieme un gruppo ‘omogeneo’ (politically correct, il fifty fifty di genere) che ricorda il déjà vu di altri governi con intenti tecnico-demagogici? Quale progetto internazionale c’è per l’Italia, quel ponte sul mediterraneo che apre la strada ad altri due continenti, che costituisce il nodo della futura guerra dei droni e crocevia strategico di tutto lo scenario nordafricano, medio orientale e balcanico? Perché si vuole che il paese si trasformi in una realtà sudamericana controllata economicamente, senza più autonomia e in balia dei banchieri internazionali? Forse si progetta che il bel paese divenga una nazione legata mani e piedi a una logica strumentale e senza più una vera sovranità nazionale, neppure di facciata? 

L’affaire India dimostra ormai in modo inequivocabile che l’Italia è semplicemente una colonia con una sovranità solo di nome che si può trattare alla stregua di uno zimbello, da umiliare platealmente e nonostante si impegni all’acquisto di aeroplani ed elicotteri di dubbia utilità (ma si sa gli affari sono affari…). Quello che si vuole fare dell’Italia ha ancora i tratti confusi di un abbozzo (con un disegno in nuce), ma di certo sarà qualcosa che pagheremo assai caro. Ci stanno svendendo (per un tozzo di pane) ad una logica dove ciò che diamo è tanto e quello che prendiamo (o che prendono alcuni) sono contropartite insignificanti.

Il festival della canzone ci ha ricordato il Titanic, mentre la nave affonda l’orchestra suona e chi osa ammonire che bisogna cambiare veramente rotta alla nave (non quella dell’ennesima sviolinata sanremese e neppure di un governo del pifferaio magico) si sente dire che è una Cassandra, che la musica non è finita, che si può continuare ad illudersi fino alla prossima scadenza con la nuova manifestazione canora. Sarà forse per il ricordo dell’isola del Giglio (sembra davvero che tutto complotti per dirci quello che sta per accadere) ma intanto sul bastimento qualcuno si preoccupa, la nave oscilla paurosamente, si sentono strani scricchiolii.

No, tutto tranquillo, che l’orchestra continui la sua performance, che si ascolti un’altra canzone, ci si lasci andare alla musica, si continui a inebriarsi di operine. Il bel canto delle sirene parla d’amore e della vita (ma quella vera è quel mare che si sta alzando… e quella mina vagante, un iceberg che a tutta prima ha l’apparenza innocua di un bambolotto alla deriva). Niente paura, l’orchestra suona ancora e ancora ascoltiamo le note della canzone che ci piace tanto: partirà, la nave partirà, dove arriverà questo non si sa... Articolo di Gilberto Migliorini

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2 commenti:

Anonimo ha detto...

Più di duemila anni sono passati da quando il più grande anarchico comunista è stato ucciso
il suo concetto di fratellanza è stato tradito da chi doveva divulgare il suo credo.
Favorendo cosi a chi Governa Su un piatto d’argento l’eliminazione del concetto anarchico.
Sfruttandolo per governare mascherato da democrazia.

Pertanto il pensiero anarchico nato dopo è violenza gratuita che aggiunge caos al caos.
l'egoismo domina il mondo annebbiando le menti dei pigri tutto cambia a parole
ma nella sostanza tutto resta come prima ( quando va bene)
il pensiero anarchico comunista? è come l'utopia.

PS Mi sono chiesto spesso cose L’utopia
E da ignorante questa è l’unica risposta
Che mi è venuta in mente L’utopia è il bene Che non c’è
È la scintilla che manca a L’uomo per essere simile a Dio. VITTORIO

Anonimo ha detto...

Filosofo, oltre che...predicatore!
Chissà come l'avrebbe definito il compianto ed insuperabile TOTO'