lunedì 24 marzo 2014

Lettera ai pinocchi italiani che ancora credono ai politicanti millantatori

Articolo di Gilberto Migliorini


Caro pinocchio (con la p minuscola)
Sono tanti anni che ti prendono per i fondelli, da molti lustri che ti fanno promesse da marinaio, che agitano un po’ di spauracchi e un po’ di quei panegirici farlocchi da venditori di pentole. Non farti incantare dall’ennesimo contaballe dalla parlantina sciolta che ti rifila la solita patacca. E sì che avresti dovuto aver imparato la lezione, ne hai avuto di tempo per por mente locale, ne hai sperimentato di modelli da imbonitore, alcuni davvero molto ingegnosi, equilibrismi e volteggi da vero trapezista, carambole e piegamenti da esperto contorsionista, reversioni e giravolte da virtuosista del palo roteante. Possibile che ancora non sei sazio di millantatori, sia pure estrosi e con la faccia di ‘tolla’ e con quei doppio petti che fanno tanto glamour… e tronfia arroganza.

Anche quest’altro ti mena per il naso, lui è in combutta con quegli amiconi del gatto e la volpe, quelli che se vogliono magnà el paese. Non fare il furbo, ma fatti furbo, prova a guardare come dice quello che dice il venditore di niente, prova a non farti infinocchiare per l’ennesima volta. Ormai è chiaro, vogliono spremerti fino all’osso, usarti come uno spaventapasseri, buttarti fumo negli occhi, rivoltarti come un calzino e poi dire che si mettono in ordine i conti del paese. Un po’ di melassa, PowerPoint, minestra condita di retoriche del consenso, la solita vecchia e inossidabile spocchia del parvenu… 

Sì, d’accordo. da tempo immemorabile sei stato indottrinato al marketing, al compri uno e paghi due, al prodotto d’occasione irripetibile da non farsi scappare, alla fidelity card con lo sconto promozionale, per rifilarti il solito fondo di magazzino spacciato per uptodate. I vecchi trucci chiamati ammodernamento, i soliti immancabili bidoni. Ti hanno educato allo spot, al carosello e alla suggestione subliminale, ti hanno fatto credere di essere tu a decidere e a scegliere. Non è vero, ha sempre scelto Pinocchio per te (quello con la P maiuscola) smazzando le carte con diligente e disinvolta nonchalance mentre ti si buscherava. Prova per una volta a scegliere davvero tu. Come? Intanto diffida di chi ti blandisce, di chi ti fa le moine e ti adula e intanto ti tratta come un deficiente da istruire, come un analfabeta da ammaestrare con tanto di disegnini alla lavagna, schemi tattici come fa l’allenatore coi suoi ragazzi, la maestra all’asilo quando deve convincere i suoi bimbetti a fare la pipì nel vasino e gli fa lo schemino. Ti parlano come se tu fossi interdetto, un minore che ha bisogno di tutela e di protezione: metti il golfino che prendi il raffreddore, non mangiare in fretta, fai il segno della croce, non mettere le dita nel naso… 

Oppure te la suonano e te cantano, ruffianescamente, per dirti che sei bello, intelligente, creativo, estroso, la quintessenza del genio italico, un perfetto e scrupoloso italiota con tanto di pedigree. Diffida anche di me se può servire (sai il paradosso del mentitore), ma diffida soprattutto di chi finge amorevole e disinteressata stima e attenzione, di chi ti liscia il pelo e ti fa il contropelo... L’Europa dei potenti sta a guardare, annuisce, sorride (un ghigno tra il compassionevole e il sardonico ammantato di lusinghe e di larvate minacce. Che nascondano un pungiglione avvelenato?). Fare i compiti per bene, andare a ripetizione, la maestra ha il volto benevolo e tollerante della madre amorevole, tiene la bacchetta come ultima ratio e lo scolaro pare assai diligente, ha l’aria del primo della classe, si lascia guidare, prende istruzioni, sembra davvero un bamboccio modello con quell’aria da enfant prodige che si è preparato a dovere. 

Zelante quanto basta, ma mostrando l’orgoglio del neofita e l’autonomia dello scolaro indottrinato, sa recitare la poesia con cadenza appropriata e snocciola la lezione mostrando di aver assimilato i concetti e di saper correttamente interpretare i desiderata dell’insegnante, ma anche simulando quelle punte di irriverente autonomia che mandano la maestra in sollucchero: il bamboccio è bravo anche nelle public relations, sa ostentare quando serve e intonare a tempo e con disinvolta irruenza, ma pur sempre seguendo i desiderata e le istruzioni della maestra. Sì, un perfetto scolaro che sa ubbidire quando deve e derogare quando serve, un po’ compunto e servizievole e un po’ svagato e irriverente quando l’insegnante vuole che il garzoncello scherzoso vada a briglie sciolte, ma per carità: solo per finta e recitando il copione con sentimento appropriato.

Gran parte dei sudditi sembra (ma non si sa mai) accogliere festosamente il nuovo corso (che poi è quello vecchio portato all’ennesima potenza, la minestrina stantia con l’aggiunta di tanto sale e quegli ingredienti che fanno andare bene di corpo e talvolta anche di stomaco… lasciandoti esausto e senza più nemmeno le energie per protestare contro l’ingrato destino). Lo scenario ricorda confusamente una favola. Le favole… quale tesoro di saggezza! Ma ahimè, non vengono più raccontate ai bambini e soprattutto agli adulti. Il lupo che parla con voce suadente, la volpe adulatrice e il corvo vanitoso… ma soprattutto quella storia immortale, il mito della caverna di Platone, che non parla ai nostri visceri ma direttamente alla nostra anima.

Il mito, si sa, può essere letto in tanti modi diversi e talvolta contrastanti, può ricevere luce da destra e da sinistra, dall’alto e dal basso, da un’analisi razionale o da un’intuizione (la forma artistica) o da un metodo ricorsivo (un linguaggio macchina con cicli iterativi e subroutines). La forza di un mito è per l’appunto la sua indeterminazione, può essere letto e riletto in tanti modi ed essere compreso da tante angolazioni, la sua forma è irriducibile a qualsiasi stereotipo che ne indichi una decodifica in via definitiva. Lo schiavo liberato torna nella caverna ad avvertire i compagni che quello schermo nel quale sprofondano le loro certezze è solo un’illusione, pixel colorati (la caverna si aggiorna ai nuovi standard) con colonna sonora incorporata, forse perfino in ologramma 3D. E per questo lo schiavo liberato rischia la vita. 

Avvertire del pericolo di un inganno - la dissonanza cognitiva che può mettere in crisi tutto un sistema di credenze e agnizioni - può risultare assai più pericoloso che fare lo stuntman. Là, fuori da quel mondo oscuro e ipogeo dove regnano l’inganno e le menzogne dei sensi (la favola bella), sembra davvero che splenda il sole della verità (ma non sarà mai anche quello un’altra patacca?). Vedi pinocchio con la p minuscola (e mi ci metto anch’io), il dubbio è la chiave, senza quello non si può neppure tentare di sceverare il vero dal falso. Quello schermo là sotto, nel mondo della caverna, con quegli schiavi incatenati non già con ceppi e catene, ma da quel suadente mezzo fatto di blandizie, allettamenti, sonorità, flatulenze… è davvero come le sirene di Ulisse, solo che lui si era fatto legare volontariamente, mentre tu… noi… non si è capito bene se siamo lì legati come salami per volontà propria o perché ci siamo infilati in un cul de sac senza saperne i motivi. Siamo finiti lì, così, per quella malaugurata idea di accendere la tv, di leggere il giornale, di navigare in internet, insomma di informarci (o disinformarci?).

Essere o non essere, l’impedimento è qui… Chi poteva immaginare, dirai tu, che una cosa così semplice come premere l’interruttore del telecomando potesse causare una concatenazione di cause ed effetti fino a trovarci trasformati in porci dalla maga Circe? No, nessuno poteva prevedere di cadere in quel maledetto schermo come Alice che seguendo un coniglio bianco è scivolata in un mondo sotterraneo. Si può sempre bere da una bottiglia e rimpicciolirsi fisicamente (o anche mentalmente?) per entrare in quel mondo dove i Pinocchi (quelli con la P maiuscola) devono aver mangiato uno di quei pasticcini magici e sono diventati ipertrofici. Realtà virtuale, il mondo dove siamo precipitati, senza sapere né come né quando esattamente, e dove ci stiamo abituando a vivere come se quello fosse il mondo vero e non ciò che da tanto tempo ci viene descritto con l’ausilio di una lavagna luminosa. 

La caverna si è attrezzata e adesso ha l’apparenza sfarzosa di una vetrina dove risuona la canzone che ci piace ascoltare, dove zampettano ballerine con splendidi glutei che ci fanno perfino dimenticare la voce dell’imbonitore che ci racconta del niente con il suo tono onirico come se parlasse della nostra vita vera.

Siamo in procinto di svegliarci? Dove? Nel paese delle Meraviglie, ovviamente.

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